martedì 23 marzo 2004

Grieco: un pezzo di storia del partito comunista in Italia

Gazzetta del Sud 23.3.04
Bruno Grieco: «Un partito non stalinista» Quando il Pci nel 1936 chiamò i fascisti fratelli

edizioni Marsilio pagine 343 - euro 17,00
di Maria Gabriella Giannice


La storia del Partito comunista italiano nel periodo in cui fu responsabile della segreteria Ruggero Grieco, cioè dalla seconda metà del 1934 alla primavera del 1938, è ancora in parte incompleta, infatti per lungo tempo il partito lasciò trapelare poco o nulla (solo nel '66 venne rivelato da Giorgio Amendola che Grieco era stato segretario). A fare un po' di luce interviene oggi il libro di Bruno Grieco che, ricordando la figura politica del padre, dà rilievo ad anni cruciali nei quali il Pci pose le premesse dell'unità nazionale realizzata poi nella Resistenza. La politica della «riconciliazione nazionale», perseguita da Grieco con spirito indipendente nei confronti di Mosca, produrrà alcuni atti significativi: il rinnovo del patto di unità di azione Pci-Psi, i ripetuti contatti con Giustizia e Libertà, gli appelli rivolti ai Cattolici. Fra questi, quello che a molti sembrò il più scabroso, fu l'appello dell'agosto del '36 «Ai fratelli in camicia nera», e ai lavoratori fascisti delusi dal regime di Mussolini. Appello in cui il Pci affermava di far proprio il programma fascista del 1919 e che venne firmato da tutti i dirigenti comunisti, compreso Togliatti, e da numerosi militanti. «Noi comunisti – si legge in quell'appello – facciamo nostro il programma fascista del 1919 che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori». Di seguito si analizzavano i diversi punti del programma: dal salario minimo per gli operai alla nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di munizioni, al suffragio universale che doveva assicurare la partecipazione delle donne alla vita politica, sia come elettrici sia come eleggibili. Il mese dopo, nel settembre del '36, il Comitato centrale del Pci ribadì e mise ulteriormente a punto l'appello. Nella relazione, approvava all'unanimità, la linea della riconciliazione nazionale già indicata da Gramsci, fu ripresa e sviluppata. Il compito, sottolinea l'autore, era di stabilire un giusto rapporto tra l'esigenza di lottare per l'obiettivo di una repubblica democratica e la necessità di operare fraternamente con i vecchi e i giovani fascisti per realizzare il programma del 1919. La relazione affermava che i comunisti erano «disposti a sostenere una qualsiasi riforma politica democratica anche parziale, anche nel quadro del regime attuale – come il programma del 1919 – purché sia voluta dal popolo italiano e corrisponda, nella situazione attuale, ai più vitali e urgenti interessi del popolo italiano». Naturalmente non mancarono le critiche a questa presa di posizione, sia da parte dei socialisti, sia da altri antifascisti. A quelle critiche Grieco rispose: «Attualmente, in Italia, la rivoluzione proletaria non è all'ordine del giorno, lo è la lotta per la libertà e la democrazia (...). Oggi il programma fascista del 1919 è un programma democratico». Nel quadro della politica della «riconciliazione nazionale» il Pci rinnovò nel 1937 il patto di Unità d'azione fra comunisti e socialisti che sconfessava la tesi staliniana del «socialfascismo». E nell'ottobre del '36 il Comitato centrale del Pci rivolse una dichiarazione ai Cattolici, verso i quali – si legge nell'appello – «è animato dalla più grande fraternità e dal più assoluto rispetto». Grieco – come scriveva Amendola – dirigeva il partito con criteri molto aperti, di appello alla collaborazione a tutti e per questo si espose alla critica dell'Internazionale comunista e del Partito comunista sovietico, di scarsa vigilanza. Con l'inizio della guerra Grieco tornò in Russia. Il fatto più grave – ricorda il figlio Bruno – fu che al momento dell'avanzata tedesca fin sotto le porte di Mosca, Grieco fu il solo degli italiani cui venne imposto di rimanere. Tutti i quadri del Comintern, Togliatti compreso, furono trasferiti al riparo dai bombardamenti. «Evidentemente – scrive l'autore – l'idea del Comintern (e quindi di Togliatti) era che l'eventuale morte di Grieco sarebbe stata la logica espiazione per la sua politica "fuori della linea"». Ma anche in questa situazione Grieco si comportò coraggiosamente tanto da ricevere, sciolto il Comintern nel '43, i massimi riconoscimenti del Presidium del Soviet supremo dell'Urss «per la partecipazione eroica alla difesa di Mosca».