martedì 4 novembre 2003

Marco Bellocchio: l'intervista a Vanity Fair

da VANITY FAIR, VANITYINTERVISTA
LA SERENITÀ È UN DONO TARDIVO

A 54 anni ha scoperto una vitalità mai conosciuta grazie alla figlia Elena. E ora, dieci anni dopo, sente di aver raggiunto un buon equilibrio. Niente male per un regista tormentato come lui, da sempre in psicanalisi.

Nel 1965, a soli 26 anni, Marco Bellocchio debutta come regista con "I pugni in tasca" di cui è anche sceneggiatore. È subito trionfo: la critica lo osanna come un genio

CON LO SGUARDO AL FUTURO: Marco Bellocchio, 64 anni, ha girato nella sua carriera ventuno film. Dopo il successo, e le polemiche per la mancata vittoria di "Buongiorno, notte" al Festival di Venezia, sta già lavorando a una nuova opera, "Il regista dimatrimoni"

«Ho vissuto oltre la metà di quello che ci tocca. Quindi intendo vivere bene quello che resta»


di Paola Jacobbi


A Parma, un infido motto campanilista sentenzia: "di quelli di Piacenza possiamo fare senza". Be', del piacentino Marco Bellocchio è difficile che il cinema italiano possa fare a meno. Amato, odiato, incompreso o venerato. Considerato perduto nelle brume della psicanalisi ai tempi del Diavolo in corpo e, adesso, con Buongiorno, notte, esaltato con il furore delle grandi cause. Questo signore, che compie 64 anni il 9 novembre, resta un personaggio capace di dividere come pochi.
Alle sue spalle, meno di trenta film e quasi quarant'anni di polemiche, fin dall'esordio, nel 1965, con I pugni in tasca. Adesso, mentre la pellicola sul caso Moro continua la sua buona performance al botteghino ed è invitato a molti festival, Bellocchio scrive il prossimo film, Il regista di matrimoni. Lavora prevalentemente di mattina, dei giornali legge la prima pagina, e poi salta a quelle della cultura e degli spettacoli, un vero intellettuale. Ammette di non essere disciplinato, ma si sforza di diventarlo. Il volto severo e bello, anche se avaro di sorrisi, ha scritto sulla pelle una dichiarazione d'indipendenza, artistica e personale. Non dev'essere facile avere a che fare tutti i giorni con uno così. «Bisognerebbe chiederlo a Francesca (Calvelli, 41 anni, da una decina compagna del regista e montatrice dei suoi ultimi cinque film, ndr). Comunqe sì, sì, sono un compagno difficile», risponde Bellocchio. «Ogni uomo e ogni donna hanno una loro inafferrabilità, ma nei rapporti di coppia si tende a voler possedere tutto dell'altro e questo già crea dei problemi. In più, un artista ha una sua specifica, ulteriore, inafferrabilità».
Si considera un partner disattento?
«In certi momenti, probabilmente sì. Quando sono perso dietro ai miei progetti, capita che chi mi è accanto si senta frustrato, escluso»
Come si fa perdonare?»
«Cerco di usare l'intelligenza. E poi sono sicuro di essere una persona buona. Posso essere assente, ma mai in modo cattivo»
Con Francesca lavora: questo arricchisce il rapporto o aumenta i conflitti?»
«Discutiamo molto, ma la collaborazione creativa prevale. Ho ricevuto molti complimenti per l'uso delle musiche dei Pink Floyd in Buongiorno, notte: quello è stato un suggerimento di Francesca»
Lavora anche con suo figlio Piergiorgio, che in Buongiorno, notte interpreta un terrorista.
«Con Piergiorgio ci sono stati alti e bassi. Ha cominciato a lavorare con me fin da piccolo (faceva capolino, a sei anni, in Salto nel vuoto. Poi ha assunto troppe responsabilità nella società di produzione, per colpa mia, che l'ho caricato di impegni. Così, adesso, come produttori lavoriamo ognuno per conto proprio. Le cose vanno molto meglio. Gli ho chiesto di esserci in Buongiorno, notte, lui ha accettato ed è andata benissimo. C'è sempre qualche polemica, anche con lui. Ma è una litigiosità sana».
I Bellocchio sono un grande clan familiare. Che cosa fate a Natale?
«Alcuni stanno a Milano, altri a Piacenza, io a Roma con la mia compagna. Piergiorgio passa le feste con sua madre. Non c'è la tradizione delle riunioni di famiglia».
Si è parlato di una "rinascita" artistica, dal film La balia in poi. Coincide con l'arrivo di Elena, la sua bambina.
