mercoledì 24 settembre 2003

il tempo degli antichi: il Medio Evo

Corriere della Sera 24.9.03

Un convegno a Parma analizza il «tempo degli antichi» attraverso oltre mille anni di arte, architettura e urbanistica
Medioevo, tre culture in riva al Mediterraneo

di Arturo Carlo Quintavalle


Nel Medioevo, nei mille e passa anni fra l’arte paleocristiana e Giotto, che cosa vuol dire antico, che cosa vuol dire passato, che cosa tempo? E esiste un solo tempo degli antichi o ve ne sono diversi, e magari contrapposti, visto che presto, dal VII e VIII secolo, le culture sulle rive del Mediterraneo sono tre: la occidentale, la bizantina, l’islamica? È questo il tema del Convegno internazionale di studi Medioevo: il tempo degli antichi che si apre a Parma oggi a Palazzo Sanvitale e che fino al 28 concentrerà le 54 relazioni dei maggiori studiosi di Medioevo delle Università di mezzo mondo.
Nella Alexiade, Anna Comnena (agli inizi del dodicesimo secolo) è la principessa che alla corte di Bisanzio vede arrivare i comandanti della Prima Crociata, osservando che i principi d’Occidente sono rozzi, evidentemente sporchi, non sanno usar le posate, dunque sono estranei alla civiltà altissima della grande capitale, la metropoli d’Oriente.
Ecco, in che tempi vivevano i Crociati e in che tempi invece i civilissimi imperatori d'Oriente? Certo, mondo occidentale e Bisanzio hanno le stesse radici nell’Impero romano e Agostino ne La città di Dio sostiene che l’espansione dell’Impero è stata voluta dal Signore perché meglio si diffondesse la religione cristiana. Dunque, il tempo è prefigurato dal volere divino? Certo, ma i due Imperi, quello d’Occidente rinato con Carlo Magno e l’altro d’Oriente mai interrottosi dal tempo di Costantino, propongono un rapporto diverso con il passato. Per questo, un’importante serie di relazioni analizzerà la lunga durata del tempo di Bisanzio (Andaloro, Popova, Muratova, Ricci) testimoniando di un’organizzazione del territorio, delle architetture, delle immagini e, dunque, di una continuità con l’antico estranea comunque al Medioevo d’Occidente.
Qui, infatti, puoi prendere i frammenti romani e riutilizzarli, persino riusare le tessere dei mosaici, o copiare gli archi di trionfo nei portali scolpiti delle chiese, o i capitelli o i manoscritti (Kilerich, Castineiras, Valenzano, Peroni, Calzona, Caillet, Casartelli, Zanichelli, Gandolfo), ma alla fine la continuità, l’idea del tempo misurato secondo gli anni degli imperatori appare lontana. Semmai sono i pontefici di Roma a segnare un tempo nuovo e diverso in Occidente.
E l’Islam? L’Islam in apparenza riprende esso pure i frammenti del mondo romano o bizantino; così, per esempio, alla moschea Al Azar del Cairo, a fine dell’XI secolo, i capitelli di reimpiego bizantino sono moltissimi, e nella moschea di Cordoba i capitelli (quelli non fatti ex novo) sono riutilizzi di pezzi romani, tardo-antichi, visigotici; eppure qui, e in ogni altro luogo simbolico dell’Islam, l’idea non è quella delle chiese d’Occidente che intendono mostrare la continuità col mondo paleocristiano.
Nel mondo islamico è vero l’opposto, si cita, si riutilizza per dimostrare che tutto il passato rende omaggio, diventa nuova immagine negli edifici religiosi dell’Islam.
I tempi dell’antico nel Medioevo sono diversi e, a volte, si fanno scoperte singolari. Come Alain Erlande-Brandenburg che, scavando, trova che le navate delle chiese gotiche di Francia sono fondate su quelle delle antiche basiliche paleocristiane, dunque quello spazio nuovissimo nasce dall’antico.
Oppure come Xavier Barrai, che ritrova la geografia imperiale del rosso porfido e quella dei marmi per le sepolture dei santi e dei sovrani, e Tullio Gregory, che analizza la consapevolezza medievale del rapporto con un antico che, da Platone a Aristotele, appare irraggiungibile modello, «nani sulle spalle dei giganti» come scrive Giovanni di Salisbury. II dialogo con l’antico trasforma l’intera civiltà del Medioevo, lo dimostrano Enrico Castelnuovo e Salvatore Settis, che analizza l’età di Federico II, e decine di altri studiosi con loro.
Nei racconti de Le mille e una notte (composte nel IX secolo ma trascritte nel XV in Egitto) il palazzo, quello del sultano, quello del califfo, è il luogo delle meraviglie; ma qui non si raccolgono frammenti antichi, non si mostrano frammenti del passato, ma automi, fontane meravigliose, insomma creazioni dell'oggi.
Il mondo islamico nel Medioevo vive nella contemporaneità, esalta nuove tecnologie, per dimostrare la sua forza, la sua espansione enorme. Diverso il rapporto con il tempo in Occidente, la Chiesa ha scandito il recupero del mondo del passato costruendo il parallelismo fra Vecchio e Nuovo Testamento, prefigurato appunto dal Vecchio, per cui la storia esiste, certo, ma è come un cerchio che torna su sé stesso, direbbe Le Goff, e il tempo è l’anno cristiano che ritorna.
Così, nelle culture attorno alle sponde del Mediterraneo, si confrontano tempi differenti e modi diversi di citare il passato: i modelli appaiono costanti e stabili a Bisanzio; si utilizzano invece frammenti del passato romano o delle culture così dette barbariche nelle varie aree dell’Occidente. Comunque, il rapporto con il passato serve per dignificare attraverso di esso la città, l’edificio, il manufatto. Nel mondo dell’Islam il rapporto con il passato è funzione del presente. Per questo, gli storici arabi delle crociate descrivono gli invasori dell’Occidente come sanguinari, ma soprattutto come incivili, come selvaggi. Per questo, i tempi degli antichi nel Medio Evo sono anche confronto di racconti storici diversi sulle rive del Mediterraneo.