mercoledì 17 dicembre 2003

una risposta a Raboni sul tema della poesia

Corriere della Sera 17.12.03
Ma la poesia è più regola che sogno
di Cesare De Michelis


«Un sogno fatto in presenza della ragione»: Raboni fa sua (sul «Corriere» di domenica 14) la definizione della poesia di un illustre letterato del Settecento, il gesuita Tommaso Ceva, retrodatando di un paio di secoli la carica eversiva della teoria psicanalitica che separò irrimediabilmente la faticosa pratica della poesia (poiein vuole ben dire fare) dal senso che essa esprime e trasmette. Il Novecento poetico fu sin dall'inizio drammaticamente segnato dalla lacerazione sanguinante provocata dalla psicoanalisi, che mise in moto non solo la deriva surrealista, nella quale il senso rapidamente si smarrirà con grave pregiudizio della poesia stessa, come Raboni stesso lodevolmente riconosce, ma, dall'altra parte, anche l'ostinato inseguimento di un'ideale di purezza poetica - prescindendo, dunque, dalla storia e dall'esperienza - destinato anch'esso a produrre un altrettanto radicale smarrirsi del senso nell'astratta vaghezza dell'indistinto.
Eppure bastava segnalare la sostanziale estraneità del sogno nell'interpretazione del pensiero classico - da Aristotele a Cardano fino a Ceva - da ogni sorta di sogno psicoanalitico, l'uno frutto dell'estro, dell'ingegno e della memoria nel tempo liberato del sonno, l'altro vittima degli oscuri labirinti dell'inconscio, nei quali resistono, al di là di ogni volontà e responsabilità, le più segrete pulsioni dell'individuo, prudentemente rimosse dalla coscienza.
Più semplicemente la poesia consistette nei secoli della tradizione nel dire una cosa per l'altra, secondo le regole logiche della metonimia o piuttosto secondo quelle altre analogiche e imprevedibili della metafora, se non addirittura del mito; il che consente di non predeterminare ogni interpretazione possibile senza abbandonarsi all'irragionevole primato del lapsus. La poesia è davvero una questione di lingua e di forma, perché essa trova e per sempre (für ewig) i modi di dire quel che altrimenti non sapremmo, ed è quindi fare in coscienza, prescindendo rigorosamente dal rimosso.