Gazzetta del Sud, martedì 23 marzo 2004
Amartya Sen: «La democrazia degli altri» Non è brevetto occidentale ma un concetto universale
edizioni Mondadori: La democrazia degli altri pagine 88 - euro 10,00
di Carlo De Biase
La democrazia non è un'invenzione occidentale, è un concetto universale. Se l'Occidente se ne appropria commette l'errore di fare dell'imperialismo culturale. È la riflessione del premio Nobel per l'economia Amartya Sen contenuta in «La democrazia degli altri», nel critico momento che sta vivendo la coalizione anglo-americana in Irak, che si è data il compito di «esportare la democrazia». In realtà la riflessione non è inedita perché il libro è costituito da un breve saggio e dal testo di un lungo discorso scritti rispettivamente nel 2003 e nel 1999. Sebbene non recentissima, la riflessione è ugualmente molto attuale. Sen elenca una serie di episodi, innovazioni storiche, emancipazioni culturali e politiche avvenute nel corso dei secoli in paesi come India, Cina, Giappone, Corea, Iran, Turchia, nel mondo arabo e in molte regioni dell'Africa che hanno contribuito alla formazione di coscienze e di un movimento di opinione e pensiero prodromico alla democrazia. Questa, ricorda il premio Nobel, è un concetto dell'antica Grecia, al quale si era giunti grazie anche al contributo di idee che l'ellenismo assorbì dai popoli egizi, iranici e indiani. D'altronde, numerosi sono gli esempi di importanti città asiatiche che nei loro governi incorporarono elementi di democrazia, non nel senso di libere elezioni ma come diversità di dottrine, tolleranza, pluralismo e libera discussione. Gli occidentali non possono arrogarsi il primato della democrazia: Amartya Sen segnala la grande cultura democratica presente nella cultura di molti paesi dell'Africa, anche se poi distorsioni, follie ed equilibri di politica internazionale hanno causato l'affermarsi di orribili dittature militari. Gli imperatori indiani Ashoka (III sec. a.C.) e Akbar (XVI sec.) sono due fari nelle pagine della storia asiatica in quanto a democrazia. Akbar era sul trono mentre in Europa l'Inquisizione dava la caccia alle streghe. La protezione che tantissimi ebrei trovarono nei principi musulmani di Spagna e Arabia contro le persecuzioni fatte dagli occidentali, sono altri elementi a sostegno della tesi di Sen. La democrazia è universale perché sono universali i fattori che la compongono: «l'importanza della partecipazione politica e della libertà nella vita umana, l'importanza strumentale degli stimoli politici per assicurare che i governi siano responsabili e giudicabili di fronte al popolo»; «la formazione di valori e nella definizione di bisogni, diritti e doveri». Ma allora perché questo grande equivoco? «La pratica della democrazia che si è imposta nell'Occidente moderno è in larga misura il risultato di un consenso coagulatosi a partire dall'Illuminismo e dalla rivoluzione industriale e in particolare nel corso dell'ultimo secolo o poco più – sostiene Amartya Sen –. Vedere in ciò un impegno storico – attraverso i millenni – dell'Occidente verso la democrazia, e contrapporlo alle tradizioni non occidentali sarebbe un grave errore» scrive Sen. Dunque la libertà e la democrazia non sono un'invenzione dell'Occidente e non sono una peculiarità di questi ultimi secoli. «Il sostegno alla causa del pluralismo, della diversità e delle libertà – si legge in un passaggio del libro – si può ritrovare nella storia di molte civiltà. Questa eredità globale è una ragione sufficiente per mettere in dubbio la tesi che la democrazia sia un'idea esclusivamente occidentale». Citando il filosofo John Rawls, Sen rigetta l'idea, che definisce «troppo ristretta e limitata», che il nocciolo della democrazia sia l'esercizio del voto e definisce, in termini più ampi, la democrazia come «l'esercizio della ragione pubblica», o meglio ancora «l'esercizio della liberazione». La libertà e la democrazia, scrive, si realizzano «quando i cittadini deliberano, si scambiano le proprie opinioni e discutono le loro rispettive idee sulle principali questioni politiche e pubbliche». Una specie di moderno agorà globale al cui interno le elezioni «sono solo un modo – benché sicuramente uno dei più importanti – per dare un'efficacia concreta ai dibattiti pubblici». Questa «discussione pubblica», ossia la partecipazione popolare ai problemi di governo, costituisce da sempre, per Sen, il cuore della democrazia ed è un valore che si può ritrovare, non solo nell'Atene di Pericle o nella costituzione americana del 1776, ma anche nella costituzione introdotta in Giappone del 604 d.C., così come nell'India del III secolo a.C. e dell'imperatore buddista Ashoka. A partire da questa premessa, che nel libro diventa il pretesto per un lungo excursus, nel tempo e nello spazio, attraverso i tanti luoghi della «discussione pubblica», Sen riconosce che «è stato nel XX secolo che la democrazia si è imposta come forma normale di governo, alla quale ha diritto ogni Nazione». Ma, al tempo stesso, rifiuta le interpretazioni «monolitiche» di democrazia, le Crociate in nome dell'esportazione di un'unico modello di democrazia. «La pratica della democrazia – scrive in una delle ultime pagine del suo sintetico saggio – che si è imposta nell'Occidente moderno è in larga misura il risultato di un consenso coagulatosi a partire dall'Illuminismo e dalla rivoluzione industriale... Vedere in ciò un impegno storico – attraverso i millenni – dell'Occidente verso la democrazia e contrapporlo alle tradizioni non occidentali (considerate in maniera monolitica) sarebbe un grave errore».
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