martedì 26 agosto 2003

la Corte di cassazione e la depressione

Corriere della Sera 26.8.03
LA SENTENZA / Riconosciuta a un’impiegata siciliana una riduzione del 50% della capacità di lavoro e di guadagno
La Cassazione: assegno d’invalidità anche per i depressi
Circa cinque milioni i malati in Italia Il doppio le ore d’ufficio perse all’anno

ROMA - I malati di depressione hanno diritto all’assegno di invalidità versato dall’Inps. Lo ha riconosciuto la Corte di cassazione sottolineando come questo «stato invalidante» influisca sulla «riduzione della capacità di lavoro e di guadagno in misura superiore al 50 per cento». A rivolgersi ai supremi giudici era stata un’impiegata siciliana, Angela D., che, dopo aver percepito il contributo per quattro anni, se lo era visto negare per ordine del pretore di Messina. Nel 1982 la donna aveva ottenuto il riconoscimento dell’invalidità «visto il ridotto rendimento sul lavoro» e dunque il minor guadagno. Nel 1986 l’Inps aveva però sospeso l’erogazione dell’assegno e Angela D. decise di rivolgersi alla magistratura. Il ricorso fu bocciato sia in primo grado che in appello. In entrambi i casi si ritenne infatti che l’impiegata fosse comunque in grado di svolgere la propria attività, sia pure non completamente. Una tesi del tutto ribaltata adesso dalla Cassazione.
«Per accertare la permanenza dello stato depressivo - si legge nelle motivazioni - il giudice deve effettuare necessariamente il raffronto fra la situazione patologica esistente al tempo della revoca e la situazione patologica esistente al tempo del riconoscimento. Ebbene, alla luce di questo confronto è emerso che la depressione dell’impiegata era oggettivamente uguale a quella accertata al tempo dell’iniziale riconoscimento della pensione. Ed è stato confermato che la malattia ha determinato una riduzione della capacità di guadagno in misura superiore al 50 per cento».
Spetterà adesso alla Corte d’appello di Catania, quantificare l’importo dell’assegno che dovrà essere versato dall’Inps, ma intanto le associazioni che si occupano di questa patologia plaudono per la decisione.
«Dopo il caso di un dipendente pugliese che si era dimesso dal lavoro e che è stato poi riammesso - dichiara Antonio Picano, presidente dell’associazione Strade (la Onlus per lo Studio e il trattamento della depressione) - questo è il secondo importante risultato. Finalmente viene riconosciuto che la depressione è una condizione invalidante, che deriva da una malattia biologica e non da un disagio soggettivo. Questa sentenza certamente contribuirà ad un maggiore riconoscimento dei diritti delle numerose persone affette da questa malattia».
Secondo una stima di Strade, in Italia i depressi sono circa 5 milioni, per un totale di ben 10 milioni di ore di lavoro perse ogni anno a causa di questa malattia. Nicola Magnavita, professore di medicina del lavoro e ricercatore al Policlinico Gemelli, invita però alla cautela. «Le depressioni che possono colpire un lavoratore - spiega - sono di varia natura. Ci sono i depressi da lavoro, ma anche gli stressati da situazioni extralavorative. Perciò dico che la solidarietà sociale è giusta laddove la depressione è cronica e davvero grave. La cosa più importante negli ambienti di lavoro è la tutela della privacy di queste persone. Perché la depressione può anche essere un fattore temporaneo e allora non si può sbandierare la malattia, rovinando la carriera. Inoltre sarebbe fondamentale intervenire non solo su chi soffre di depressione ma tutelare anche chi lavora con loro».
R. I.