Corriere della Sera 5.5.04
Esce il nuovo saggio di Luciano Canfora: perché è falsificata la citazione di Tucidide nel preambolo della Costituzione europea
Libertà contro democrazia. Già ai tempi di Pericle
di LUCIANO CANFORA
Che la democrazia sia un’invenzione greca è opinione piuttosto radicata. Un effetto di tale nozione approssimativa si è visto quando è stata elaborata la bozza del preambolo della Costituzione europea (diffusa il 28 maggio del 2003). Coloro che, dopo molte alchimie, hanno elaborato quel testo - tra i più autorevoli, l’ex presidente francese Giscard d’Estaing - hanno pensato di imprimere il marchio greco-classico alla nascente Costituzione anteponendo al preambolo una citazione tratta dall’epitaffio che Tucidide attribuisce a Pericle (430 a.C.). Nel preambolo della Costituzione europea le parole del Pericle tucidideo si presentano in questa forma: «La nostra Costituzione è chiamata democrazia perché il potere è nelle mani non di una minoranza ma del popolo intero». È una falsificazione di quello che Tucidide fa dire a Pericle. E non è per nulla trascurabile cercar di capire perché si sia fatto ricorso ad una tale «bassezza» filologica. Dice Pericle, nel discorso assai impegnativo che Tucidide gli attribuisce: «La parola che adoperiamo per definire il nostro sistema politico (ovviamente è modernistico e sbagliato rendere la parola politèia con «costituzione») è democrazia per il fatto che, nell’amministrazione (la parola adoperata è appunto oikèin), esso si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla maggioranza (dunque non c’entra il «potere», e men che meno «il popolo intero»)». Pericle prosegue: «Però nelle controversie private attribuiamo a ciascuno ugual peso e comunque nella nostra vita pubblica vige la libertà» (II, 37). Si può sofisticare quanto si vuole, ma la sostanza è che Pericle pone in antitesi «democrazia» e «libertà».
Pericle fu il maggior leader politico nell’Atene della seconda metà del V secolo a.C. Non ha conseguito successi militari, semmai ha collezionato sconfitte in politica estera, ad esempio nella disastrosa spedizione in Egitto, dove Atene perse una flotta immensa. Però fu talmente abile nel conseguire e consolidare il consenso, da riuscire a guidare quasi ininterrottamente per un trentennio (462-430) la città di Atene retta a «democrazia». Democrazia era il termine con cui gli avversari del governo «popolare» definivano tale governo, intendendo metterne in luce proprio il carattere violento (kràtos indica per l’appunto la forza nel suo violento esplicarsi). Per gli avversari del sistema politico ruotante intorno all’assemblea popolare, democrazia era dunque un sistema liberticida. Ecco perché Pericle, nel discorso ufficiale e solenne che Tucidide gli attribuisce, ridimensiona la portata del termine, ne prende le distanze, ben sapendo peraltro che non è parola gradita alla parte popolare, la quale usa senz’altro popolo (dèmos) per indicare il sistema in cui si riconosce. Prende le distanze, il Pericle tucidideo, e dice: si usa democrazia per definire il nostro sistema politico semplicemente perché siamo soliti far capo al criterio della «maggioranza», nondimeno da noi c’è libertà.
(...) Quella che alla fine - o meglio allo stato attuale delle cose - ha avuto la meglio è la «libertà». Essa sta sconfiggendo la democrazia. La libertà beninteso non di tutti, ma quella di coloro che, nella gara, riescono più «forti» (nazioni, regioni, individui): la libertà rivendicata da Benjamin Constant con il significativo apologo della «ricchezza» che è «più forte dei governi»; o forse anche quella per la quale ritengono di battersi gli adepti dell’associazione neonazista newyorkese dei «Cavalieri della libertà». Né potrebbe essere altrimenti, perché la libertà ha questo di inquietante, che o è totale - in tutti i campi, ivi compreso quello della condotta individuale - o non è; ed ogni vincolo in favore dei meno «forti» sarebbe appunto limitazione della libertà degli altri. È dunque in questo senso rispondente al vero la diagnosi leopardiana sul nesso indissolubile, ineludibile, tra libertà e schiavitù. Leopardi crede di ricavare questa sua intuizione dagli scritti di Linguet e di Rousseau: ma è in realtà quello un esito, un apice della sua filosofia. Linguet e Rousseau dicono meno. È un punto d'approdo, inverato compiutamente soltanto nel nostro presente, dopo il fallimento delle linee d’azione e degli esperimenti originati da Marx. La schiavitù è, beninteso, geograficamente distribuita e sapientemente dispersa e mediaticamente occultata.
(...) Per ritornare dunque al punto da cui siamo partiti, i bravi costituenti di Strasburgo, i quali si dedicano all’esercizio di scrittura di una «costituzione europea», una sorta di mansionario per un condominio di privilegiati del mondo, mentre pensavano, tirando in ballo il Pericle dell’epitaffio, di compiere non più che un esercizio retorico, hanno invece, senza volerlo, visto giusto. Quel Pericle infatti adopera con molto disagio la parola democrazia e punta tutto sul valore della libertà. Hanno fatto ricorso - senza saperlo - al testo più nobile che si potesse utilizzare per dire non già quello che doveva servire come retorica edificante, bensì quello che effettivamente si sarebbe dovuto dire. Che cioè ha vinto la libertà - nel mondo ricco - con tutte le terribili conseguenze che ciò comporta e comporterà per gli altri. La democrazia è rinviata ad altre epoche, e sarà pensata, daccapo, da altri uomini. Forse non più europei.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»