lunedì 16 febbraio 2004

l'olfatto

Già un secolo fa Georg Simmel notava che «la questione sociale
non è solo una questione morale, ma anche una questione di odorato»
di Marco Belpoliti


SAUL Steinberg era solito intrattenere i visitatori con la sua «teoria del naso». Il disegnatore romeno, emigrato in America, prendeva un grande foglio bianco di carta e con una serie di pieghe lo riduceva a un piccolo rettangolo; poi vi disegnava occhi, occhiali e bocca; infine con le forbici realizzava un piccolo foro al centro: lì infilava il naso. Era il suo autoritratto. Poi spiegava: il naso è la parte più primitiva, la parte più originale e privata di un individuo; mentre la faccia è la parte politica, il naso è invece la parte meno evoluta. «E' il naso che ci rende complici di noi stessi», diceva a conclusione della sua piccola performance. Steinberg probabilmente era al corrente delle teorie evolutive sul naso, o forse no. Fatto sta che, come ci spiegano i neurologi, è proprio dal naso che comincia a svilupparsi nel feto l'individuo. Ma non solo. Il nostro naso è collegato con la parte più antica del nostro cervello, quella che regola le emozioni. Forse è per questo che sentire un odore - gradito o sgradito che sia - scatena immediatamente reazioni istintive.
Il naso è connesso con il sistema libico, con il tronco dell'encefalo e con l'ipofisi. Quando noi percepiamo un odore, invece di elaborare lo stimolo e di cercare di definirlo, ci formiamo subito un'opinione al riguardo e reagiamo di conseguenza. Mentre un messaggio visivo, o linguistico, viene «tradotto» dal cervello, l'odore agisce immediatamente. Queste, come altre informazioni sul nostro sistema olfattivo, sono contenute in un interessante libro di Piet Vroon, uno psicologo sperimentale olandese, scomparso da poco, che lo ha redatto in collaborazione con un biologo e un collega: Il seduttore segreto. "Psicologia dell'olfatto" (Editori Riuniti, pp. 255, e14). Il naso è sì un senso rudimentale, ma in ogni caso molto complicato. A causa della struttura delle narici, è difficile dosare gli odori. Nel naso si formano correnti d'aria turbolenti; forse per questo nessuno annusa solo una volta, ma per aspirazioni successive. E non è solo il naso a sentire gli odori; anche la bocca ha la sua parte: mentre mangiamo percepiamo gli odori (e i sapori) e una piccola parte delle sostanze olfattive ci arrivano persino per le vie circolatorie.
Le pagine dedicate da Vroon alla anatomia e fisiologia del naso sono affascinanti. Gli odori si sentono meglio in ambiente umido, per questo abbiamo il naso umido. Il muco, con cui combattiamo quando siamo raffreddati, non ha solo la funzione di umidificare la nostra cavità superiore, ma anche di trattenere le molecole dell'aria più a lungo per consentirci di odorare. Sono parecchi gli animali a naso umido; ad esempio, i mammiferi. Ma hanno un ottimo olfatto anche i serpenti, i pesci, e alcuni anfibi; inoltre, i piccioni che popolano le piazze delle nostre città, pare siano in grado di elaborare mappe olfattive della zona in cui vivono; mentre la gran parte degli uccelli non sentono bene gli odori, dato che volano in zone dell'aria dove questi non arrivano o non restano a lungo.
Nonostante la rilevanza del naso, l'uomo non ha un grande senso dell'odorato, bensì uno modesto. La superficie del nostro organo di senso è ridottissima: un centimetro quadrato per narice (al confronto l'occhio è molto più grande). Ci sono circa 30.000 neuroni per millimetro quadrato, per un totale di 3 o 5 milioni di cellule sensoriali complessive; mentre il cane ne ha tra i 150 e i 220 milioni e il coniglio 50 milioni. Per fare un confronto con l'occhio: sulla retina umana non ci sono più di 200 milioni di bastoncelli e coni per intercettare la luce e i colori. L'occhio e il naso: senza dubbio la cultura umana ha sempre dato più importanza alla vista che all'olfatto considerato alla stregua del gusto un senso inferiore.
