domenica 21 marzo 2004

Leopardi

Corriere della Sera 21.3.04
CLASSICI
Una ribellione contro la cruda concretezza della vita adulta
Sul «limitare di gioventù», tra speranze e tristi presagi
di Giorgio De Rienzo


Guai se una femminista dei nostri giorni leggesse l’epistolario di Leopardi: darebbe fuoco ai Canti . «La freddezza e l’egoismo d’oggi dì, l’ambizione, l’interesse, la perfidia, l’insensibilità delle donne che io definisco un animale senza cuore, sono cose che mi spaventano», scrive Leopardi nel 1820 a un amico. Le lettere da Recanati sono sempre cariche di invettive contro la «frivolezza» e la «dissipatezza» di queste «non donne, ma bestie femmine». Anche fuori del «natio borgo selvaggio» l’astio non si placherà. Quando Giacomo - finalmente - riuscirà ad andare a Roma, si metterà per strada, come un qualsiasi provinciale, per «incontrare donne». Raccoglierà delusioni con dispetto. «Trattando - scrive al fratello Carlo - è così difficile fermare una donna in Roma, come in Recanati, anzi molto di più», perché le «femmine» nella grande città «sono piene di ipocrisia, non amano altro che il girare e il divertirsi non si sa come, non la danno (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi». E’ ben lontano da queste pagine il poeta di Silvia e di Nerina, come quello tormentato dall’immagine provocatrice di Aspasia. Gli epistolari però - si sa - spesso rendono brutti servizi agli scrittori per la loro cattiva prosa quotidiana, anche quando testimoniano brucianti sconfitte d’anima. Il linguaggio della poesia è tutt’altra cosa. Rende magari più dolorosa l’esperienza della realtà, ma meno gretta. Un solo esempio. Vedete come tutto si colora d’amore nell’attacco di A Silvia , con quei versi così lineari, semplici, tra i più chiari della nostra letteratura: «Silvia rimembri ancora / Quel tempo della tua vita mortale, / Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / E tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?». Un’interrogativa e un vocativo: i due modi più tipici della scrittura leopardiana. Il domandare spesso che non ha risposta e il vocativo, il «tu» essenziale di questa poesia, che segna nei versi uno spazio di risonanza, un’intesa d’affetto, un desiderio trepido di colloquio: il bisogno insomma di una distanza ravvicinata, di una compagnia, con l’oggetto della poesia, così come con il lettore.
E’ appunto la lenta lavorazione della parola nella scrittura creativa che crea un distacco dalla vita, mentre pure la ingloba. Basterebbe leggersi la storia interna di questi versi, le varianti attraverso cui si giunge alla stesura definitiva: è la storia di una pazienza senza fine. «Rimembri», si legge oggi nel canto di Silvia. E’ un approdo che scarta altre soluzioni prima tentate: «sovvienti», «rammenti». Non si tratta di un suono più o meno solenne, né di pura musicalità. E’ questione, invece, di un concetto diverso: di una durata della memoria, che man mano nella rielaborazione si approfondisce. Il nucleo più importante dei versi sta però nell’immagine degli «occhi ridenti e fuggitivi» di Silvia, detta «lieta e pensosa». Una doppia coppia perfettamente simmetrica di aggettivi, che segna un profilo immortale di giovinezza già turbata, ma ancora non scalfita.
L’itinerario percorso da Leopardi per giungere a questa immagine è travagliato. Scarta dapprima la possibilità di una figura più corporale: «ne la fronte e nel sen tuo verginale». Cassa, subito dopo, la possibilità di un’immagine soltanto spirituale: «gli sguardi incerti e fuggitivi» della giovane che per compenso non è «pensosa», ma «pudica». La via imboccata alla fine da Leopardi è di sintesi felicissima. «Gli occhi» di Silvia ne richiamano il corpo, più degli «sguardi»: e questi «occhi» che si fanno «ridenti e fuggitivi» riescono a tradurre della ragazza «lieta e pensosa» anche l’incertezza e il pudore. Ebbene, in questi occhi immortali di Silvia «lieta e pensosa» c’è non soltanto la pazienza di Leopardi, ma anche la sua grandezza di poeta caro soprattutto ai lettori giovani.
A Silvia , infatti, è il canto della giovinezza spezzata, dell’illusione caduta, dell’aspettativa interrotta e, insieme, della maturità non accettata. Se per Silvia c’è la morte che determina la caduta delle speranze, per il poeta che la canta c’è la vita che smentisce le fantastiche proiezioni nel futuro di un amore non vissuto. Leopardi è il poeta dell’adolescenza perpetua, che si ribella al limite umano, che non accetta la concretezza cruda del vivere d’ogni giorno: il suo profilo più convincente è, infatti, proprio quello di un adolescente che esita a salire, come Silvia, il «limitare di gioventù», che caparbiamente si rifiuta di compiere un piccolo passo. La grandezza di Leopardi sta nell’aver saputo decorare la propria disperata mancanza di coraggio. Se mi è concessa questa espressione, direi che la sua straordinaria (e leggera) singolarità sta nell’aver saputo tergiversare tra ciò che di lieta aspettativa (gli «occhi ridenti») e ciò che di triste presagio (gli occhi «fuggitivi» di Silvia «pensosa») la vita comporta, al di là del «limitare di gioventù».