martedì 16 marzo 2004

gli esordi di Ungaretti

La Stampa Tuttolibri 13.3.04
L’ufficiale sul Carso scoprì Ungaretti
di Gianpiero Chirico


INIZIA sul Carso messo a ferro e fuoco, l'avventura dell'uomo di penna naufragato nel «porto sepolto»; l'amicizia tra un poeta da scoprire e un generale pigmalione si apre su un'età, quella della Grande Guerra del 1915-’18, che segna la nascita alla poesia di Ungaretti, soldato di trincea, assegnato al fronte, nella brigata Brescia, 19° reggimento, compagnia comandata dal tenente Francesco Giangreco, siciliano. Giangreco è un ufficiale inflessibile e un uomo incline alla cultura: sin dal primo momento capisce che quel giovane è diverso dagli altri. Tutto inizia quando un suo sottoufficiale ritiene opportuno riferire su alcuni episodi che si ripetono con una certa frequenza. Racconta di un soldato assente e assorto che più di una volta ha attirato le schioppettate austriache a causa della sua mania di accendere un fiammifero o una lampada tascabile per annotare misteriose parole su fogli di carta. La storia la racconta Antonio Brancaforte, già docente di filosofia all'Università di Catania, (IBN), che ha raccolto la testimonianza del generale Giangreco, suo suocero, prima che morisse. Il tenente Giangreco incuriosito dal foglio matricolare del ventisettenne soldato dalle origini italo-egiziane e formazione francese, lo fa chiamare e ne rileva l'intelligenza: il fante Ungaretti parla di «impulsi incoercibili a fissare immagini affioranti da oscure profondità». Ungaretti rischia la corte marziale e la fucilazione: i commilitoni del poeta lo credono una spia per l'atteggiamento, per il suo silenzio, per la sua diversità. Il tenente decide di non farlo processare per spionaggio, così come segnalato dai subalterni. E' l'inizio di un'amicizia e di uno scambio di idee. Il tenente ha trovato un interlocutore, anche se non capisce la poesia rivoluzionaria dell'allora sconosciuto Ungaretti, il quale ha solo pubblicato qualche lirica sulla rivista fiorentina Lacerba, spregiudicata e combattiva, che sulla testata riporta un verso programmatico di Cecco d'Ascoli: «Qui non si canta al mondo delle rane».
Giangreco prende anche la decisione di toglierlo dalla trincea e lo assegna ai servizi nelle retrovie, dove può svolgere solo mansioni d'ufficio. Questo non impedisce, comunque, ad Ungaretti di partecipare, quando è proprio necessario, ad azioni di guerra, ma gli concede il tempo per coltivare i propri interessi.
Il giovane può adesso accendere tutte le luci che vuole e scrivere lontano dalla trincea. Senza rendersene conto l'ufficiale aveva predisposto quelle condizioni ottimali per favorire la nascita di un poeta. Giangreco confidò anche di essere stato il primo ad ascoltare la stesura di «Stasera». Al fronte, nelle gelide notti del Carso, Ungaretti leggeva e il tenente ascoltava: «Balaustra di brezza per appoggiare la mia malinconia stasera», una versione che sarebbe diventata altrimenti: «Balaustra di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia». I versi ascoltati dal tenente vengono pubblicati in una plaquette di ottanta copie a cura di un altro amico letterato e militare per caso, Ettore Serra, dal titolo emblematico di Il porto sepolto del 1916: fu lo stesso Giangreco a far incontrare i due.
Ungaretti ha conosciuto diversi scrittori che lo hanno educato al gusto per l'avanguardia, come Mallarmé, Laforgue, Apollinaire, Fort, Léger, Soffici, Papini, Prezzolini, Braque e Serra. Ma è Giangreco, sconosciuto ufficiale di fanteria, silenziosa figura di amico, a incoraggiare il poeta: semplicemente levandogli la baionetta e mettendogli nelle mani la penna. Ha capito forse prima di tutti qual è la natura che anima l'uomo Ungaretti. Che infischiandosene della guerra e delle fucilate, sentiva di dover accendere fiammiferi per «, come scriverà nella Vita d'uomo edita da Mondadori nel 1974. Quale influenza ebbe il Giangreco su Ungaretti? La risposta è nelle stesse confessioni di Ungaretti. «Sono nato poeta in trincea». In guerra dice di «aver trovato il linguaggio: poche parole piene di significato che dessero la mia situazione di quel momento. Quest'uomo solo in mezzo ad altri uomini soli, in un paese nudo, terribile, di pietra, e che sentivano, tutti questi uomini, ciascuno singolarmente la propria fragilità». Del carteggio Giangreco-Ungaretti non rimangono che due lettere; una del 1942, l'altra del 1963. La prima è una risposta a una lettera di facilitazioni per la nomina a membro della Reale Accademia d'Italia. La seconda è invece lo stanco rifiuto del poeta all'invito di recarsi nuovamente sul Carso. Forse senza quell'uomo il poeta avrebbe avuto maggiori probabilità di morire nella roulette della guerra.