domenica 11 luglio 2004

horror
Galimberti su La Repubblica delle Donne

una segnalazione di Antonella Pozzi

La Repubblica delle Donne 10.7.04
Lettere
Prigionieri del sesso

Scrive Jan Morris in Enigma: "Vestito come sono con i jeans e un maglione, non so proprio a quale sesso i poliziotti crederanno che io appartenga, e devo prepararmi a rispondere in base alla loro decisione.
Tendo l'orecchio per sentire se usano "signore" o "signora", e decidere di conseguenzala mia linea di condotta"
di Umberto Galimberti


"Ecco perché i transessuali hanno fretta".
Buongiorno, sono un ragazzo transessuale, per la precisione un Ftm (Female to Male, da femmina a maschio), e scrivo spinto dalla voglia di fare conoscere a tutti la nostra esistenza e la nostra realtà di difficoltà e disagio. Essere Ftm significa essere nati in un corpo sbagliato; si è biologicamente di sesso femminile ma l'identità di genere intrapsichica è sin dalla prima infanzia quella maschile. Per dirla in parole semplici: siamo dei maschi, dei ragazzi, degli uomini imprigionati per uno scherzetto della natura in un corpo di femmina, di ragazza, di donna. È una discordanza tra sesso e psiche e nulla ha a che vedere con difetti/malformazioni/ambiguità fisiche. Il nostro corpo è perfettamente normale e sano, l'unico GIGANTESCO problema è che non corrisponde a ciò che noi "sentiamo/sappiamo di essere dentro".
Nel periodo di tempo (che purtroppo spesso si protrae per alcuni anni) che intercorre dall'inizio della terapia ormonale, e il cambio definitivo di nome e sesso sui documenti, noi ci troviamo in una condizione di "pseudo-clandestinità", di "non-esistenza", in quanto finalmente appariamo anche all'esterno in tutto e per tutto dei maschi, ma i nostri documenti riportano ancora dati anagrafici femminili. Non è difficile capire quanti e quali problemi ciò comporti. Si va dalla difficoltà/impossibilità di trovare lavoro, a cose più banali, di tutti i giorni: cambiare un assegno in banca, espatriare o viaggiare in aereo, pernottare in albergo, pagare con la carta di credito. Tutte queste situazioni di vita ordinaria per noi sono fonte non solo di grande disagio e violazione della privacy, ma spesso anche di contestazioni/rifiuti/accertamenti sulla nostra vera identità. Un tale con la faccia da Mario che si presenta al check-point in aeroporto o allo sportello di una banca esibendo un documento intestato a Valentina, capite bene che come minimo desta sospetto e allarme.
La soluzione a tutto ciò ci sarebbe: velocizzare e snellire il percorso burocratico e legale (che contempla l'ottenimento di ben due sentenze, la prima di autorizzazione agli interventi e la seconda di cambio anagrafico dei documenti) che comporta forti esborsi economici e gravose quanto ingiustificate e dolorose perdite di tempo (si parla di anni!).
Scrivo questo in risposta al giudice che ieri, rinviando a un mio amico l'udienza per il cambio dei documenti alla fine di settembre (ben sei mesi!) in seguito all'opposizione del PM (non presente in aula), che pretende che il medico che ha effettuato gli interventi chirurgici venga a giurare in tribunale, sostenendo che la cartella clinica prodotta dal richiedente potrebbe essere falsificata (ma come? Si mette in dubbio la validità di un documento ufficiale emesso da un ospedale pubblico? Proprio ora che è sempre più possibile ricorrere all'autocertificazione negli ambiti più vari), ha detto con l'aria di rimprovero: "Non capisco tutta questa fretta che avete voi transessuali".
Forse questa mia lettera servirà a illuminarlo.
Mattia


Speriamo. E questa è anche la ragione per cui pubblico la sua lettera. Per schiodare il cervello dei più che quando sentono "transessualità" pensano "perversione" e spingono i transessuali ai margini della città, ai suoi bordi. E questo per effetto di quel bieco materialismo che assume come zoccolo duro dell'identità la determinazione chiara e precisa dell'orientamento sessuale, senza neppure il sospetto che nessuno di noi è "per natura" relegato in un sesso. L'ambivalenza sessuale, l'attività e la passività sono scritte come differenza nel corpo di ogni soggetto e non come termine assoluto legato a un determinato organo sessuale. Ma questa ambivalenza sessuale profonda deve essere ridotta, perché altrimenti sfuggirebbe all'organizzazione genitale e all'ordine sociale. Tutto il lavoro ideologico consiste allora nel disperdere questa realtà irriducibile, per ridurla alla grande distinzione del maschile" e del "femminile", intesi come due sessi pieni, assolutamente distinti e opposti l'uno all'altro.
Risolta la differenza dei sessi nella differenza degli organi sessuali, il corpo, consegnato alla sua anatomia, rimuove la sua originaria ambivalenza erogena, per iscriversi in quello statuto sessuale che, se da un lato gli consente di entrare senza fraintendimenti nell'ordine sociale, è pur sempre una forma di segregazione, una definizione, vantaggiosa per il controllo sociale, ma devastante per la vita individuale, costretta a negare, per esigenze sociali, una parte profonda di sé. E questo vale sia per i transessuali che cambiano genere, sia per le persone che stanno chiuse e difese in un unico genere come in un bunker.
Spero che la sua lettera aiuti molti, se non a comprendere i transessuali, a riconoscere che l'ambivalenza sessuale è un tratto comune di ciascuno di noi. Rifiutarla è un'amputazione della propria psiche, e questa volta davvero devastante più di quanto, agli occhi della gente ben identificata nella sua sessualità, non sia il cambiamento dei segni somatici a cui i transessuali si sottopongono.