Liberazione 6.5.05
A Yelwa nello stato del Plateau. E' l'ultimo e più pesante atto di un sanguinoso scontro etnico
Nigeria, l'assalto dei tarok cristiani ai fulani islamici: una carneficina
di Fulvio Fania
Ducento o trecento uccisi, una carneficina che il segretario della organizzazione islamica "Jama'atu Nasril Islam" non esita a definire genocidio, sollecitando un'inchiesta giudiziaria sul feroce attacco scatenato domenica sera da bande armate dell'etnia cristiana tarok contro la popolazione fulani, che è di religione islamica. E' accaduto nella città di Yelwa, nello Stato centrale nigeriano del Plateau. L'esercito è intervenuto con 600 soldati aprendo a sua volta il fuoco - secondo alcuni testimoni in modo indiscriminato - e ha imposto il coprifuoco. Non è stato però finora in grado di aggiornare il numero dei morti. In un primo tempo i militari avevano parlato di 67 persone ammazzate ma martedì le strade erano ancora piene di cadaveri e mutilati, mentre le famiglie provvedevano direttamente alla sepoltura dei propri cari, rendendo così più difficile un bilancio esatto.
E' invece certo che questa tragedia è stata soltanto l'ultimo e più pesante atto di uno scontro etnico che dura da molto tempo e aveva già causato circa quattrocento morti dall'inizio dell'anno. «Allah ci vendicherà. I pagani hanno ucciso il nostro popolo», rispondono ai cronisti delle agenzie internazionali le vittime dell'assalto. I loro nemici sono infatti a prevalenza cristiana, molti i cattolici insieme ad altri di varia denominazione pentecostale o protestante. Le fonti cattoliche non minimizzano l'accaduto ma avvertono che l'identità religiosa è soltanto una componente della «faida», come la definisce il vescovo della capitale Jos, Ignatius Ayau Kaimaga, intervistato dall'agenzia missionaria Misna. Le due etnie si contendono la terra: la popolazione tarok, che è contadina e stanziale, considera forestieri e usurpatori i fulani, che invece sono soprattutto allevatori e pastori. Non per caso, il portavoce della comunità islamica ha chiesto al governatore dello Stato di chiarire da dove sia partito l'ordine ai "non indigeni" di lasciare la città. E per non indigeni si intenderebbero appunto i fulani, nonostante che abitino la regione da un secolo.
«Non c'è niente di religioso in queste violenze», afferma il vescovo, «il termine genocidio è male utilizzato, spesso questi scontri iniziano da una rappresaglia per furto di bestiame mentre i rapporti tra cristiani e musulmani non sono poi così tesi». Il presule assicura di intrattenere personalmente buone relazioni con la comunità della moschea.
Ma in tutta la Nigeria il clima è arroventato anche sotto il profilo religioso. In dodici stati del nord è stata introdotta la legge islamica e, dove i cristiani sono in maggioranza, si fa strada un fondamentalismo opposto. E' cristiano anche il presidente federale Olusegun Obasanjo, il primo civile dopo quindici anni di regime militare. Ben diecimila persone dal 1999 hanno perduto la vita in scontri etnici nel Paese che conta 120 milioni di abitanti, 36 stati e circa 250 etnie.
Sembra che a Yelwa i tarok aspettassero da tempo un pretesto per vendicarsi di un attacco subìto per mano dell'etnia avversa nei mesi scorsi. Nella stessa zona, infatti, erano morti una novantina di cristiani a fine febbraio e 48 persone erano perite nei successivi scontri interetnici. Altri venti erano state travolte a fine marzo. Secondo la ricostruzione del parroco l'occasione per sferrare una aggressione "risolutiva" da parte dei guerrieri cristiani sarebbe stata offerta da un gruppo di ragazzi fulani che, raggiunta una chiesa in un villaggio a venti chilometri dal capoluogo, avrebbero suonato le campane a raccolta per richiamare i cristiani e quindi avrebbero sparato contro di loro. Un episodio, quest'ultimo, che le stesse fonti cattoliche giudicano non particolarmente sanguinoso. Ne è però seguita la tremenda rappresaglia sugli abitanti della zona musulmana di Yelwa.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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