Quasi. Elena è stata una sorpresa, una presenza non premeditata. Avevo già 54 anni, quello con lei è un rapporto vivificante, anche se adesso la vedo già andare per conto suo. È assetata di sapere, fa domande a raffica, usa parole di cui non conosce il significato: per lei è tutto una novità. Comunque non saprei dire se a causa di Elena o delle stagioni della vita, in questi anni sono diventato più sicuro e più sereno. Non rincoglionito, come ha scritto il critico Goffredo Fofi, sia chiaro. Piuttosto, con l'età, sento una maggiore urgenza di fare, costruire».
«Il tempo che passa le fa paura?»
«Si sente che gli anni scarseggiano, si teme il degrado fisico e mentale. C'è la consapevolezza di aver vissuto oltre la metà di quello che ci tocca. Quindi, ho ferma intenzione di vivere bene quello che resta».
Tentazioni di conversioni religiose?
«Neanche per sogno. Qualche sacerdote ha voluto vedere nel film L'ora di religione un mio avvicinamento al sacro, ma ne sono lontanissimo. Io mi sento legato al mondo, al presente, al concreto della libertà moderna, quindi la dimensione della fede, l'aspirare al trascendente, sono tutte cose che mi sono profondamente estranee. Wim Wenders si è convertito, va a Messa regolarmente e il fatto mi ha molto stupito. Per quanto mi riguarda, l'idea di saltare nell'aldilà non mi sfiora neanche».
Lei, che ha diretto film militanti come La Cina è vicina, è ancora di sinistra?
«Mi è più facile dire quello che non sono: non sono fascista, non sono berlusconiano, non sono in favore del capitalismo. Resta il fatto che credere, come molti della mia generazione hanno fatto, nella rivoluzione e nell'instaurazione della dittatura del proletariato si è dimostrato sbagliato e catastrofico».
In Italia la sinistra continua a perdere. Crede che sconti anche una certa contiguità culturale con il mondo dei terroristi che ha raccontato in Buongiorno, notte?
«Tra la sinistra istituzionale e i terroristi vi era una separazione radicale, ma resta il fatto che quei terroristi partivano da una formazione che aveva delle analogie. Quindi, sì, tragedie come quella di Aldo Moro hanno pesato anche sulla sinistra ufficiale, quella dei partiti».
Ripensando a quegli anni, si ha anche la sensazione che la prevalenza della politica avesse cancellato il principio del piacere: più si pensava alla rivoluzione, meno ci si divertiva.
«Nel mondo, estremo e malato, dei terroristi che descrivo in Buongiorno, notte questo veniva addirittura teorizzato. C'era una dimensione fanatico-religiosa che portava all'annullamento del corpo, la stessa sessualità si riduceva alla masturbazione con un giornaletto porno nella convinzione che solo così si sarebbe stati più concentrati nel progettare delitti e castighi. Erano passati dieci anni dal movimento liberatorio del '68, dove anche la promiscuità sessuale era rivoluzionaria. Alla fine degli anni Settanta, invece, non a caso, insieme con il terrorismo è esploso il fenomeno della droga: una forma di asessualità nirvanica, una risposta malata al desiderio di perdere il contatto con la realtà».
È ancora in analisi?
«Sì, frequento ancora, anche se non in modo regolare, le sedute di psicanalisi collettiva di Massimo Fagioli. So che una parte della cultura italiana mi ha considerato, per anni, perduto, stritolato nlle mani di questa persona. Ma i fatti della mia vita dimostrano il contrario. Fagioli non è un guru, è un terapeuta di alta scuola. C'è stato un momento in cui l'analisi ha coinciso cn il mio lavoro cinematografico. Oggi non è più così. Ma non ho niente da rinnegare, anzi. Credo che quell'esperienza mi abbia permesso di essere quello che soo adesso e che tanto viene apprezzato dagli stessi che mi definivano plagiato».
È vero che lei voleva fare l'attore, ma non ce l'ha fatta perché ha una voce stridula?
«È vero, ma è anche vero che Vittorio Gassman non aveva una gran voce all'inizio eppure per anni l'ha coltivata. Parlava, urlava, studiava, rompeva le scatole a tutti per imporsi e diventare quello che è diventato. Se anch'io avessi avuto la passione, quel cavolo che vogliamo, il sacro fuoco di stare in scena, mi sarei applicato. Invece, ho capito presto che mi interessava di più lavorare nell'ombra».
Sua nipote Violetta Bellocchio ha detto che nella vostra famiglia "c'è senso dell'umorismo su un fondo di cupezza". È d'accordo?
«Sono stato molto cupo, da giovane. Sono anche stato violentemente sarcastico e derisorio più che ironico. Oggi per come io mi batto in questa vita, i margini di cupezza sono diminuiti, ma anche quelli del sarcasmo. È un problema di percentuali: forse l'equilibrio è vicino».