mercoledì 5 maggio 2004

Cina

il manifesto 5.5.04
Viaggio nel laboratorio della nuova Cina, dove tutto è possibile. Al padrone
Là dove Mao è soltanto il portafortuna
A Shenzhen, dove la Cina guarda Hong Kong dall'alto di un grattacielo mentre gli dà lezioni di capitalismo e braccia da sfruttare. I sogni ad alta tecnologia di un luogo inventato
ANGELA PASCUCCI, INVIATA A SHENZHEN


La Diwang Mansion, nel cuore di Shenzhen, è alta 383 metri. Piatta e stretta con due torrette in cima che sembrano bulloni domina la skyline della città, una selva eterogenea di edifici nei quali sembra essersi sbizzarrito un esercito di architetti, e non sempre dei migliori. Da lassù l'occhio abbraccia tutta l'area, da nord a sud, dove si vede Hong Kong. Con un colpo d'occhio si abbracciano «i due mondi di "un paese, due sistemi"», come declama un testo pubblicitario che in tono lirico e molto cinese chiede «Quali sono le differenze e le somiglianze tra la capitalista Hong Kong e la socialista Shenzhen? Pensateci e diventerete più saggi di prima». In attesa dell'illuminazione, la prima e immediata considerazione, dedotta dai discorsi e dagli scritti, è che l'énclave «socialista» quanto a capitalismo pensa di aver cominciato a dare qualche lezione al suo vecchio modello, che sta perdendo colpi, e anche al mondo intero. Quanto al socialismo, il discorso si fa davvero complicato, come dimostra l'incontro con il dottor Tai, 42 anni, alto dirigente della Shenzhen Telecom Engineering, società pubblica, costola di China Telecom, alla quale fornisce in esclusiva servizi di installazione e manutenzione di centraline per la telefonia fissa e mobile di area. Nel mega ufficio con salotto del giovane manager di stato, dietro la scrivania, campeggia un ritratto di Mao, sopra una cartina in oro zecchino di Shenzhen. La sorpresa dei visitatori per una simile iconografia, di questi tempi, meraviglia Tai. Il Presidente non sta lì come ispiratore politico, spiega, ma in funzione di nume tutelare. Un apotropaico, insomma, come se ne vedono (sempre meno per la verità) sui taxi e i pulmini del trasporto pubblico. Quello sguardo fermo, l'aria serena del vecchio saggio, conferiscono al Grande Timoniere una forza protettiva che il manager trova rassicurante. Ma ci sarà pure un'adesione ideologica, vista la portata storica del leader. Tutt'altro, risponde.

Se ci fosse ancora Mao...

Se Mao fosse ancora vivo, dice tra le facce per la verità scandalizzate dei cinesi presenti, lui non sarebbe lì e la Cina sarebbe come l'Iraq di Saddam Hussein o la Cuba di Castro. Un paese povero di retroguardia oppresso da un dittatore, non la grande potenza economica e politica che sta diventando grazie all'intuizione di Deng e all'attuale leadership, quella sì da Tai assai apprezzata. Arrivato molti anni fa da Xian, per lavorare agli uffici delle poste, la sua discreta conoscenza dell'inglese lo ha sbalzato lì un paio d'anni fa, del tutto casualmente, come responsabile del settore investimenti e allargamento del giro d'affari.

L'ingegner Tai, aria scanzonata e ciuffo ribelle, sembra appagato, ma si avverte un'inquietudine. Il mercato di Shenzhen, per la sua ditta, è ormai completamente saturo. Non c'è abitante dell'area che non abbia telefono, fisso o mobile, e occorre guardare a nuovi mercati. All'interno, le nuove tecnologie, come la trial band, assai rischiose e poco fruttuose nel medio periodo. All'esterno, una politica di investimenti nelle province più arretrate, o all'estero. Tra i paesi più appetibili India e Pakistan che, dice, danno un 25-30% di profitti. Ma la vera gallina dalle uova d'oro è il Vietnam, che potrebbe garantire tassi di guadagno fino al 100%. Si vedrà. Alle spalle c'è pur sempre un gigante come China Telecom, che straripa di soldi, grazie alla sua posizione di monopolio. Certo, prima o poi bisognerà fare i conti con le regole di liberalizzazione del Wto, ma i sommi dirigenti, par di capire, troveranno il modo di risolvere il problema e scantonare il più a lungo possibile.

Un paio d'ore trascorse a tavola, diverse bottiglie di birra e qualche giro di morra cinese tirano fuori qualcosa di più dal personaggio. Fare il manager pubblico in una Cina come quella di oggi non è semplice. Tai lamenta i molti vincoli di un'impresa pubblica rispetto a quelle private. Licenziare, ad esempio, pur in un luogo senza freni come Shenzhen, è quasi impossibile. In due anni non è riuscito a mandare via nessuno dei suoi 500 dipendenti, mentre è stato costretto ad assumere personale sotto la pressione dei suoi capi. E' pur vero però che i salari, nel settore statale, sono mediamente inferiori del 30% a quelli del settore privato. Ma ciò vale anche per il suo stipendio. Al fondo si capisce che ciò che opprime Tai è l'essere sottoposto a una serie di spinte contraddittorie, esercitate a vari livelli, che lui può solo subire. L'orgoglio di far parte di una potente compagnia pubblica non gli manca, ma forse non gli basta.

C'è un'altra genia di cinesi che invade a ondate Shenzhen e subito si ritira. Quella dei turisti e dei consumatori che a frotte battono i numerosi centri commerciali in cerca di buoni affari. La città ha fama di essere un eldorado per lo shopping, anche se è cara. E tuttavia sempre meno di Hong Kong, da cui partono spedizioni di acquirenti (anche se per la verità i numerosi centri commerciali, tutti uguali, sono tutt'altro che affollati). Il passaggio di confine di Luo Hu, dove arriva il treno che parte dalla stazione centrale di Hong Kong distante 40 minuti, è attraversato da un flusso costante in entrambe le direzioni, che nelle ore di punta si gonfia ogni cinque minuti, cioè ogni volta che un convoglio arriva o parte.

