martedì 26 agosto 2003

il Riformista, da par suo, sul film di Marco Bellocchio a Venezia

Il Riformista 26 Agosto 2003
VENEZIA. BUONGIORNO NOTTE, DI MARCO BELLOCCHIO, PUÒ ESSERE UN’OCCASIONE
Se la destra riscoprisse il cinema di sinistra

Il proponimento sembra lodevole. Tanto più arrivando da un intellettuale di destra, fine e poco aduso alla chiacchiera salottiera. Scrive Stenio Solinas sul Giornale in vista della Mostra di Venezia che s'apre domani: «Sarebbe bello se a partire da quest'anno il cinema, quello che parla al cuore e al cervello di chi lo guarda, divenisse per chi l'ha sempre snobbato e sottovalutato ciò che realmente è: l'autobiografia di una nazione. Chiamarsene fuori non paga». Solinas è rimasto colpito, positivamente, da La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. Sulla carta, la miniserie di Raiuno aveva tutto per non piacergli: il Sessantotto, l'antipsichiatria, il terrorismo rosso, le utopie generazionali… Invece, al termine di un'appassionata immersione nelle sei ore di film, ha voluto rivolgersi così alla sua parte politica: «Ancora una volta mi sono chiesto perché ieri come oggi una cultura che vorrebbe rappresentare un'altra Italia, lavorare a una rifondazione del Paese manifesti verso il cinema un atteggiamento spocchiosetto, rifiutando qualsiasi approfondimento, qualsiasi motivo di riflessione».
E' un buon segno - se non resterà solitario ed episodico - che da destra si cominci a osservare il cinema "di sinistra" con atteggiamento più aperto e disponibile. Guardarsi in cagnesco è inutile, oltre che anacronistico. Insomma, convinta o meno, la piccola rivoluzione è nelle cose: il governo sta per varare una tribolata riforma del cinema nel segno del reference-system, volta cioè a irrobustire gli assetti industriali e a sbullonare le vecchie pratiche assistenzialiste. Ma, al di là dei decreti legislativi escogitati dal ministro Urbani, esiste un problema di confronto culturale. La destra a Palazzo Chigi non può permettersi di essere vista dal mondo del cinema, compattamente progressista e sostanzialmente antiberlusconiano, come uno spauracchio, una sorta di nuovo sceriffo in città, che regola conti antichi e piazza i suoi registi (i pochi di cui dispone) in posti chiave. Qualcosa si sta muovendo, l'attenzione critica dimostrata nei confronti del film di Giordana invita a un cauto ottimismo, ma vedrete che di qui a pochi giorni basterà un niente - magari il rinfocolarsi della polemica storiografico-politica su Portella della Ginestra sollecitata da Segreti di Stato di Paolo Benvenuti, in gara alla Mostra - per rialzare gli steccati. Del resto, in tutta franchezza, non è che a sinistra spiri un'aria migliore. Ieri mattina, sull'inserto che l'Unità ha dedicato alla Mostra, sotto il titolo citazionista Venezia rosso shocking, si leggeva ironicamente: «Il vecchio film di Nicolas Roeg si chiamava in originale Don't Look Now, "adesso non guardare": titolo che potrebbe diventare lo slogan del ministro Urbani e di tutti gli intellettuali di riferimento della Cdl che non citiamo non perché manchi lo spazio, ma perché nessuno, tantomeno noi, sa chi siano».
Stando così le cose, mentre il direttore Moritz de Hadeln apre a sorpresa un nuovo fronte polemico nei confronti del Vaticano vagheggiando per il futuro alla Mostra un inutile e ghettizzante premio lesbo-gay, subito sottoscritto a sinistra, lanciamo una piccola provocazione agli ambienti più svegli e curiosi del centrodestra, nella speranza che sia raccolta senza fare spallucce. Perché non "adottate" un film? Perché non provate a guardare all'esecrato cinema d'autore fuori dalla consueta logica di schieramento, quella che innesca la reazione automatica, di pelle, ringhiosa?
Un titolo alla bisogna ci sarebbe. E' Buongiorno notte di Marco Bellocchio. Partendo da un verso di Emily Dickinson indaga sul versante "privato", se così si può dire, del sequestro Moro, raccontando, dall'ottica dei quattro carcerieri, quel cruciale episodio della nostra storia recente. Senza dietrologie e complotti, senza tirare in ballo i servizi segreti, Moretti infiltrato, il delitto Pecorelli, il Grande Vecchio, Hyperion, il memoriale scomparso, la dinamica dell'agguato, eccetera, come faceva invece Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli. Bellocchio viene da sinistra, militò da giovane nell'Unione dei marxisti-leninisti, visse la sbornia utopistica del Sessantotto e osservò criticamente la successive degradazioni militanti/militari di quelle istanze anti-autoritarie. Oggi spiega nelle interviste: «A me non interessa, non facendo lo storico, cercare di scoprire la verità. Ho voluto cercare all'interno di questa tragedia un movimento che non fosse solo apparente». E aggiunge, dopo aver ricordato che «per formazione e per ricerca non simpatizzavo per le Br»: «Allora vigeva una sorta di 'assurda coerenza' tra il pensare di cambiare il mondo e prendere una pistola per ammazzare. Una logica non giustificabile in alcun modo. Le br di oggi mi paiono ancor più fuori dal mondo e dalla realtà. Non credo che abbiano molta acqua in cui nuotare».
D'accordo, prima di prendere partito bisognerà vedere il film, che si annuncia problematico, dolente, ovviamente rischioso nel suo proposito di restituire la gestione "quotidiana" dell'infame sequestro: la doppia vita della vivandiera Anna Laura Braghetti, gli interrogatori del prigioniero, le farneticazioni ideologiche dei carcerieri riuniti a tavola, la votazione sulla condanna a morte, la concitazione tragica degli eventi. Ma c'è materia - si ammetterà - per tentare un confronto non "armato", aprioristico, intellettualmente fertile, pur nell'eventuale diversità dei punti di vista. «Chiamarsene fuori non paga», raccomanda Solinas. La cultura di centrodestra provi a raccogliere la sfida, mostri di essere più lungimirante e complessa dei suoi funzionari politici.