domenica 21 marzo 2004

Emanuele Severino sulla pace e sulla guerra

Corriere della Sera 21.3.04
«Voglia di pace? Un’illusione Il mondo non sarà mai innocente»
Il filosofo Severino: «Il conflitto è tra il passato e la civiltà tecnica di oggi L’unica speranza è che il progresso aiuti i poveri prima che sia troppo tardi»


Ieri in tutto l’Occidente, per il primo anniversario della guerra in Iraq, grandi manifestazioni di massa hanno chiesto «pace». Si è gridato che la fine dei conflitti è l’unica strada per fermare il terrorismo, l’unico modo per bloccare la mano a coloro che stanno tenendo in scacco le nostre vecchie società. Abbiamo parlato di questo con Emanuele Severino, il filosofo che più di ogni altro ha studiato le radici della violenza.

Professor Severino, cosa ne pensa delle guerre attuali? Le ricordo che nel mondo ce ne sono circa venticinque in corso, di cui solo qualcuna interessa noi...
«Quelle che interessano a noi sono le più gravi. Noi siamo daccapo coinvolti in una conflittualità di carattere planetario. Sta venendo alla luce che il vero contrasto non è tra Islam e Cristianesimo, o tra Islam e "impero del male", ma tra il passato dell’Occidente e la contemporaneità, cioè la civiltà della tecnica. E al passato l’Islam appartiene non meno che il Cristianesimo».

Ma allora qual è la via da battere per trovare la pace?
«La via non è il risultato di un progetto, perché lo stesso progettare appartiene all’essenza della violenza e della guerra. La via però c’è e consiste nel tragitto inevitabile che conduce non alla pax americana ma alla pax tecnica».

Ma perché il progettare fa parte della violenza? Senza un progetto cosa possiamo fare?
«La via di cui parlo non è qualcosa d’irrazionale. Il progettare sottintende la disponibilità delle cose alla volontà dell’uomo. Ma quando si comincia a pensarle così disponibili, esplode perciò stesso la volontà di impadronirsene, modificarle, produrle, distruggerle. E questi atteggiamenti sono la condizione primaria della violenza. Progettare è comandare e il comandamento di "non uccidere" è la radice dell’omicidio perché presuppone la nullità costitutiva dell’uomo».

Ma allora uccidiamo i nostri simili partendo da un comandamento che invita a fare il contrario?
«Sì, perché è proprio la nostra cultura a pensare che gli uomini e le cose siano di per sé nulla, e questo pensiero che sta alla radice del comandamento di "non uccidere" è l’omicidio fondamentale e originario».

Ma allora cosa significa dichiarare una guerra?
«Significa rendere esplicito ciò che noi chiamiamo pace e che è regolato dal comandamento di "non uccidere". La pace è l’omicidio mascherato e la guerra è l’omicidio palese».

Ma lei professore non pensa che tutti coloro che ieri hanno manifestato nel mondo per la pace credano qualcosa di opposto? Per loro la pace è l’assenza di ogni guerra...
«Certo che lo credono, ma si illudono. Che lo credano e lo sperino, è fuori discussione».

Perché si illudono?
«Da un lato credono che la volontà, e quindi la volontà di pace, possa essere innocente, mentre la volontà non lo è mai: è sempre violenza. Dall’altro lato non ci si rende conto che il mondo sta andando verso quella forma estrema di violenza che sarà sì riuscita ad eliminare tutte le guerre sanguinose, ma non per questo sarà più innocente; ed è ciò che prima ho chiamato pax tecnica».

Ma il nichilismo cosa c’entra in questo suo discorso?
«Sin dall’inizio, rispondendole, mi riferivo al nichilismo; solo che si tratta di capire il senso autentico del nichilismo».

Qual è questo senso?
«Non le sembra che prima, parlando della convinzione che l’uomo sia originariamente un nulla, ci si sia avvicinati a questo senso autentico?».

Professore ma ieri milioni di persone hanno urlato la loro voglia di pace...
«Lei all’inizio mi ha amabilmente spinto verso le questioni ultime, ma in questi casi sarebbe opportuno lasciarle alla fine e incominciare appunto, come lei ora suggerisce, da ciò che immediatamente percepiamo. Quei milioni di persone indubbiamente costituiscono un fatto rilevante di cui i politici non possono non tener conto. Mi sorprende che a protestare contro la guerra e il terrorismo le masse occidentali non si trovino insieme alle masse islamiche. Non avvenendo mi sembra il segnale di un pericolo».

E cosa ne pensa dei tafferugli italiani? Fassino ha dovuto lasciare il corteo...
«Sono questioni meno rilevanti. Ma sono il sintomo della complessità del problema».

Può aiutare la pace un minor egoismo da parte dei Paesi ricchi?
«Se i ricchi per dare ai poveri fossero disposti a ridurre in modo consistente il loro tenore di vita, forse. Ma c’è il timore che lasciando che anche gli altri si aggrappino alla barca dei ricchi, questa vada a fondo trascinando con sé gli uni e gli altri. Più realistica è invece la possibilità che la tecnica soddisfi i bisogni dell’umanità povera prima che sia troppo tardi, ovvero prima che i poveri cerchino di buttare fuori dalla barca i ricchi».