domenica 1 febbraio 2004

Emanuele Severino sulla guerra
(un infernale labirinto mentale!)

Corriere della Sera 1.2.04
ELZEVIRO
L’uomo e la guerra
Mangiare e uccidere Le radici della colpa
di EMANUELE SEVERINO


Se l’uomo non si libera dalla colpa originaria, cercherà invano il rimedio dei mali - fame, guerra. Così, per le religioni. Il nostro tempo rifiuta questa visione. Ma essa è l’immagine di un pensiero più profondo. Proviamo a indicarlo. Non si vive senza mangiare - e la fame spinge alla guerra. Dopo il socialismo reale, oggi è l’Islam a voler guidare e interpretare la fame del mondo. Ma anche per l’Islam la nostra vita incomincia con la colpa di Adamo: egli mangia la mela che può farlo diventare Dio. Se questo cibo ha tanta potenza, l’uomo, mangiandolo, vuole mangiare Dio, identificarsi alla potenza suprema. I gesti più indispensabili alla vita - come il cibarsi - sono quindi sentiti come gli errori più profondi; la vita stessa è deviazione, colpa. Anche per Eraclito la vera morte è nascere.
L’uomo religioso crede che liquidi, vegetali, animali, corpi del nemico ucciso contengano forze superiori, «divine» e che dunque, mangiandoli e bevendoli, egli possa immedesimarsi con la potenza suprema del Dio. Il cibo nutre solo se è sacro. Da noi è diventato routine alimentare e ci si rifiuta di credere che bere e mangiare possano essere una colpa. Ma si continua a crederlo nelle patologie alimentari. Ed è vistosa la permanenza del passato nel rito cattolico dell’eucarestia, dove viene mangiato e bevuto il corpo e il sangue di Dio. E comunque il senso originario del mangiare Dio permane nella volontà dell’uomo di appropriarsi della potenza suprema del nuovo Dio, la Tecnica.
L’uomo incomincia a vivere quando vuole diventare qualcosa di diverso da ciò che egli crede di essere. Affamato, debole, atterrito, vuol essere altro, cioè le potenze che lo fanno diventare altro - sazio, forte, felice. L’esperienza religiosa si rivolge appunto alle forme originarie di questa volontà: mangiare, bere, uccidere ciò che si mangia e si beve, unirsi sessualmente. Quando si uccide non si vuole soltanto un vuoto - l’assenza dell’ucciso -, ma si vuole occupare il vuoto ottenuto, incorporando le forze che lo riempivano. Mangiare è uccidere; uccidere è mangiare. Anche l’unione sessuale, come il mangiare e l’uccidere, è un voler diventar l’altro a cui ci si congiunge ed essere «uno» con esso - ut unum sint. Non si vive senza mangiare, uccidere, unirsi sessualmente. Poi, anche il sapere verrà inteso come incorporamento («sapere», «sapore»).
Le religioni vedono la colpevolezza del vivere, ma la rinviano a un tempo che precede la vita. In quel tempo il Dio viene ucciso, o si tenta di ucciderlo, e tuttavia l’uccisione del Dio genera il mondo. Le parti del mondo sono ad esempio le membra della dea Tiamat. Nel cristianesimo, dopo il tentativo fallito di Adamo, è il Verbo stesso di Dio che vuol morire in croce, generando il nuovo mondo redento dal peccato. Perché il Dio possa esser mangiato non è forse necessario che innanzitutto sia ucciso, smembrato, reso cibo? La vita è colpa perché presuppone l’uccisione del Dio.
Al di là di ogni esperienza religiosa, si fa innanzi qualcosa di essenzialmente più radicale intorno al senso autentico della colpa del vivere: così radicale da lasciarsi alle spalle le nostre convinzioni più profonde, e innanzitutto la più profonda e radicata di tutte: che le cose del mondo siano - come si diceva - un diventar altro, e che noi viviamo perché vogliamo diventar altro da ciò che siamo e vogliamo far diventar altro le cose e gli umani. Si fa innanzi, infatti, il pensiero inaudito e spaesante che la «colpa» autentica del vivere è proprio il volere (presente anche nell’amore più tenero) che qualcosa divenga altro da ciò che essa è.
Mangiare, uccidere, unirsi con l’amore dei sessi è colpa perché in ognuno di questi gesti è presente il voler diventare e far diventare altro le cose, ossia è presente la stessa condizione fondamentale del vivere.
Il pensiero inaudito e spaesante dice questo: se si crede che qualcosa diventi altro - ad esempio che l’uomo diventi cenere (o Dio) -, allora si crede che egli, diventato altro da sè, è altro da sè, è altro da ciò che esso è. Se è lui, e non un’altra cosa, a diventare altro da sè, è cioè necessario che egli, restando se stesso, sia insieme ciò che egli non è; che restando uomo sia, insieme cenere (o Dio). E credere in tutto questo non è forse la follia estrema, la colpa in cui per altro ci si trova in ogni momento della vita?
Così, il pensiero inaudito vede la colpa e la follia in ciò che per i mortali è l’evidenza suprema. Tale pensiero si fa udire nel fondo di ciascuno di essi anche se altre voci riempiono le loro orecchie. Si cerca invano il rimedio dei mali, se il senso autentico della follia e della colpa non viene alla luce.