domenica 1 febbraio 2004

Cina

Corriere della Sera 1.2.04
Il nuovo numero di Aspenia
«Il tempo della Cina Opportunità e rischi del grande boom»
di Orsola Riva


La Cina è vicina? No, la Cina è già qua. Basta guardarsi attorno. Dalle lucine dell’albero di Natale alle bambole con cui giocano i nostri figli (il 60% della produzione mondiale dei giocattoli è made in China), dalle calzature ai computer (un paio di scarpe e un pc ogni due): perfino la birra cinese ha superato in volume quella made in Usa. Al gigante asiatico è dedicato il numero della rivista Aspenia in edicola da oggi. Ronald Dore, professore associato alla London School of Economics, si interroga sui nuovi equilibri geopolitici determinati da un boom economico che non ha precedenti nella storia (ufficialmente la Cina ha un tasso di crescita del 7% annuo, ma il dato reale si aggira attorno all’11-12%). «L’incredulità - scrive Dore - sta lasciando il posto alla paura, soprattutto in Giappone e negli Stati Uniti».
Dietro la battaglia commerciale in corso (con il braccio di ferro per la rivalutazione del renminbi e la minaccia di dazi), c’è in gioco l’equilibrio dei rapporti geopolitici con quello che Bush ha definito il «rivale strategico» dell’America. Il professor Dore arriva a ventilare il fantasma di una nuova «guerra fredda», con una leadership come quella cinese che cerca di raggiungere uno status di parità militare (aumentando le spese per gli armamenti del 18% in un anno).
Una prospettiva allarmante, ma meno fosca se si considera, come ricorda l’intervento di Cesare Romiti, presidente onorario di Aspen Institute Italia, che la nuova generazione di ingegneri sfornati dalle università cinesi (quasi mezzo milione l’anno) è stata formata da professori che si sono specializzati proprio nelle università americane ed europee.
Romiti cita alcuni numeri significativi. Oggi la classe media in Cina conta 400 milioni di persone e le persone «affluenti» sono 200 milioni: un mercato gigantesco (equivalente a mezza Europa e a due terzi degli Stati Uniti). E fa alcuni casi: come quello dei telefonini, la cui flessione in America e in Europa (75 milioni in meno nel 2002) è stata compensata dai 65 milioni di esemplari venduti in Cina nello stesso anno.
«Si capisce - conclude Romiti - perché tutti, nei principali Paesi industrializzati, guardino alla Cina. Per questo motivo si rimane perplessi quando le difficoltà in termini di concorrenza sono ingigantite al punto di oscurare le opportunità che il mercato cinese può riservare alle imprese italiane». Tanto più se si considera che anche il problema, serissimo, delle contraffazioni non va imputato certo solo alla Repubblica popolare, visto che in materia di produzione di copie l’Italia sta davanti alla Cina (essendo «leader» in Europa e quarta in tutto il mondo).
A novembre, su iniziativa di Romiti, è nata la Fondazione Italia-Cina, il cui scopo è proprio di sviluppare le relazioni fra i due Paesi coinvolgendo gruppi industriali ma anche ministeri e regioni. Anche perché, nel frattempo, gli altri Paesi stendono tappeti rossi alla Cina. Come Parigi, che ha ricevuto questa settimana il presidente Hu Jintao, atterrato lunedì da un Boeing 747, ma portato in visita, giovedì, allo stabilimento dell’Airbus di Tolosa a cui ha ordinato 21 nuovi jet.
I NUMERI Fu Deng Xiaoping a sdoganare il capitalismo lanciando alla fine degli anni 70 il motto «arricchirsi è glorioso». Oggi il tasso reale di crescita del Pil cinese è pari all’11-12% annuo. Tra il 1990 e il 2003 l’export è aumentato di otto volte, fino agli attuali 380 miliardi di dollari (6% delle esportazioni del pianeta) e gli investimenti esteri sono passati da 25 a 500 miliardi di dollari. In media ogni anno un cinese lavora 2.370 ore contro le 1.670 di un lavoratore italiano (il primo guadagna in media 45 centesimi all’ora contro i 13 euro del secondo)