Molti abitanti di Hong Kong hanno comprato casa qui, dove costa meno, e partono per andare al lavoro dall'altra parte ogni mattina. Altri hanno invece qui hanno trovato lavoro, visti i tempi grami dell'ex colonia, e fanno anch'essi i pendolari in senso inverso. Eppure al confine c'è un effettivo doppio controllo da attraversare, con tanto di visto da esibire per gli stranieri. Ma i varchi diversificati (ce ne sono anche per i cittadini di Taiwan) sveltiscono le procedure e in pochi minuti gli assembramenti si dissolvono. Da questa rinnovata mescolanza, nascono nuove alleanze societarie o si rafforzano le vecchie. L'intreccio è forte. Nell'intero Guangdong, sono installate circa 36mila compagnie di Hong Kong, che danno lavoro a cinque milioni di persone. .

L'impresa di Cheng

Cheng, 32 anni, ex operaio tessile, racconta l'impresa creata da lui insieme a un gruppo di connazionali mettendo in piedi nel 1999 una joint venture con una società di Hong Kong piuttosto malconcia che produceva circuiti integrati. E' nata così la E-City P.C.B. Co., che ha un ufficio per gli approvvigionamenti a Hong Kong, un altro per il marketing a Shenzhen e la fabbrica di circuiti nel Guangdong, a pochi chilometri da Canton. Cheng ha un ruolo cruciale, general manager per le vendite. Lavora a Shenzhen perché, dice, è qui che le compagnie straniere vengono a cercare i fornitori migliori e a prezzi più bassi.

Ci riceve nel suo ufficio al 24esimo piano di un condominio di lusso ai limiti della zona speciale. Il lusso si evince dalla cancellata di cinta e dalla presenza di due piscine (vuote), ma per la verità anche in questo edificio relativamente nuovo già compaiono i primi segni di una decadenza che sconfina nell'incompiuto, segni che colpiscono buona parte della città, come se la fretta con cui sono state costruite facesse invecchiare rapidamente le strutture.

La E-City ha fior di clienti, il gotha dell'elettronica mondiale, da Sony a Philips a Sharp, almeno stando al suo materiale pubblicitario. Ma è solo negli ultimi due anni che gli affari vanno a gonfie vele. La E-City ha 600 dipendenti, di cui 500 sono operai e 100 ingegneri, concentrati nella fabbrica del Guangdong, ad appena cento chilometri dall'ufficio. Ci si arriva con un'ora di automobile dall'autostrada per Canton, che taglia il mitico delta e con lo Humen Bridge, lungo 5 chilometri, scavalca l'immenso nastro grigio del Fiume delle perle. Lungo la strada si costeggia Changan, dove si concentrano le fabbriche di Taiwan. Nella zona dell'estuario, ci dicono, i taiwanesi sono almeno un milione.

Nel tratto finale la fabbrica dell'E-City, collocata in piena campagna sulle rive di un affluente del grande fiume, si raggiunge attraverso strade dissestate. L'impianto è una serie di grandi capannoni circondati da distese di banani, verdissimi sulla terra scura del meridione, e da catapecchie, mai sfiorate dal boom economico del Guangdong. Nel primo dei capannoni, le grandi lastre dei circuiti, non ancora ritagliate, vengono immerse nelle vasche ricolme di solventi chimici che le preparano alla successiva lavorazione. L'edificio è rudimentale, con ampie fessure e aspiratori ma l'aria è aspra e soffocante, insopportabile dopo pochi minuti. Giovani operai arrampicati sui bordi delle vasche muovono a mano le lastre nel liquido. Un lavoro pesante, quasi primitivo. L'immaterialità delle nuove tecnologie ha un nucleo molto materiale. .

Acque torbide, odore pesante

Un impianto di depurazione, dall'aria vetusta, ripulisce le acque di trattamento prima di scaricarle nel fiume. Ma, a dispetto del settore di controllo degli inquinanti situato in prossimità del fiume, un odore pesante si innalza dalle rive lambite da acque torbide. Il signor Yuan, responsabile della produzione e dunque della fabbrica, spiega che l'anno prossimo sarà costruito un nuovo impianto per raddoppiare la produzione da 250mila a 500mila metri quadrati di circuiti, e dovranno farlo qui, perché cambiare sito obbligherebbe a osservare regole ambientali più strette. Negli altri capannoni, si produce. Si spezzano le lastre, si stampano i circuiti. In un settore, quello dove si concentra il grosso del lavoro, non si può entrare.

Anche qui operaie/i emigrati, giovanissimi, senza famiglia, ospitati nei dormitori della fabbrica, 700 yuan (circa 70 dollari) al mese tutto compreso. Colpisce nei loro visi l'aria grave, silenziosa. A domande più insistenti sulla qualità del lavoro, il manager risponde che i rapporti con il sindacato (l'unico, quello ufficiale) sono buoni e che «qui si rispettano i diritti umani». Al ritorno verso Shenzhen, è già notte. Ai lati dell'autostrada, le fabbriche emergono dal buio, intervallate dai dormitori dalle cui finestre spuntano fitti gli abiti da lavoro appesi alle grucce. E' una teoria pressoché continua che scorre per decine e decine di chilometri. Luce a giorno nei reparti, sagome umane al lavoro dietro alle vetrate. Sarà pure transizione, ma verso dove?

(2-fine. La prima puntata è stata pubblicata il 27 aprile)