domenica 1 febbraio 2004

il volto «confluenza di conscio e inconscio»,
Federico II e la fisiognomica medioevale

La Gazzetta del Mezzogiorno 1.2.04
La faccia come sistema di segni da decifrare e da manipolare: è questo l'oggetto della "Fisiognomica" medievale?
di Raffaele Iorio


Il recente rimpasto facciale di un noto uomo di potere ha stimolato divagazioni di varia antropologia, fondata sulla spendibile spettacolarità dell'apparenza. Meno rozzamente, si è anche riscoperta l'unica cosa che di noi non vediamo, ma l'altro vede: il volto. E la sua immagine ri-tratta. Entrambi non a caso forme verbali passive: "viso", da visto, ma visto dagli altri; e "ri-tratto", ma tratto dagli altri.
L'uno e l'altro, dunque, sistemi di relazioni fra dentro e fuori: cioè fra quel che veramente ci identifica e siamo (il sé), e il modo con cui siamo presenti, ci rap-presentiamo, appunto, nel mondo esterno in una dimensione socialmente accettabile (l'io).
E allora il volto, confluenza di conscio e inconscio, è il sé che si disvela. Sii te stesso. O, come esortava Nietzsche, diventa ciò che sei. A patto però d'esser prima qualcuno; giacché o appari quel che sei o sei quel che appari. Dallo sguardo, soprattutto. Guardarsi negli occhi è una forma di controllo reciproco. L'occhio, fatto per guardare, guardato, per difendere l'accesso a una incresciosa intimità, si abbassa. La bocca invece (non a caso da "buca": il viso ne ha tante da cui noi veniamo fuori) è l'altro correlativo facciale del pensiero che, prendendo la forma delle parole che pronunciamo, elude più degli occhi la sor-veglianza.
Non è dunque per imperizia se fino al XIII sec. le immagini dei potenti non ne consentono la identificabilità realistica. E, personaggio più che persona, Federico II in pubblico, ieraticamente impassibile come in una sorta di fermo immagine, parlava per bocca di Pier delle Vigne, il "Logotheta", l'architetto cioè delle parole. Viceversa esigeva, per l'assunzione dei suoi massimi funzionari, di osservarli personalmente e di sentirli parlare. Era l'attuazione della dottrina della "Fisiognomica" di Michele Scoto, che nel 1230 proprio all'imperatore dedicava il suo "Liber phisionomie". Era l'innesto in Occidente della cultura sperimentale araba contenuta nel "Sirr-al'-asrâr", noto come "Secretum secretorum" pseudoaristotelico.
Epperò Federico, considerandosi controfigura di Dio, se rifiutava per sé, come appunto compete a Dio, l'appartenenza al tempo, negli uomini la esigeva: ritenendo che nel segno del tempo, cioè l'età, si palesa la fertilità dell'uomo.
Paradossalmente, la pseudocultura d'oggi eredita il peggio del cristianesimo: il corpo, se per questo è involucro peccaminoso da redimere, per il nostro igienismo edonistico è perennemente inadeguato: o lo si rimuove o lo si restaura. Ma nella scelta di fissità delle sue maschere scolpite dal bisturi, e nella loro recita a oltranza d'una giovinezza posticcia emana, come da mummie animate, oltre il rifiuto della propria storia, un sentore di morte.