lunedì 19 luglio 2004

Simona Maggiorelli
due mostre: a Madrid e a Martigny

Europa quotidiano
MONOCROMOS. DA MALEVICH AL PRESENTE


La prima mostra della Madrid di Zapatero sceglie il segno incisivo della pittura astratta e il colore magnetico dei monocromi. Al museo nazionale Reina Sofia, fino al 6 settembre, Vincenzo Trione, con Barbara Rose, ha allestito una mostra pensata come un viaggio di ricerca intorno a questo interessante tema che attraversa le avanguardie storiche, la pittura del secondo Novecento e che continua ancora oggi ad avere nuovi sviluppi.
Punto di partenza scelto dal critico d’arte napoletano, Trione, il “bianco su bianco” con cui, nel 1918, Kasimir Malevich prende consapevolezza di aver fatto una scoperta: quella del monocromo come immagine “alogica” che va oltre il figurativismo, capace di comunicare in modo profondo con un linguaggio che va oltre la descrittività razionale e analitica del già visto, ma anche oltre la fantasia di immagini deformate, fatte a pezzi, scomposte con cui il cubismo cercava di forare la superficie delle cose. Qualche anno prima Malevich aveva dipinto il famoso “Quadrato nero”, nato forse dalla trasformazione di un sipario scuro in una sorta di schermo di rappresentazione. Quella tela esposta nell’ultima mostra dei futuristi a San Pietroburgo, segnò un punto di svolta.” Si comincia a capire che il monocromo può essere una porta – scrive Trione nel catalogo – una soglia estrema della pittura oltre la quale diventa installazione, icona assoluta, capace di spingere lo spettatore al di là del limite del colore e della tela percepibili con i sensi”. Poi sarebbero venuti, negli anni ‘40 e ‘50 i luminosi rettangoli frontali di Rothko che sembrano librarsi sulla superficie della tela, le esplorazioni monocrome di Lucio Fontana, che dopo il punto di arrivo del bianco, precipitò nel taglio della tela come azzeramento totale della cromia. Con toni più esibiti e meno risonanza interiore quasi negli stessi anni Yves Klein sperimentava l’ossessione del blu oltremare, Franz West i ritorni continui sul rosso. E dopo aver visto una mostra di Klein nel ’57 Piero Manzoni concepisce i suoi “Achrome”, monocromi bianchi con i quali propone un’idea di pittura come “spazio di libertà”, immagine assoluta che è negazione ma anche apertura verso nuovi valori. A partire da qui le sperimetazioni di pittori di oggi come Emilio Castellani e Ettore Spalletti. La mostra”Monocromos.Da Malevich al presente” è accompagnata di un catalogo di interventi critici, coordinati dallo stesso Trione e Gladys Fabre, direttrice del Museo d’arte moderna di Parigi. In Italia è edito da Skira. (Simona Maggiorelli)

Europa quotidiano
VAN GOGH, CEZANNE, PICASSO e altri capolavori A MARTIGNY


A Martigny, appena oltrepassato il confine, fino a settembre, un’occasione per vedere la Phillips Collection, che squaderna capolavori di Cèzanne, Van Gogh, Picasso, ma anche opere classiche del Settecento e Ottocento da Ingres, a Delacroix a Monet e, andando indietro nel tempo, tavole del '500 e '600, in primis di El Greco, anticipatore della stagione inquieta del manierismo internazionale, dalla Grecia, a Venezia, a Saragozza. Una collezione, messa insieme dal danaroso mecenatismo nordamericano e in particolare dal Duncan Phillips che un articolo di El Pais racconta come mecenate e insegnante di Storia dell’Arte all’Università di Yale che si era messo in testa di “creare un Prado americano”, per dare al suo giovane paese tasselli di storia dell’arte e quella conoscenza della tradizione della vecchia Europa, a lungo bramata. Progetto ambizioso che nel 1921 si concretizza nella casa mauseo Phillips Memorial Art Gallery, il primo museo di arte contemporanea negli Stati Uniti, che poi all’inizio degli anni ’60 avrebbe ospitato le prime importanti retrospettive americane di Rothko e Alberto Giacometti. Due artisti, (specie il primo che Phillips apprezzava per la “forza emotiva del colore” e a cui aveva dedicato un’intera sala della casa museo) che fanno la parte del leone anche in questa mostra svizzera alla Fondazione Pierre Gianadda che, fino al 27 settembre, ospita buona parte della collezione conservata a Washington. Apre il percorso Le dejeuner des canotiers di Auguste Renoir, una scena di tono leggero e conviviale che incarnava i valori del buon vivere della borghesia Ottocentesca e della colta Francia, meta dei viaggi di educazione dei rampolli delle famiglie americane. Ma se quest’opera di tardo impressionismo è diventata , negli anni, l’immagine simbolo della Collezione Phillips, dietro vengono opere più intriganti, come l'istrionico Paganini ritratto da Delacroix o la piccola bagnante di Ingres e, sprattutto, avvicinandosi alle avanguardie storiche, eleganti nature morte di Braque in giallo, marrone e nero accanto ai primi “esercizi” in blu del giovane Picasso. E poi ancora, per chi avesse il tempo di una capatina vacanziera appena oltre confine:’‘L’ingresso del giardino pubblico di Arles’ (1888) di Van Gogh e il ‘Vaso di zenzero con melagrane e pere' (1890-1893) di Cézanne, che il pittore regalò a Claude Monet. Info sul sito www.gianadda.ch. (Simona Maggiorelli)