venerdì 16 luglio 2004

la noia

Repubblica 16.7.04
UN BRILLANTE SAGGIO CHE SPIEGA LA NOIA
di FRANCO MARCOALDI


Tra i tanti effetti della società di massa, c´è anche quello di una progressiva diffusione «democratica» della noia. Quello che un tempo sembrava un fenomeno marginale, appannaggio esclusivo di nobili e monaci, da un certo punto in avanti - segnatamente dal Romanticismo - comincia a diventare un´esperienza capillare, generalizzata. Di massa, appunto.
Questa almeno è l´idea che propone un giovane filosofo norvegese, Lars Fr.H.Svendsen, nel suo saggio La filosofia della noia (traduzione di Giovanna Paterniti, Guanda, pagg. 206, euro 13). E per suffragare tale tesi intesse, al modo benjaminiano, un saggio crivellato da mille citazioni: di Pascal e Schopenahuer, Nietzsche e Adorno, Kierkegaard e Heidegger; senza contare la letteratura (Goethe, Flaubert, Bernanos, Pessoa, Ballard, Kundera, Moravia) e la musica rock.
Meno fascinosa della malinconia, meno grave della depressione, e perciò stesso meno indagata da filosofi e psichiatri, la noia «è un fenomeno vago e multiforme», difficile da afferrare. Anche perché, afferma Svendsen, è impossibile stabilire «se il mondo ci appare privo di senso perché ci annoiamo, o se ci annoiamo perché il mondo ci appare privo di senso». Ma ecco che così procedendo il filosofo norvegese ha già stabilito un punto fermo: l´inestricabile nesso tra noia e senso. Essendo sempre più difficile rintracciare il secondo, ecco perché la noia è oggi più diffusa che mai, come ci conferma «l´inusitato proliferare dei "placebo sociali". Quanto più si moltiplicano i surrogati di significato, tanto maggiore dev´essere la carenza cui devono sopperire».
Svendsen è terrorizzato all´idea di scrivere un saggio noioso sulla noia. E in effetti riesce brillantemente ad evitare questo rischio. Aggiungendo poi, da bravo filosofo, che il suo scopo non è di offrire soluzioni, ma soltanto di chiarire il problema: «la noia non è una questione di inoperosità, ma di significato». Basta leggere il Libro dell´inquietudine di Fernando Pessoa per averne conferma: «Il tedio pesa di più quando non si ha la scusa dell´ozio. Il tedio dei più grandi indaffarati è il peggiore di tutti. Il tedio non è la malattia della noia di non aver nulla da fare, ma una malattia peggiore: sentire che non vale la pena di fare alcunché. E poiché è così, quanto più c´è da fare, tanto più tedio bisogna sentire».