martedì 16 marzo 2004

Cina

Repubblica 16.3.04
La Shanghai di oggi ricorda l'euforia speculativa che la California conobbe alla fine degli Anni Novanta
Cina, nel futuro della finanza il mistero della Grande Borsa
"Gli investitori accorrono da tutto il mondo per comprare il miracolo cinese"
Tante però le analogie con la febbre della New Economy: "Per un affare, cento mine"
di FEDERICO RAMPINI


SHANGHAI - La camera 1624 dell´Hilton di Shanghai ha lo stesso ospite da tredici anni. L´avvocato d´affari Norman Givant di Berkeley vi posò la valigia per soggiornare pochi mesi e non l´ha più lasciata. Givant è un pioniere nell´assistere le imprese occidentali che investono in Cina. Arrivò quando il leader comunista Deng Xiaoping rilanciava Shanghai: il centro dell´esperimento capitalista che doveva salvare la Cina dall´isolamento internazionale dopo la Piazza Tienanmen. Da allora, divenuto socio di uno dei più grandi studi legali americani, Givant è stato travolto dal successo al punto da non avere tempo di cercar casa («con i soldi che gli ho dato - brontola - dovrei possedere tutto l´Hilton»). E´ la persona giusta per affrontare una questione delicata: il profumo di bolla speculativa che aleggia su questa città, e ricorda l´euforìa finanziaria che vedemmo nascere in California alla fine degli anni 90.
«Tutti gli investitori del mondo accorrono per comprare un pezzo del miracolo cinese prima che sia tardi - osserva l´avvocato californiano - ma un quarto delle aziende quotate a Shanghai sono in perdita. Non è una Borsa dove metterei i miei risparmi. Il finanziere americano Warren Buffett, che di solito non sbaglia, sei mesi fa ha comprato azioni della China Petrochemicals e per ora ci ha solo perso. George Soros sostiene che il mondo è troppo esposto in investimenti cinesi. Se mi guardo attorno, per ogni opportunità d´oro vedo cento mine vaganti». Le analogie con la febbre della New Economy sono palpabili. La più grande società cinese che ha fatto il suo ingresso in Borsa negli ultimi mesi - una compagnia assicurativa - ha ricevuto prenotazioni 130 volte superiori ai titoli in vendita. Tre siti Internet quotati al Nasdaq hanno triplicato il loro valore negli ultimi dodici mesi e sono tutti cinesi: Sina.com, Sohu.com e NetEase.com. Drogato dagli acquisti dei cinesi d´oltremare che tornano a comprar case nella madrepatria, il prezzo del metro quadro a Shanghai vola. Per calmare la speculazione immobiliare la banca centrale annuncia un nuovo limite sul credito: d´ora in avanti i palazzinari potranno farsi prestare dalle banche «solo»...il 70% del capitale investito.
Victor G.H. Ho, avvocato d´affari del China Practice Group, non è meno severo del suo concorrente americano. «Noi cinesi siamo speculatori nati - dice - e il nostro mercato è poco trasparente. In passato la maggior parte delle aziende che approdavano alla quotazione in Borsa lo facevano non perché erano le più sane ma perché erano a corto di soldi e avevano gli appoggi politici. Lo Stato privatizza ciò che non rende, usa la Borsa come un sostituto delle tasse. Il mercato funziona se ispira fiducia e la fiducia si costruisce con le regole. Qui un arbitro imparziale non esiste, i giudici sono spesso militari in pensione, inesperti o peggio».
Al numero 315 della strada Zhong Shan sono ricevuto da Zhang Wei, una specie di Cuccia cinese che fa e disfa la geografia di questo capitalismo nascente. Gestisce una merchant bank dalle strategie arcane - come la vecchia Mediobanca - che al tempo stesso è una sorta di Gepi, la holding di Stato in cui i nostri governi democristiani infilavano aziende pubbliche decotte. Questa cosa si chiama Shanghai United Assets and Equity Exchange. Fuori dalla porta di Zhang Wei c´è la fila dei manager di multinazionali straniere che vogliono comprarsi pezzi dell´industria cinese in dismissione. «Ho chiuso un affare con la francese Alcatel - dice - le abbiamo venduto il 51% della Shanghai Bell, l´azienda telefonica municipale, socio di minoranza resta il governo locale». Gli investitori stranieri, quando comprano aziende pubbliche inefficienti, per ristrutturarle arrivano a offrire 5.000 dollari di buonuscita ad ogni lavoratore: una fortuna.
Tante volte nella storia la Cina è stata l´oggetto del desiderio del capitalismo occidentale. L´ultima infatuazione risale a 12 anni fa: allora nasceva una «bolla» cinese il cui ricordo è annebbiato da quel che è accaduto dopo, la crisi asiatica del ?97 e la febbre della New Economy. 9 ottobre 1992: la Brilliance China Automotive - una holding con sede alle Bermuda proprietaria di un´azienda di Stato per la produzione di minibus - faceva il suo ingresso a Wall Street. L´indomani le sue azioni andavano talmente a ruba che il volume di scambi era secondo solo alla Ford. Febbraio 1993, un´altra casa automobilistica cinese veniva collocata a Hong Kong: la domanda delle sue azioni era 657 volte l´offerta.
Nella bolla cinese dei primi anni 90 molti stranieri hanno lasciato le penne, ma stavolta la posta in gioco è più importante. La stabilità politica del paese dipende dalla crescita. Il premier Wen avverte i rischi di surriscaldamento dell´economia, ma il pericolo più immediato è un altro: se si guasta il giocattolo di Shanghai, questa macchina che ha garantito una crescita del Pil del 9% all´anno, come reagirà la middle class che assapora un benessere di tipo occidentale? 200 milioni di consumatori medioalti, i privilegiati delle metropoli costiere, sono la prima constituency su cui poggia la nuova legittimità dei leader e del loro esperimento liberista. Una recessione sarebbe più dura per gli 800 milioni di contadini, ma è il ceto medio di Shanghai, quello che legge inglese e naviga su Internet, che rischia di cercare sfogo nel «cattivo esempio» di Hong Kong, nelle sue manifestazioni di protesta e nella sua sete di democrazia.
La febbre finanziaria genera crisi improvvise, tuttavia questo boom poggia su un´economia reale più robusta di un decennio fa. Lo testimonia l´impazzimento mondiale del trasporto marittimo, i porti congestionati e gli armatori a corto di navi per l´impennata (+35% in un anno) del traffico di merci dalla Cina e per la Cina. Lo dimostra lo spessore del mercato interno: un televisore per ogni famiglia cinese, un frigo e una lavatrice in quattro case su cinque, un Dvd e un condizionatore d´aria nel 50% delle famiglie, il 20% col personal computer, 70 milioni navigano online, 200 milioni hanno cable-tv e telefonino. «La bolla può scoppiare e si possono perdere tanti soldi - conclude Ho - ma questo ormai è il paese dove gli investitori occidentali saranno condannati a ritornare sempre».
(3 - FINE)