martedì 4 novembre 2003

Umberto Veronesi

(una segnalazione di Sergio Grom)

Corriere della Sera 4.11.03
Veronesi: «Anche Ogm e staminali strumenti del nuovo illuminismo»
Parla l’oncologo italiano più famoso nel mondo: «Combatto il dolore perché allontana da Dio Non ho nulla da obiettare a quel che detta la coscienza, ma mi fa male il rifiuto della razionalità»

Umberto Veronesi è nato nel 1925 a Milano. E’ sposato con una pediatra ed è padre di 7 figli
Ha scoperto la sua «vocazione» a 18 anni: colpito in guerra da una mina, si appassionò alla medicina durante la degenza in ospedale


INCONTRI IN ITALIA / Il grande medico, Milano e la necessità di un «nuovo illuminismo»
Veronesi: combatto il dolore, allontana da Dio
di ALDO CAZZULLO


«Giobbe è più impaziente di quanto si creda. E Dio alla fine riconosce la sua ragione». Umberto Veronesi è un grande lettore della Bibbia. Coltiva fin dalla giovinezza studi teologici. Il suo testo prediletto è l'Ecclesiaste. Ma, forse per la sua pratica con la sofferenza, ha meditato a lungo sul libro di Giobbe. Ed è convinto che l'interpretazione più diffusa sia da rovesciare: «Giobbe non accetta la sofferenza ingiusta, l'imperscrutabilità del potere divino. Vi si ribella. E Dio non lo condanna». «Anzi - dice il professore -, Dio premia Giobbe e redarguisce i tre amici che vedevano nella sua sofferenza l’espiazione di qualche colpa ignota».
Da quel passo della Bibbia Umberto Veronesi, 78 anni, 7 figli, l’oncologo europeo più noto al mondo, ha tratto un insegnamento che non è stato estraneo alla sua storia di scienziato e gli fornisce ora una chiave di lettura del presente. «La sofferenza è stata considerata per secoli una forza purificatrice, un fattore di redenzione. Osservare per una vita la sofferenza degli altri, però, mi ha condotto alla conclusione opposta. Il dolore allontana da Dio. Il malato terminale è del tutto concentrato su se stesso. Il male lo induce a dimenticare il bisogno della divinità, lo distrae, lo impegna in ogni momento. E’ un cattivo consigliere. Va prevenuto, lenito con ogni mezzo disponibile, se possibile sconfitto. E la premessa di questa battaglia è ripristinare il primato della ragione».
Il professore cerca tra le carte dello studio, nell’Istituto europeo di oncologia di cui è fondatore. Ritrova il testo della «lectio» tenuta il 19 maggio scorso all’università di Milano, che gli ha conferito la laurea honoris causa in biotecnologie mediche. «Vede? Nella prima pagina sono citati Beccaria, i fratelli Verri, Cattaneo, che oggi è ricordato solo per il federalismo ma che confidava nella scienza al punto da legare l’evoluzione politica italiana al progresso scientifico. Per questo sono rimasto molto colpito dall’editoriale con cui Stefano Folli ha indicato la necessità di un "nuovo illuminismo". Oggi pare quasi che l’illuminismo sia considerato morto, che il pensiero razionale debba cedere alla superstizione, al miracolismo, a valori esclusivamente soprannaturali. Questo atteggiamento è frutto di un’ideologia. Di un pregiudizio negativo, incentrato sull’intangibilità della natura, che rappresenterebbe il bene assoluto, mentre le biotecnologie sono additate come il male. Siamo di fronte a un errore, che non ha neppure giustificazioni dottrinarie. Nella natura vige la legge del più forte, e anche la cultura cristiana lo riconosce; penso ad esempio alle riflessioni di Miegge sulla brutalità della natura. L’evoluzione stessa è frutto del caso. Per questo l’uomo da sempre interviene sulla natura, la cambia, la migliora. Ora abbiamo mezzi per intervenire meglio che in passato. Dobbiamo elaborare un pensiero che ci aiuti a usare questi mezzi».
Il razionalismo propugnato da Veronesi non è in contrapposizione alla cultura cattolica. Il professore non rinnega le sue convinzioni laiche, frutto, oltre che dello studio, dell’esperienza. Racconta ad esempio di non ritenere che la morte sia un passaggio più lieve per i credenti; di aver avuto a volte l’impressione contraria, che i non credenti siano i più preparati alla fine, i più consapevoli del dovere di cedere il posto alle nuove vite.
