lunedì 8 settembre 2003

La Stampa

La Stampa 8.9.03
CONTINUANO LE POLEMICHE PER IL MANCATO LEONE A BELLOCCHIO. LA RAI DICE: «NON MANDEREMO PIÙ NOSTRI FILM AL FESTIVAL»
Venezia, il giorno dopo è tutto al veleno
Accusato anche Monicelli: «Dovevo minacciare i giurati?»
Simonetta Robiony


VENEZIA. Coda velenossisima questa fine della Mostra senza premi per i cinque film italiani in concorso tra «Venezia 60» e «Controcorrente», ma soprattutto senza il Leone d’oro a Marco Bellocchio dato fino all’ultimo come vincitore.

LA RAI E IL MANCATO LEONE.
Marco Bellocchio, appreso che per lui c’era solo una menzione speciale alla sceneggiatura (ma non era meglio niente?) aveva già abbandonato il Lido lasciando a Lo Cascio il compito di salire sul palco. Decisione discutibile ma personale, personalissima. Assai più grave, invece, quella presa da Giancarlo Leone, direttore di Raicinema: alla Mostra la Rai non manderà più i suoi film. «Il caso Bellocchio è la goccia che ha fatto traboccare il vaso - ha detto Leone - non crediamo che a Venezia ci siano le garanzie sui criteri della selezione né su quelli della formazione delle giurie. Meglio mandarli a Cannes, a Berlino, a Montreal. Alla Mostra non c’è attenzione per l’industria cinematografica italiana». Un siluro inatteso che scatenerà nuovi malumori e nuovi pettegolezzi, visto che fino a pochi giorni fa, pareva che tra la Rai e la Mostra di De Hadeln ci fosse pieno accordo. Cinque film italiani in concorso, Bernardo Bertolucci accolto come un dio, Stefano Accorsi giurato, Mario Monicelli presidente: che altro poteva fare lo svizzero Maurice De Hadeln per dimostare che il cinema italiano è in ripresa, va bene e soprattutto a lui piace tanto?

DE HADELN SÌ O NO?
Sembra incredibile ma questo benedetto mancato Leone a Bellocchio e al suo «Buongiorno notte» ha scatenato una bufera sul direttore della Mostra De Hadeln accusato di non aver usato la sua autorevolezza per convincere la giuria a premiare il film italiano. E siccome Moritz De Hadeln attende per fine anno la riconferma dell’incarico, avversari e concorrenti, da destra, hanno cominciato a scatenarsi contro di lui. Sede prescelta: la trasmissione di Marzullo dell’altra notte dedicata alla chiusura della Mostra dove Marina Cicogna ha dichiarato che ce ne sarebbero tanti direttori di festival bravi e italiani e Squitieri più platealmente che De Hadeln se ne deve andar via. Tutto ciò nonostante il presidente Franco Bernabè più volte abbia ripetuto alla stampa che intendeva riproporre in consiglio la sua candidatura. Lo farà ancora dopo la presa di posizione di questa Rai? Chissà. De Hadeln, intanto, mette le mani avanti e chiede rassicurazioni: la certezza che il mercato al Lido si potrà allargare, che cominceranno i lavori per una nuova sala, che ci sarà più spazio per i giovani cinefili con o senza un campeggio e meno biglietti omaggio a notabili e politici per le serate di gala. Ma lei, direttore, Bellocchio l’avrebbe premiato? «A me il film è piaciuto molto, alla giuria no. Non posso farci niente». E il film russo «Il ritorno» che ha vinto il Leone come lo giudica? «Importante. È il segno che gli autori russi ripartono dalla loro tradizione». È vero che è un accentratore? «La Mostra è fatta da un gruppo di lavoro troppo esiguo. Se faccio più del dovuto è perché mancano dirigenti capaci di decidere». Di che cosa è soddisfatto? «Dell’atmosfera serena che c’è stata, almeno fino al verdetto. E del doppio concorso che comincia ad affermarsi».

MONICELLI SOTTO ACCUSA
Sarcastico, sereno, a modo suo perfino pratico, Mario Monicelli, il grande vecchio del nostro cinema, è l’uomo che tutti accusano di non aver saputo difendere Marco Bellocchio e il suo film. Perfino De Hadeln si fa scappare che ha fatto poco, non ci ha creduto. Monicelli scuote le spalle. «Che ci posso fare? Noi italiani in giuria eravamo due: Accorsi ed io, presidente. Gli stranieri cinque. Loro il film non l’hanno capito. Ho provato a difenderlo. Non c’è stato niente da fare. Il film russo invece ci ha trovato tutti d’accordo e ha vinto. D’altra parte i giurati sono persone adulte: non potevo minacciarli per portarli dalla mia parte». Ma a lei piaceva «Buongiorno notte»? «Non è un capolavoro come “L’ora di religione”, ma è un buon film». È il sospetto che sia un film «cerchiobottista» ad avergli fatto perdere il Leone? «Sciocchezze. E poi potevo mai invitare i giurati stranieri a guardare il film con gli occhi di “Libero” o con quelli de “Il manifesto”? Suvvia. Ragioniamo». E gli altri film italiani? «Non mi parevano all’altezza del nostro cinema». Di chi è l’idea di dare a Bellocchio una menzione? «Mia. Volevo fosse almeno fatto il suo nome tra i premiati. Marco l’ha presa come un‘offesa. Ne sono addolarato. Visconti per quattro volte non ha avuto niente alla Mostra e non ha gridato al complotto. A me è successo che “I compagni” e “I soliti ignoti” fossero ignorati». Lei aveva detto che a parità di merito si sarebbe battuto per far vincere un italiano. «Non c’è stata parità di merito». Sa che la Rai è infuriata con lei? «Vuol dire che non finanzierà il mio nuovo film. Pazienza. Ne ho fatti sessanta. Aspetto».