mercoledì 5 maggio 2004

media
in tempi duri per i freudiani, scende in campo la tv:
per «divulgare la psicanalisi alle masse»

La Stampa 5 Maggio 2004
MEDICI, AMORI E PSICANALISI
ALTRO CHE REALITY
di Alessandra Comazzi


SE non si considera la tv quale mera sentina di nequizie o mezzo di obnubilamento generale, si amano i telefilm. E' una regola aurea. Chi ama la tv , ama i telefilm, grazie ai quali si ride, si riflette, si imparano l'America (i telefilm sono americani per antonomasia) e le contraddizioni della società contemporanea (...)
Caratteristica comune dei telefilm di ultima generazione è l'introduzione consapevole della psicanalisi. Nei «Soprano», tutta la storia comincia proprio di lì, da Gandolfini che va in analisi, e dunque l'influenza del vecchio Freud è resa esplicita. Ma ci sono altri modi, più ammiccanti, per divulgare la psicanalisi alle masse. Fondamentale il supporto tecnico. Si vedono, adesso, delle vere e proprie materializzazioni dell'inconscio. «Scrubs», a esempio, si intitola una serie parodica dedicata ai medici, l'altra faccia di «E. R.» (ce n'è un'altra ancora, quella di «Nip/Tuck», dove i dottori, chirurghi plastici, non sono simpatici umoristi, ma cinici profittatori). Dunque «Scrubs», sottotitolo «Medici ai primi ferri», si svolge in un ospedale, protagonisti alcuni giovani tirocinanti, circondati da medici anziani e perfidi, da inservienti frustrati e gaglioffi. Spesso accade che il pensiero di qualcuno di loro si stacchi dalla sua mente per essere rappresentato in una sorta di storia parallela alla «Sliding doors». Espediente simile è adottato in «Keen Eddie», le avventure di un detective americano esportato a Londra: la segretaria di Scotland Yard è una signora in grigio che si indovina provocante sotto i tailleur. Ogni volta che la vede, il protagonista immagina di possederla, immagina le sue provocazioni: inesistenti nella realtà, forse reali nella reciproca trasmissioni di pensieri e sensazioni.
Non si tratta di espedienti seduttivi? Oh, moltissimo. Ma non sono soltanto espedienti, c'è anche sostanza, scaltrissima sostanza. I telefilm sanno creare abitudine e affezione e cambiano con il mutare della società, hanno introdotto droga, disagio giovanile, polizia corrotta, emarginazione, ricerca scientifica (C.S.I.), il ruolo della donna (com'è adorabilmente contraddittoria l'avvocato Ally McBeal). Tremate, tremate, le adorabili streghe di «Sex and the City», donne liberate dal maschio, ma non dalla sua ossessione, o almeno necessità, stanno per tornare (dal 19 su Fox) nella loro sesta, ultima avventura; e non dimentichiamo che il rassicurante «Friends», nasce da una «vicenda madre» di omosessualità femminile. Non solo le persone, anche i luoghi identificano le serie: la New York di «NYPD» (New York Police Department, il dipartimento di polizia della città), per dire, è brutta sporca e cattiva, affatto lontana dall'immagine patinata che tanto amiamo in Woody Allen.
Uno dei telefilm contemporanei più interessanti è «Six Feet Under», protagonista una famiglia di becchini, padre improvvisamente defunto, madre tradizionale anche nei tradimenti (scoperta postuma), figli antagonisti, figlia con problemi di adattamento giovanile, un fidanzato poliziotto gay, una fidanzata massaggiatrice shatsu con famiglia intellettuale disastrata (pure) dalla psicanalisi, inconscio materializzato attraverso i trapassati che acquistano nuova vita. Sarà paradossale, ma questo è il mondo vero, signore e signori, non quello dei reality.

