martedì 1 giugno 2004

gli arabi e la scrittura

Repubblica ed. di Palermo 1.6.04
LETTERA DALL´IRAN
Noi, gli arabi e la scrittura
di Marcella Croce


STRANI re furono gli Altavilla, normanni ma affascinati dai bizantini, cristiani ma stregati dai musulmani. La pietra, materiale principe dell´architettura islamica, era particolarmente adatta al lavoro dei calligrafi; molte moschee erano interamente rivestite anche da mattonelle, mattoni o intarsi con epigrafi sacre. A Palermo, durante le ristrutturazioni del XV secolo, con il consueto uso del materiale di risulta, un´iscrizione coranica andò a finire perfino su una delle colonne esterne della Cattedrale, e vi si trova tuttora, mentre un´altra che, sempre in caratteri arabi, esaltava le virtù dei re normanni, fu crudelmente spezzata a intermittenza per ritagliare i merli a coronamento del palazzo della Zisa e così trasformare l´edificio in "castello".
A completare il quadro cosmopolita della Palermo medievale, sulla parete estrena della chiesa che oggi popolarmente chiamiamo Martorana, Giorgio di Antiochia, il famoso Ammiraglio di Re Ruggero, volle invece caratteri greci per un´iscrizione che altrimenti richiama in tutto e per tutto quelle islamiche. Un´iscrizione trilingue (latino, greco e arabo) segnala ancora un ingegnoso orologio ad acqua a Palazzo dei Normanni, mentre al museo della Zisa è esposto un epitaffio quadrilingue (con l´aggiunta dell´ebraico).
In Iran si sono toccati i vertici dell´arte calligrafica, ci fu anche chi cercò di diffondere idee eretiche con la scrittura, come Mir Imad, grande calligrafo della moschea dell´Imam ad Isfahan, ma il sovrano safavide Shah Abbas, grande mecenate e protettore delle arti, ma anche fervente sciita, non esitò a fargliela pagare caramente, ed egli fu imprigionato e ucciso. L´insuperabile artista Abu Bakr Muhammad, chiamato Ravandi dal nome dell´omonima cittadina presso Kashan che nel 12? secolo era un famoso centro calligrafico, aveva studiato 10 anni con il grande maestro Taj Ad Din Ahmad, suo zio materno. Si dice che fosse in grado di usare ben 70 diversi stili, e che avesse elaborato una teoria secondo la quale le lettere arabe fossero evoluzioni del cerchio e della linea retta, identificati con il mondo e l´equatore. Dall´apparente durezza dello stile cufico alla fluidità del naskh ("sostituzione", giacché esso sostituì tutti i precedenti caratteri), dall´esagerata altezza del sols ("un terzo" forse a causa della misura del pennino), al decadente sentimentalismo dello shekaste ("rotto", cioè scivolato), che appunto per tale motivo risulta di difficilissima lettura: le sensuali forme dell´alfabeto arabo, derivato da quello aramaico, si prestano in modo particolare ad ogni possibile virtuosismo.
Il naskh fu il primo stile non più perfettamente verticale, le variazioni di inclinazione delle lettere e gli angoli che esse formano con le linee orizzontali, sono state paragonati alle posture del corpo umano nella danza. Il massimo della fantasia (e anche un unicum mondiale) è costituito da una teiera, oggi all´Ermitage di Leningrado, celebre per essere stata incisa con lettere arabe che finiscono in facce umane e animali.
Le iscrizioni più elaborate sono quelle su carta che possono combinare fino a sei o sette diversi stili e ciascuno di essi può variare per forma, movimento, peso, enfasi, colore e scala. Intrecciati a palmette ed ornamenti vegetali, circondati da splendide cornici di motivi floreali (tazhib cioè "abbellimento"), questi ineffabili capolavori sono vere sinfonie della penna, c'è chi li ha definiti "orchestrazioni di cori muti". Quando sono presenti i vari segni di punteggiatura (introdotti dal califfo Abdul-Malik per distinguere i diversi suoni di una stessa lettera, gli sciiti ritengono invece che siano dovuti all´intervento personale dell´Imam Alì), c'è meno spazio per gli elementi vegetali. Può inoltre variare sia lo spessore del tratto che il profilo della forma delle singole lettere, ciascuna delle quali è regolata da precise e complesse proporzioni matematiche. In numerosissimi casi, per esempio su alcune tombe arabe rinvenute in Sicilia, gli stessi caratteri sono ripetuti in scala più piccola sopra o sotto l´iscrizione principale.
"Leggi, il Signore misericordioso ha insegnato l´uso della penna, ha insegnato all´uomo ciò che non sapeva" (sura 96 versi 3-5): il Corano abbonda di incoraggiamenti all´uso della scrittura, e molti capitoli, ad esempio il 68, iniziano con l´invocazione: "Per la penna e ciò che essa scrive". In Iran erano stati i magi, sacerdoti zoroastriani, ad usare per primi l´inchiostro d´oro per le trascrizioni dell´Avesta. Secoli più tardi, i calligrafi fecero grande uso di materiali preziosi, e il Corano veniva spesso copiato con sottotitoli in persiano, così da permettere a tutti la conoscenza della parola divina. Come i padri cristiani, i teologi musulmani più tradizionalisti sollevavano obbiezioni alle vocali dorate e colorate, ma alla fine l´amore per il lusso e per la bellezza prevalse su queste riserve: lo possiamo dedurre dalla quantità di copie miniate che ci sono arrivate, al museo del santuario dell´Imam Reza a Mashhad ve ne sono esposti molti splendidi esemplari.
In Iran si riteneva che il Corano fosse fondamentale per propiziare la buona riuscita di ogni viaggio: se ne trascrivevano anche di piccolissimi in modo che non fossero di ingombro alle persone in cammino e si riteneva che ogni viaggiatore in partenza dovesse passare sotto una copia del sacro libro. A Shiraz fu costruita a tale scopo la Porta del Corano, che esiste tuttora anche se sotto non ci passa più nessuno, giacché proprio accanto è stata costruita una strada molto più ampia che si adatta maggiormente al traffico moderno.
Ma non fu solo il Corano ad ispirare i calligrafi persiani, molti di essi si sono dilettati anche con i versi dei loro amatissimi poeti, che, per lo più scritti in quartine (chiamate dobeiti o rubayat a secondo della diversa intonazione), venivano trascritti con una pronunciata e leziosa inclinatura. Le iscrizioni sulle stoviglie in ceramica, delle quali è sempre stato prodotto gran numero in Iran, sono invece non di rado illeggibili: molti ceramisti persiani non sapevano leggere e scrivere, e spesso copiavano malamente l´arabo, una lingua che non capivano.