lunedì 19 luglio 2004

Achille Bonito Oliva
Joan Mirò, a Basilea

Repubblica 19.7.04
Un sogno pieno di frammenti
esposti i suoi quadri
lavorare a un paesaggio solo dopo averlo amato
colori che talvolta scoppiano improvvisi
Basilea dedica un grande omaggio al pittore catalano Le sue opere richiamano forme solari ma anche oscure profondità interiori
di ACHILLE BONITO OLIVA


BASILEA. Per Calderón de la Barca «la vida es sueño». Il surrealista catalano Joan Mirò ha scelto di sognare il sogno dell´arte, al confine di territori che scorrono tra immagini e forme solari, formate da frammenti, bagliori improvvisi, costanti ritorni, allontanamenti e sprofondamenti in un luogo che sembra appartenere a tutti. Il territorio magico di Mirò è illuminato da uno sguardo interiore che brilla di luce propria, rafforzato da un occhio che possiede la doppia capacità di guardare e di guardarsi. Lo scopriamo visitando il Grande Omaggio a Mirò (e le sculture di Calder in contrappunto), presso la Fondazione Beyeler di Basilea, proprio a ruota dell´esaustiva mostra al Centre Pompidou di Parigi.
Il sogno di Mirò è costellato e disseminato da frammenti che vivono all´incrocio di molti cieli e che gravitano ad altezze diverse, sempre sottili e mai corposi, dato che la leggerezza permette loro di vagare velocemente e di sostare tranquillamente senza ingombro e squilibri. Nei cieli-quadri di Mirò non esistono sprofondamenti o precipitazioni. Gli elementi si dispongono secondo i dettami della compresenza e dell´epifania, e secondo il senso dell´illuminazione e dell´apparizione improvvisa.
Le forme germinano direttamente nel sogno del quadro, ritagliato nella sua inquadratura, che trova il bordo nei confini della pittura, che equivalgono ai confini del sogno stesso. Il linguaggio germinante dell´arte provoca molti fiori e anche deserti, ovvero punti bianchi e vergini della tela. Prolifera su se stesso e inonda la superficie del quadro con attento disordine. L´attenzione nasce da una disciplina biologica del linguaggio, che si dispone sempre secondo rapporti di istantaneità, che in seguito l´americano Calder renderà volatili in tempo reale e stabili nello spazio della scultura.
Anche i colori si dispongono in maniera aperta, dentro i filamenti delle immagini o fuori, deconcentrando le figure e stabilendo nessi che poi precipitano come inseguendo echi che sembrano spegnersi lontano. Talvolta scoppiano vicino con un fragore che resta sempre silenzioso, e che investe sempre l´occhio, seppure quello interno. Da qui, poi, scorre velocemente negli altri organi della percezione, mai solamente visivi. Così le immagini tornano da dove sono partite, nei recessi bui o totalmente luminosi del profondo.
Il profondo di Mirò non è naturalmente il luogo dell´irrazionale, del puro misconoscimento della ragione, bensì il serbatoio che trova sempre nuova linfa e rinnovamento dalla sua pulsione a restare sotterraneo. È un serbatoio disposto in orizzontale, che non ama alzare la testa, e che per attitudine ha un movimento inclinato. È il sogno dell´arte a trasportarlo fuori dalla posizione supina, a trascinarlo nel luogo della rappresentazione, dove non subisce perdite, ma si accresce di un ulteriore splendore oscuro.
«Disciplina di lavoro per avvicinarsi di più alla forma», dice Mirò. Quest´asserzione scaturisce dalla natura stessa del linguaggio, che ama porsi sempre sotto lo sguardo in maniera compita e compunta. Compunzione non significa perdita d´intensità, ma accrescimento e maggior concentrazione. Il sogno dell´arte, in Mirò, passa attraverso il superamento dell´improvvisazione, dove l´affinamento dell´immagine calibra la propria apparizione in modo che non fuoriesca precipitosamente dal serbatoio che l´ha trattenuta fino a quel momento.
Il trattenimento dell´immagine equivale all´unica possibilità di serbarla fuori da ogni cesura. L´artista possiede il dono di non privare l´immagine del suo spessore e dei suoi legami interni. Mirò non produce mai lacerazioni: forme e figure conservano radici che affondano nella sostanza dell´immaginario, che non è un luogo astratto, cioè una condizione astratta della fantasia, ma il terminale ininterrotto del serbatoio del profondo. Il linguaggio costituisce la meccanica attraverso cui esso avvia e produce le sue polluzioni.
«Noi avremo un´arte libera. Tutto l´interesse dell´artista si baserà sulla vibrazione dello spirito creatore», dice Mirò. Dunque la vibrazione è il movimento che l´artista sviluppa per avvicinarsi al luogo interiore. Da questo luogo non è lontana la natura, che vive, anzi, sulla stessa lunghezza d´onda, fatta di espansione e contrazione, tremiti sottili che impediscono grandi eventi ma costituiscono le polarità temporali (e per questo invisibili) all´interno delle quali avvengono i piccoli eventi della nascita e della morte.
«Quando lavoro a un paesaggio comincio a amarlo, di quell´amore figlio di una lenta comprensione. Lenta comprensione della grande ricchezza delle sfumature, ricchezza concentrata, che offre il sole. Felicità di riuscire a comprendere nel paesaggio un filo d´erba», dice Mirò. La simultaneità dell´immagine non è quindi il portato della velocità: piuttosto è una calibratura paziente che tende a non privarla della sua intensità iniziale. E l´intensità è la temperatura che misura la realtà dell´immagine, il suo rimanere inalterata dentro la griglia del linguaggio.
Una lotta lenta e paziente si apre tra l´artista e i suoi strumenti, e la posta in gioco è impedire la perdita che può derivare dall´uso troppo concitato del linguaggio. Mirò sa che il linguaggio ha una struttura profonda, e che il profondo è strutturato come il linguaggio, con nessi e passaggi. Dunque l´artista, come l´acrobata, cammina lentamente sul filo, nel tentativo di attraversare un punto strettissimo in cui è possibile precipitare.
Mirò ha conservato radici sufficienti per restare saldamente ancorato alla vibrazione che sorregge la natura e anche il sogno dell´arte. Qui geometria e segni organici si intrecciano incessantemente, stabilendo l´armonia di apparizioni che conservano dentro e fuori di sé l´intenso fantasma dell´insieme. La circolarità del tutto è anche una lotta per trattenere l´iniziale vibrazione all´interno dei confini di un linguaggio che prolifera in un una direzione duplice, quella ascensionale della finitezza e quella illimitata e discendente di un infinito che si può soltanto sospettare.