5 Maggio 2004
I PIU’ AMATI, DAI «SOPRANOS» A «LAW AND ORDER»
Un rito come la Messa
di Claudio Gorlier


VENTIQUATTRO ore di trasmissione settimanale; novanta milioni di telespettatori: è questo il primato negli Stati Uniti della serie «Law and Order», ormai presente anche in Italia in più di un canale. Il «New York Times» sostiene che il suo inventore e padrone, Dick Wolf, è l’uomo più potente della televisione americana. «Law and Order» è cominciato nel 1990, e lo segue ora «Criminal Intent». Non dimentichiamo che Wolf è anche il creatore e realizzatore di «Miami Vice». A 56 anni, dopo aver pensato di diventare romanziere, Wolf, con ottimi studi in Università prestigiose, ha finito con il trasferire la sua vena sul piccolo schermo, e ha fatto centro.
Per definire «Law and Order» conviene rifarsi al giudizio di una delle sue star, l’ormai famoso Jerry Orbach: «E’ un rituale, come la Messa in latino». Osservazione paradossale fino a un certo punto: la serie si rincorre, per così dire, in una specie di reazione a catena, sostanzialmente intercambiabile; una sezione aurea della società americana, con una sua inquietudine tesa e moraleggiante, ma senza alcuna indulgenza. Il tema ricorrente è quello della violenza sessuale: la polizia la individua, la magistratura la persegue inflessibilmente. Da una parte e dall’altra, bianchi, africano-americani, ispano-americani, occasionalmente italo-americani, immigrati. Siamo in pieno, inesorabile «Politically correct».
Ma attenzione: «Law and Order» non nasconde la paura, anche se tenta di esorcizzarla per voi che lo guardate. Inoltre, non risparmia nessuno: ricchi e potenti senza scrupoli o psicotici, privi di morale; giudici incapaci o corrotti. Anche nella sua versione popolare, la cultura americana rifiuta il compromesso accomodante. Vi sconvolge, ad onta dell’integrità e del successo frequente dei suoi protagonisti. Wolf risponde parafrasando una famosa battuta di Humphrey Bogart: «Questo è lo scrivere, stupido».
L’altra serie televisiva di successo, negli Stati Uniti, è sicuramente «The Sopranos», incentrata sulle vicende di una famiglia di italo-americani mafiosi. Negli ultimi mesi, su «The Sopranos» sono stati scritti ben sei libri, scomodando addirittura Aristotele, Nietzsche e Machiavelli. In Italia, la serie ha incontrato due ostacoli: la si può vedere di massima con la parabola, su Fox, e urta la nostra sensibilità nazionale, ogni volta che gli americani toccano l’argomento scottante della mafia. Ma attenzione: si spinge ben oltre gli schemi del «Padrino» di Mario Puzo. Il protagonista, interpretato da uno splendido James Gandolfini, è assalito da sensi di colpa, dalle memorie paterne, dall’angoscia del rapporto con il figlio ragazzino, che intuisce ma non sa. Così, ricorre alla psicanalista, di cui si innamora. La psicanalisi rimane una suprema icona americana, e, se ci pensate, la televisione finisce per porsi come una sorta di tormentosa - o magari sentimentale - introiezione dei nostri problemi quotidiani.
Così «Law and Order», accanto a «N.Y.P.D. Blue», che a sua volta ci consegna i tormenti e gli antagonismi che possiedono gli stessi poliziotti, uomini e donne, diviene un insistente microcosmo, e forse, con i suoi rimandi letterari che sfuggono a molti telespettatori, quasi subliminali, a somiglianza di «The Sopranos» si presenta come un ponte tra i generi, un «metatesto», come è stato osservato. «The Sopranos» è stato definito «un simbolo delle nostre patologie nazionali»; un ritratto insieme del maschilismo e del femminismo. Secondo un altro critico sono questi i programmi televisivi che porteranno gli Stati Uniti nell’era del multiculturalismo, traghettandoli da un mondo vecchio a un mondo nuovo. Insomma: autentiche, pregnanti favole moderne, con la famiglia quale centro. David Chase, creatore e produttore di «The Sopranos», ha spiegato in un’intervista che lo scandalo Parmalat lo ha confermato nell’idea che anche le grandi corporazioni possono avere, al loro interno, struttura famigliare.
I dilemmi investono anche l’intimità del privato, a cominciare dal sesso. Qui «Law and Order» e «The Sopranos» finiscono per incontrarsi, e il rituale trova una sanzione, diversa ma complementare, in un momento supremo: la confessione. Questo effetto specchio può sembrare tipicamente americano ma, tutto sommato, sembra in qualche modo funzionare anche per noi