Ma non nasconde l’interesse e l’apertura verso il mondo cattolico. C’è un sacerdote che ha contato molto nella sua vita. Non si considera affatto un anticlericale. Né intende polemizzare con il «neoguelfismo» manifestatosi di recente in Parlamento. Avverte però un pericolo: «Tutta la discussione sulla bioetica e sulle biotecnologie avviene in chiave difensiva. Il pregiudizio è che le novità siano pericolose e occorra mettersene al riparo. In questo modo straordinarie opportunità come gli Ogm e le cellule staminali diventano fobie. Non ho nulla da obiettare a quel che detta la coscienza, provo rispetto e amore per il pensiero religioso. Mi dispiace però l’opzione antiscientifica. Il rifiuto della razionalità. La negazione dell’illuminismo».
Il luogo naturale per progettare il futuro e far crescere le nuove idee appare a Veronesi la città dov’è nato e si è affermato, Milano. Il professore avverte anche qui i segni dei vizi italiani, un certo conservatorismo, la tentazione familista e oligarchica; eppure la sua visione della metropoli è positiva, e le prospettive gli sembrano ancora migliori. «A Milano il cattolicesimo ha venature gianseniste. Da sempre i grandi capitalisti coltivano una coscienza sociale. Non è morta la lezione di Eustachio Degola, l’abate che influenzò anche Manzoni, per cui le grandi fortune dipendono dal merito ma anche dalla grazia divina, che va in qualche forma ripagata. Si spiega anche così il mecenatismo milanese». Ci sono nuovi progetti per il professore. Come l’ospedale modello pensato insieme con Renzo Piano, non più caserma ma luogo di accoglienza. E come la cittadella della salute, con una serie di centri europei per la cardiologia, l’oncologia, le malattie mentali, la neonatologia, la ricerca. Quando si trattò di realizzare l’Istituto europeo di oncologia, Veronesi si rivolse a un altro personaggio simbolo del mondo laico milanese, Enrico Cuccia.
«Ma Cuccia - ricorda - era un uomo molto religioso. Di una religiosità critica, capace di accettare il pensiero dissidente. Con lui ho avuto lunghe discussioni sulla fede, sull’anima». Veronesi coltiva un’idea socratica dell’anima - vista come psiche, come pensiero - che non appartiene solo al mondo pagano. In questa chiave, spiega, si può considerare l’anima immortale: «Anche teologi dell’età medievale e rinascimentale, come Pomponazzi, accostavano l’anima al pensiero. E oggi la Chiesa acconsente all’espianto degli organi da uomini ancora vivi ma di cui l’encefalogramma piatto indica che hanno perso il pensiero. Di noi restano le idee. E il patrimonio genetico, che trasmettiamo ai nostri figli. E’ lì la vita eterna, almeno per me. La ricerca del divino riguarda tutti, anche me. Ho cercato di approfondire le varie confessioni, e questo approccio, come nota Mircea Eliade, predispone allo scetticismo, in quanto ci si imbatte in dieci diverse religioni, ognuna convinta di possedere la verità. Ma non sono insensibile alle suggestioni della teologia della crisi di Karl Barth: se Dio si è allontanato, ha comunque lasciato una parte di sé tra noi. E’ quella che andiamo cercando».
Dell’anno trascorso come ministro ha un buon ricordo. «Mi hanno impressionato l’efficienza e la preparazione dell’alta burocrazia, che di fatto guida l’amministrazione del Paese. Nei primi giorni i direttori generali erano disorientati, non erano abituati a un ministro che arrivava alle 8 del mattino. Si sono adeguati fin da subito, e hanno lavorato molto bene. Non ho pregiudizi nei confronti della politica. Vi ho trovato passione, non ho mai visto segni di corruzione, neppure di quella intellettuale. Non mi appartiene però l’attitudine del politico a dire non quel che pensa ma quel che è utile alla sua parte. Mi rendo conto che si tratta di una necessità. Ma non fa parte della mia natura».
Continua, il professore, a esercitare un potere da cui non ci si può dimettere, quello del medico verso il paziente.
«Il nostro lavoro è fatto di almeno tre componenti. Quella scientifica. Quella creativa, che influenza anche la chirurgia, una forma di artigianato se non di arte. E quella magica. Il medico esercita una sorta di potere magico sul paziente. Può alleviare, oltre alla sofferenza del corpo, quella della psiche. Ha tra i suoi doveri, oltre alla verità, l’ottimismo. Sono affascinato dalla fantasia, ne sento la forza sulle arti che mi appassionano e talvolta pratico, la musica, la pittura, la poesia. Non rinuncio alla ragione. Non devo, e non posso».