La Repubblica ed. di Palermo
LA METAFISICA È NEL GIARDINO
di Marcella Croce
Dal 6° secolo A.C. in poi, il giardino persiano come recinto, come microcosmo, come paradiso (da paradaiza che vuol dire appunto "spazio delimitato"), ha stabilito un modello imitato senza soluzione di continuità in tutto l'Islam, dagli estremi lembi occidentali del Marocco e di El-Andalus, fino ai lontani regni degli imperatori Moghul nel Rajastan indiano e di Tamerlano a Samarcanda, dove pare che la disposizione degli alberi tenesse conto perfino del colore e del profumo delle specie. Un principe o una coppia regale stanno comodamente seduti in un lussureggiante giardino, altre volte un giovane raccoglie frutta o fiori da un albero: immagini in apparenza mondane che in realtà nascondono profondi significati metafisici.
Su questi sfondi incantati fiorì un genere letterario specifico, la "poesia del giardino", il cui più illustre rappresentante, nel 13° secolo, fu Ibn Khafaya de Alzira, detto "il giardiniere". E non sono le uniche espressioni d'arte in cui l'Iran ha espresso il suo amore per i fiori: moltissimi tappeti persiani ne sono cosparsi e riproducono all´infinito un meraviglioso fiabesco giardino. Tuttora numerosissime sono le botteghe dei fiorai in ogni città iraniana, ciascuna in grado di confezionare in un batter d'occhio leggiadre composizioni floreali. Assecondando un profondo bisogno di organizzare la terra secondo un reticolo e di porre l'individuo al centro di quel cosmo concettuale, il giardino persiano chaharbagh (cioè il "tetragiardino") era solitamente diviso in quattro settori, ciascuno con un diverso albero da frutta, ed era previsto che il paesaggio circostante includesse luoghi appositamente rialzati per permettere sia il godimento temporale che la contemplazione mistica: i toponimi takht (trono) o suffe (sufisti) la dicono lunga in proposito. Come in eschimese esistono dozzine di termini per indicare i vari tipi di neve, e in arabo almeno altrettanti per i vari tipi di sabbia, allo stesso modo la lingua persiana si sforza e si sbizzarrisce a designare i vari tipi di giardino. Giardini con pianta a croce esistono sia nell'Alhambra di Granada che nell'Alcazar di Siviglia e a Madinat-al Zahra presso Cordoba e con certezza il chaharbagh non mancò di fare la sua comparsa anche nella Sicilia araba, e di ispirare poi i giardini siciliani di tutte le epoche successive.
Certamente erano circondati da giardini di questo tipo tutti i solatia normanni, la Zisa in particolare, nel Chiostro di Monreale ne esiste ancora uno, ne porta l'impronta perfino un giardino relativamente moderno come Villa Giulia a Palermo, nel quale ciascuno dei quattro quadrati è poi a sua volta tagliato trasversalmente. Se l'influenza più diretta per tutta questa accurata geometria è quella francese, non è però certo un caso che esattamente lo stesso elaborato disegno si possa osservare nelle antiche piante del giardino, non più esistente, di Bagh-i-Guldaste a Isfahan. Le quattro esedre centrali di Villa Giulia possono richiamare alla mente gli eiwan, uno dei più tipici elementi dell´architettura persiana, che qualcuno fa risalire alla cultura zoroastriana, mentre altri vi individuano ascendenze ellenistiche: non solo in natura, ma anche nelle culture umane, nulla si crea e nulla si distrugge.
A Palermo, nel grande parco reale del Genoard, come tutti i re della storia degni di questo nome, i normanni andavano a caccia: nei mosaici della stanza di re Ruggero al Palazzo Reale, e in quelli della creazione degli uccelli a Monreale, siamo ancora in grado di cogliere uno splendido barlume di quei paradisi. La chiesa della Martorana, per la grande abbondanza di elementi vegetali nella sua decorazione musiva, fu definita chiesa-giardino dal grande esperto di arte bizantina Ernst Kietsinger. Ma, certamente in misura molto maggiore degli edifici in pietra, i giardini vengono alterati e distrutti con stupefacente rapidità, e inoltre, nell´ultimo trentennio, proprio nell´area del Genoard sono stati costruiti gli edifici dell´Università di Palermo in viale delle Scienze; per strano parallelismo anche l'Università di Isfahan sorge oggi nella zona dove nel 17° secolo verdeggiavano i giardini dei re safavidi.
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