I filosofi hanno gettato un grande discredito sulle facoltà del nostro naso. Kant, a cui dobbiamo molte delle convinzioni riguardo al mondo sensibile, sosteneva che l'olfatto procura più nausee che piaceri. Il visivo ha dominato in modo incontrastato in Occidente, relegando gli altri sensi in posizione secondaria, come hanno dimostrato due storici della civilizzazione: Alain Corbin, autore della "Storia sociale degli odori" (Mondadori) e Piero Camporesi, che al tema degli odori ha dedicato pagine dell’"Officina dei sensi" (Garzanti). Vroon riabilita l'olfatto e ci fa capire la capacità che possiede di cogliere ciò che è volubile e variabile, di esplorare quel grande spazio in cui viviamo immersi senza che ne accorgiamo: l'aria.
Una delle cose che colpiscono maggiormente è l'associazione tra l'olfatto, intesto come senso dell'inafferrabile, e il linguaggio, lo strumento privilegiato della nostra comunicazione. Quello della classificazione degli odori è infatti uno dei capitoli più affascinanti della tassonomia umana. Non è un caso che sia stato proprio Linneo, il grande classificatore di piante e animali, che alla metà del Settecento notò le impressioni olfattive in sette classi, decidendo anche un ordine discendente di piacevolezza: aromatico, fragrante, ambrato o muschiato, agliaceo, fetido o caprino (sudore), velenoso e nauseabondo. La sua classificazione deriva dalla conoscenza del mondo vegetale, o meglio, dagli odori delle piante. Nella visione del mondo naturale elaborata da Linneo, gli odori si legano sia ai vegetali che agli organi genitali e alle loro secrezioni: il biancospino odora come la regione genitale femminile; mentre i fiori di sambuco, tiglio e castagno hanno un odore dolce, leggermente sgradevole, che ricorda lo sperma.
Nelle sue considerazioni finali, Piet Vroon ribadisce come l'impressione di un odore dipenda strettamente dalla concentrazione della sostanza: sostanze maleodoranti, a bassa concentrazione posso avere persino un buon odore; così come si percepiscono odori diversi a seconda della narice che inala. Tuttavia il problema fondamentale resta quello dell'orientamento olfattivo imposto dalle differenti culture: l'attrazione o il ribrezzo, la passione o la repulsione, sono sovente determinati dall'ambiente culturale o sociale in cui si è cresciuti. Ogni civiltà ha il suo naso: i giapponesi, ad esempio, non sopportano l'odore del formaggio. Alessandro Gusman, un giovane antropologo che studia le culture africane, ha affrontato questa questione in un volume, "Antropologia dell'olfatto" (Laterza, pp. 184, e18). Per farlo ha dovuto abbattere un tabù della stessa antropologia: la prevalenza del visivo sul sonoro e l'olfattivo nella conoscenza e descrizione delle singole culture, invitando a smettere di considerare le culture testi da studiare.
Naturalmente per descrivere in termini antropologici gli odori delle differenti civiltà occorre superare l'idea che l'odore sia legato alle caratteristiche fisiche e morali di una persona. Il che non vale solo per le culture non-occidentali. In Africa, presso alcune popolazioni, è diffusa l'idea che i bianchi «puzzino di cadavere», data la loro tendenza ad eliminare gli odori fisici, associati alla vita: l'assenza di odore richiama la morte fisica. I giapponesi possiedono un termine, bata kusai, con cui indicano quelli che «puzzano di burro», ovvero gli Occidentali, dediti ad una alimentazione troppo ricca di grassi, ma che sudano anche troppo e si lavano poco.
Che esista un legame culturale molto forte tra società e odorato, lo rilevava all'inizio del XX secolo il sociologo Georg Simmel: «La questione sociale non è solamente una questione morale, ma anche una questione di odorato». Nel corso del Settecento e dell'Ottocento in Europa, mentre s'andava definendo il confine netto tra pubblico e privato, mentre le case diventavano sempre più spazi privati, chiusi alla presenza degli altri, mentre diminuiva la promiscuità dei corpi, cresceva in parallelo l'impulso alla pulizia.
Come ha scritto l'antropologa Mary Douglas in "Purezza e pericolo" (il Mulino), «lo sporco è incompatibile con l'ordine». Che il nostro destino sia quello di rendere sempre più asettiche o profumate le nostre case e i nostri corpi? E fino a che punto potremo spingerci, senza rinnegare le nostre origini animali? Il nostro naso, per evolversi, ha impiegato milioni di anni e resta, come sosteneva Saul Steinberg, nonostante tutto la parte più originale di noi stessi. Abolirlo, anche per un problema di identità, non è davvero facile.