mercoledì 5 maggio 2004

ricerca: declino dell'Occidente

Corriere della Sera 5.5.05
Ecco gli scienziati d’Oriente che fanno tremare l’America
In Cina 750 mila ricercatori: un numero decuplicato in soli vent’anni L’India produce i migliori software del mondo e ora punta sulle nanotecnologie
di Giovanni Caprara


Il mondo della ricerca americana teme il sorpasso da parte dell’Europa ma soprattutto dei Paesi asiatici, Cina e India in testa. L’allarme lanciato dalla National science foundation è legato all’indebolimento interno in alcuni settori, ma in particolare alla vivace crescita scientifica e tecnologica dimostrata da nazioni «in via di sviluppo». Il segnale più forte è arrivato con l’invio in orbita del primo taikonauta cinese Yang Liwei nell’ottobre del 2003, segno inequivocabile dello sviluppo raggiunto in aree come la scienza dei materiali, l’elettronica, l’informatica. Dopo le distruzioni provocate dalla rivoluzione culturale e dal governo della «banda dei quattro», Pechino ha costruito un mondo scientifico che ora sostiene l’impetuoso sviluppo economico. La ricerca è una priorità nazionale e ad essa sono dedicati 63 miliardi di dollari, che pongono la Cina al terzo posto negli investimenti nel settore alle spalle di Usa e Giappone.
Negli ultimi vent’anni il numero degli scienziati è cresciuto dieci volte: oggi sono 750 mila e con un’età molto bassa. Solo l’Accademia delle scienze cinese, spina dorsale del sistema, e diretta dall’ingegnere Lu Yongxian, governa un esercito di 60 mila scienziati impegnati nella ricerca di base e tecnologica. Il permesso, poi, alle multinazionali di installare nel Paese laboratori ha consentito di finanziare con denaro straniero la formazione di «cervelli», come Lu Ke dell’Istituto di ricerca dei metalli di Shenyang, provincia di Liaoping, leader negli studi di nuovi materiali conduttori; o come Chih-chen Wang, dell’Istituto di biofisica di Pechino, di fama per le ricerche sulle proteine.
Anche l’India ha trasformato la ricerca in priorità sostenuta in prima persona dal presidente Abdul Kalam, che prima di essere eletto nel 2002 fu «fondatore» delle attività spaziali indiane. Adesso l’India dispone di vettori spaziali concorrenti di americani, cinesi e russi nel trasporto dei satelliti civili. Ma l’India, culla di matematici, è anche il Paese che esprime i migliori softwaristi del mondo, ed è in grado di produrre supercomputer con potenze di elaborazione analoghe a quelle americane. E’ grazie a questi strumenti che New Delhi ha potuto varare le «Aree di ricerca ad alta priorità» che riguardano nanotecnologie, neuroscienze, ricerca climatica. Fra i nomi illustri, il professor Rao, presidente del Nehru Centre for advanced scientific research di Bangalore, esperto di chimica dei fullereni; o il professor Mashelkar, direttore del Council scientific and industrial research di New Delhi, famoso per le ricerche sui polimeri. Con queste capacità Cina e India stanno ridisegnando la scena, inquietando prima di tutto gli Usa.