mercoledì 21 luglio 2004

storia:
la tragedia di Mayerling

Corriere della Sera 20.7.04
Il principe mangiapreti e l’altezzosa popolana La tragedia di Mayerling
Passione impossibile osteggiata dalla corona Fu suicidio, omicidio di Stato o vendetta?
di LUCA GOLDONI


Se la tragedia di Mayerling è popolare, lo deve a due film: il primo con Charles Boyer e Danielle Darrieux, e l’altro con Omar Sharif e Catherine Deneuve, il solo che ho visto. Un fumettone melenso che ho seguito pizzicottandomi le gambe per stare sveglio. Ci si chiederà allora per quale motivo ho scelto questa storia. Perché, sotto la romantica fine dei due amanti, si nasconde un thriller che nessuno ha risolto. Cominciamo con l’identikit dei protagonisti. Vienna, 1889: il 31enne Rodolfo d’Asburgo - baffi a manubrio e orecchie a sventola - unico maschio erede dell’imperatore Francesco Giuseppe, litiga spesso col padre che l’ha ignorato nell’infanzia e ora lo detesta perché è liberale, illuminista, mangiapreti. Litiga anche con la moglie Stefania, figlia di Leopoldo II del Belgio, perché gli piacciono troppo le donne e i viaggi. Unica eccezione a questa sua volubilità, una fanciulla: Maria Vetsera, figlia di non importa chi. S’è infatuata di lui quando aveva 10 anni, lo ammira nelle parate o nelle cavalcate al Prater e finalmente lo incontra a palazzo. Ha 17 anni, è bionda, sognatrice, altera (rifiuta di far la riverenza alla moglie di lui), ma soprattutto è adorante e Rodolfo finisce per innamorarsi di amore riflesso.
Vanno a letto insieme la notte del 13 gennaio 1889. E resteranno amanti per 15 giorni e qualche ora, cioè fino al fatale incontro nella residenza di caccia a Mayerling, sepolta nella neve. Le loro ultime lettere lasciano presagire che si toglieranno la vita: lui è sposato e non può chiedere l’annullamento (per la sopraggiunta sterilità della moglie) perché il terribile padre minaccia sfracelli. Lei è avversata dalla madre che spesso la riempie di botte. Una storia impossibile e dunque l’epilogo classico.
I due giacciono nel grande letto barocco, si sono amati per l’ultima volta. E adesso è il momento: Rodolfo impugna il revolver, appoggia la canna sul cuore di Maria (un proiettile alle tempie ne devasterebbe il viso), lei allunga la mano sottile su quella di lui che regge l’arma. Uno sparo, un sussulto. E metà del tragico rito si è compiuta.
Rodolfo, che mille volte ha disquisito sulla morte, ora ce l’ha di fronte e guarda annientato la sua donna che ha gli occhi aperti ma non c’è più. Avrebbe un solo modo per troncare il suo straniamento, rivolgere subito l’arma contro di sé, stavolta alle tempie. E invece esita. Secondo un cameriere, fra una detonazione e l’altra trascorre almeno un’ora (è l’unica testimonianza: se altri sanno di più, dovranno giurare silenzio eterno).
Quali pensieri lacerano la mente di Rodolfo in questo intervallo? Certo riaffiorano i momenti dell’idillio incompiuto, quando, dopo la prima notte, lei gli regalò un portasigarette d’oro con inciso «13 gennaio-grazie al destino». E lui un anello con le iniziali delle parole «Uniti nell’amore fino alla morte». Rodolfo non ha un barlume di fede, non crede nell’Aldilà, sull’enigma della vita piomba la mannaia del nulla. E forse si domanda se proprio non c’era alternativa a questo epilogo funebre. C’è chi ha risolto vicende d’amore in modo più disinvolto. Ad esempio la prozia Maria Luigia, moglie di Napoleone, non esitò a scaricare il marito in disgrazia e a riciclarsi con l’amante Neipperg. E oltre le Alpi, in Italia, c’è stato un re, Vittorio Emanuele II, regolarmente coniugato che regolarmente se la spassava con una favorita, la bella Rosina.
Dunque loro hanno deciso di morire perché avevano paura di vivere controcorrente, al di fuori delle regole. Eppure il denaro non mancava, potevano comprarsi dei complici, fuggire sotto finte spoglie, ricominciare in un altrove lontano. Altro tardivo dilemma: perché la scelta di questa fine violenta e non, ad esempio, quella più lieve di Petronio che, perseguitato da Nerone, si taglia le vene e aspetta la morte parlando dolcemente alla schiava e amante che sta morendo dissanguata accanto a lui?
