mercoledì 17 dicembre 2003

Giorello, ancora il punto di vista illuministico

La Repubblica 17.12.03
Chi decide della nostra vita
Il corpo tra la scienza, lo stato e la chiesa

Riportare la scelta ai singoli individui
Vietato dire dio non lo vuole o dio lo vuole
Parla il filosofo della scienza Giulio Giorello Quali ragioni sono dietro al dibattito che ha animato la legge sulla procreazione assistita
La contrapposizione tra laici e cattolici, l'uso della tecnica, il ruolo della politica. Che cosa significa, nel mondo di oggi, essere responsabili
di Antonio Gnoli


Il filosofo della scienza Giulio Giorello trova riduttiva la contrapposizione che fra laici e cattolici si è instaurata a proposito di quella variante biopolitica che è la legge sulla procreazione assistita. Dice Giorello: «Ci sono laici che per le proprie paure si possono schierare su posizioni che appartengono alle gerarchie ecclesiastiche, e cattolici che su questi argomenti hanno sviluppato una indiscutibile sensibilità laica. Quanto all'idea che la vita sia sacra è un principio messo in questione dalla scienza molto tempo fa. E trovo particolarmente interessanti le parole di Christian de Duve - uno scienziato che ha studiato nella cattolicissima Lovanio - dove nel suo libro "La vita che evolve" (edito da Cortina) sostiene che proprio il rifiutarsi di intervenire là dove la scienza ci permette di farlo per superare i limiti dovuti alla cattiva sorte, sia un atto di irresponsabilità.
«Naturalmente la responsabilità non consiste nell´utilizzare il famoso principio di precauzione con il quale bloccare qualunque decisione in nome del fatto che questo principio prescrive che si possa intraprendere un intervento tecnologico solo quando si è sicuri che non ci sia rischio alcuno. Pensare che il rischio non si annidi nel nostro mondo, nella nostra vita è una pura e semplice pretesa metafisica. Ed è interessante che questa posizione metafisica la condividano tanto i "soloni" dei comitati bioetici quanto i più estremi leader della contestazione agli Ogm.
«Intendiamoci. Non dico che i timori non debbano essere presi sul serio, soprattutto quando sono timori biopolitici, ossia problemi che riguardano i nostri corpi, che coinvolgono direttamente le nostre vite. Ma mi sembra un errore madornale scolpire degli idoli o dei feticci dentro le nostre paure. Uno di questo feticci è che madre natura non va toccata, l'altro è che le biotecnologie non manipolino ciò che Dio ha voluto non manipolabile. Quest'ultima battuta è stata profferita da quel titano del pensiero che risponde al nome di Carlo d'Inghilterra.
«Certo, non penso che la scienza debba governare il mondo, ma d'altra parte non desidero che il mondo sia guidato da una élite di super esperti bioetici che stabiliscano le regole in base alle quali decidere che cosa è giusto o sbagliato in materia di interventi sul corpo umano. Ciò che ritengo basilare è la scelta che va ricondotta ai singoli individui, donne e uomini, sapendo bene che in molti casi si tratta davvero di scelte dolorose. Perciò la prima cosa che un bioeticista dovrebbe fare è rispettare la sofferenza reale delle persone. Si può davvero credere che una donna che ricorra alla fecondazione eterologa ci vada a cuor leggero? O che un uomo incapace di procreare sia contento del proprio stato? Sono scelte difficili, non lo metto in dubbio, ma in una società che si richiama ai principi liberali, quelle scelte ricadono sull´individuo, gli appartengono.
«Perciò invece di preoccuparsi dello stato psicologico dei nati in provetta - i quali peraltro mi dicono che non stanno né meglio né peggio di quelli nati dalle famiglie normali - perché non provare a capire i bisogni e i desideri che la gente ha e che non sono qualcosa di puramente trasgressivo, ma nascono spesso da una mancanza, da una sofferenza.
«C'è un rispetto dell'esistenza che non coincide con l'idea che la vita sia sacra. E nondimeno quel rispetto è ciò che conta perché nasce dalla libera scelta degli individui. Pur nel dolore e nell'incertezza quella libera scelta va salvaguardata. Ricorrere a forme proibizioniste è insensato. Fra l'altro non hanno mai funzionato. Il filosofo Habermas ha liquidato l'idea di "libera scelta" come qualcosa di riconducibile al liberalismo prima maniera, all'illuminismo settecentesco. A lui e ad altri che usano in maniera sprezzante l'etichetta "illuminismo" replico che ne siamo gli eredi. Eredi di una dottrina, di una visione del mondo, che ha fatto progredire l'Europa. Non possiamo rinunciare all'esortazione di Kant quando dice che occorre avere il coraggio di sapere, ma, aggiungo che bisogna avere anche il coraggio di fare. E ciò non significa l'esaltazione della ragione acritica, né il tentativo di instaurare il governo della scienza sulla città. Ma piuttosto il riconoscimento dei propri limiti per poterci poi lavorare dentro e non accettarli passivamente. Michel Foucault è stato tra i primi a capirlo: parlando dell'importanza del prendersi cura di se stessi e della biopolitica. A questo proposito non mi pare irrilevante ricordare una cosa ovvia, ma fondamentale: non può essere lo Stato a decidere che cosa sia naturale o artificiale. Come pure bisognerebbe fare giustizia delle battute tipo: "Dio lo vuole" o "non lo vuole". Se uno ha un filo diretto con una entità spiritualmente superiore e scambia il proprio autoritarismo per infallibilità, ogni possibilità di confronto o discussione si chiude in partenza. Se lasciamo cadere queste pretese e ridiamo il ruolo che spetta al cittadino, ossia a colui che solo può decidere in materia del suo corpo, allora c´è speranza per una civiltà fatta di individui reali e compiuti.
«Abbiamo imparato che la biopolitica ha due facce. Quella con cui lo Stato vuole prendersi cura a tutti i costi del mio corpo, della mia vita, e della mia morte. E lo trovo aberrante. Non sto parlando della sanità, degli ospedali, dell'assistenza, che sono servizi che ogni civiltà sviluppata deve avere, ma di un´entità astratta che entra nelle tue decisioni più intime e dolorose.
«Il lato positivo della biopolitica è che la scienza deve diventare un'alleata dell'individuo, non un avversaria da temere o da combattere.
«Si invocano i valori comuni. La morale codificata. I valori comuni creano uomini comuni. E la morale codificata la si usa fino a quando fa comodo. È un feticcio da esibire in alcune circostanze. Mi è stato chiesto se la bioetica è in qualche modo l'anticamera dello stato etico. Ho risposto che avendo la bioetica che si pratica in Italia perso i caratteri per cui era sorta, più che l'anticamera dello stato etico è la sua sala da pranzo».