Un’ora interminabile - o forse un baleno - spezzata dalla seconda revolverata. E certo gli è stato più facile uccidersi che uccidere. Accorrono gli amici, i camerieri, la notizia vola alla Corte che fulmineamente diffonde la verità ufficiale: Maria ha avvelenato Rodolfo, poi si è sparata.
Il principe viene frettolosamente chiuso nella bara e seppellito nella mitica Cripta dei Cappuccini. Per la fanciulla una più macabra messa in scena: viene sistemata in carrozza con un bastone dietro la schiena perché sembri viva, consegnata alla madre, sepolta clandestinamente con un referto di suicidio.
E subito si scatena un tornado di supposizioni e dicerie, invano contrastate da Filippo di Coburgo, cognato di Rodolfo: «Non domandate come sia accaduto. È già triste che sia accaduto». Ma i circoli di Vienna non raccolgono l’invito alla pietà e, di fronte al silenzio imposto dalla Corte, si dividono in due fronti: chi crede a un sacrificio d’amore e chi a un complotto politico. A favore della prima tesi, le ultime lettere degli amanti. Maria lascia un biglietto alla madre: «Non posso più vivere. Prima che tu mi raggiunga sarò in fondo al Danubio». Rodolfo scrive alla mamma imperatrice Sissi e agli amici: «Io devo lasciare la vita».
L’epilogo romantico è quello che piace di più al popolo, ma già i primi interrogativi lo minano. Perché Rodolfo ha invitato per lo stesso giorno della sua morte a una battuta di caccia il cognato e l’aiutante di campo Emanuele Hoyos? E perché la sera prima ha proposto con un telegramma un incontro a Vienna al conte ungherese Karolyi? Costui capeggia un gruppo di nobili e studenti in una sommossa antiaustriaca per incoronare proprio Rodolfo sul trono d’Ungheria.
La tesi del complotto internazionale a questo punto si ramifica. Prima ipotesi: Rodolfo, che già si sente re d’Ungheria, si rifugia a Mayerling in attesa di conferme. Non vuole esser raggiunto da Maria (che disubbidirà), preferisce sciogliere la tensione sparando ai fagiani con gli amici. Quando apprende che la sommossa è fallita, intuisce lo scandalo che monta e si uccide, dopo aver soppresso l’amante che sarebbe stata fatalmente coinvolta. Seconda ipotesi più intrigante: un cugino, l’arciduca Francesco Ferdinando, sa che la moglie di Rodolfo, divenuta sterile, non può più assicurargli un erede. Per diventare lui il successore non gli resta che far fuori il cugino. Eseguito. Se così è, mai nemesi fu più crudele: l’arciduca anni dopo sarà ucciso a Sarajevo. La terza versione introduce una tragedia greca, con la spietata vendetta del padre: la «Cia» imperiale smaschera la congiura che vuole Rodolfo sul trono di un’Ungheria indipendente. Un commando raggiunge Mayerling, uccide l’erede traditore e Maria, testimone scomoda. Contesse, cocchieri e romanzieri si sono cimentati a lungo con le proprie verità in migliaia di pagine (e se fra i miei lettori c’è qualche maryerlingologo rinunci alla matita blu e accetti le cento sfaccettature e incertezze della vicenda). Ma le parole più inquietanti sono quelle attribuite a Leopoldo II del Belgio, suocero di Rodolfo: «Il suicidio e la confusione erano i soli mezzi per evitare uno scandalo inaudito». E al padre imperatore: «Tutto è meglio della verità».
Due esempi da manuale di real politik. Due ciniche epigrafi per un amore appena cominciato. Nei secoli non riposano Rodolfo e Maria.

IL RITRATTO
Il rampollo di Francesco Giuseppe che frequentava borghesi e osterie


Nato nel 1858 da Francesco Giuseppe ( nella foto ) e da Elisabetta Wittelsbach (la famosa Sissi), Rodolfo d’Asburgo è l’erede al trono dell’imperatore d’Austria e re d’Ungheria. Il futuro regnante si rivela molto lontano dalle posizioni reazionarie del padre. È un sostenitore del parlamentarismo, francofilo, avversario della Prussia e nemico dei gesuiti. Al punto da sostenere la tesi illuminista secondo la quale è la pubblica opinione e non la grazia di Dio la fonte del potere. Il «principe atipico» ama andare, accompagnato dal suo cocchiere Bratfish, nelle osterie popolari a parlare con la gente. E poi vanta diversi amici borghesi ed ebrei. In particolare gli si rimprovera la pericolosa amicizia con il giornalista ebreo Julius Szeps (fondatore del Neu Wiener Tagblatt), con cui avanza l’idea di dar vita a un impero federalista e liberale.