martedì 21 settembre 2004

citato al Lunedì
Luciana Sica, il Prof. Orlando, Matte Blanco

Repubblica 18.9.04
Francesco Orlando ricorda il grande psicoanalista cileno
"Il suo tratto candore e bonomia"
"ma intorn a lui anche diffidenza"
LUCIANA SICA

Tra pochi mesi - nel prossimo gennaio - si conteranno dieci anni dalla morte di Ignacio Matte Blanco, lo psicoanalista cileno noto per L´inconscio come insiemi infiniti, il "saggio sulla bi-logica" uscito nell´81 da Einaudi. In quel "grande libro", Matte Blanco rivisitava in modo originalissimo, con gli strumenti della logica matematica, il cuore del sistema freudiano, mostrando come l´inconscio e la coscienza non siano due entità rigidamente separate: l´inconscio non è più solo la cantina del nostro "rimosso", ma diventa anche un sostegno strutturale della coscienza, del pensiero logico.
"L´Emozione come esperienza infinita": un congresso internazionale in corso a Roma, la sua città adottiva dall´aprile del ´66, rievoca la figura di Matte Blanco. A prendere la parola stamattina sarà Francesco Orlando, brillante professore all´università di Pisa a dispetto dei settant´anni compiuti in luglio: è lui il "dattilografo" palermitano di Lampedusa, l´autore di un testo come Per una teoria freudiana della letteratura (Einaudi, 1973), il francesista che ha riletto la Phèdre e il Misanthrope, lo studioso del kitsch letterario da Flaubert in poi con Gli oggetti desueti.
Orlando è stato ammiratore e amico di Matte Blanco, lo aveva letto in inglese già nel '76 e più tardi l´ha conosciuto. Tra loro, nel tempo, si è stabilito un rapporto di natura intellettuale, ma anche di grande affetto reciproco. Matte Blanco è stato uno studioso sofisticatissimo e non sempre di facile comprensione, ma qui si può almeno tentare un ritratto di questo grande signore sudamericano, alludere alla complessità vertiginosa delle sue teorie, restituirne il fascino e la singolare qualità umana.
Professor Orlando, che ruolo ha avuto il pensiero di Matte Blanco nei suoi studi di letteratura e psicoanalisi?
«Un ruolo grandissimo. Sono ormai più di vent´anni che faccio riferimento al suo pensiero, che lo adopero con sistematicità nell´insegnamento e nelle cose che scrivo».
«Reminiscenze letterarie e "classi": una autoanalisi», è il titolo della sua relazione. "Classe", è un concetto centrale nel pensiero di Matte Blanco, può spiegare lei perché?
«Quando si parla d´individui, di cose individuali, e viceversa di classi logiche, di cose universali, la reazione istintiva dell´uomo della strada è quella di ritenere che l´individuo sia molto più concreto rispetto alle logiche universali, alle categorie astratte? Il pensiero inconscio è senz´altro più primitivo di quello conscio, e chiunque tende ad attribuire a un pensiero più elementare una preferenza per il concreto, per l´individuale, considerando invece l´astrazione come una conquista più tardiva che avviene con la maturazione della persona?».
E invece?
«E invece il grande paradosso, il vero scandalo del pensiero di Matte Blanco è di avere capovolto quest´impostazione: più il pensiero è arcaico, prelogico, più si scende nella profondità dell´inconscio, meno c´è rispetto per gli aspetti strettamente individuali».
In che modo si può esemplificare questo paradosso?
«Mettiamo un padre con più figli, che si arrabbia con uno di loro e lo sgrida. È probabile che, se la sua collera crescerà, potrà pronunciare una frase del tipo "I miei figli sono tutti dei mascalzoni?". O anche, se mi capita di ricevere un torto da uno svedese e mi irrito entro una certa misura, mi limiterò a pensare che quel signore è una canaglia, ma se il mio sdegno sarà più incontrollato, potrò giudicare tutti gli svedesi come delle canaglie. Sono esempi che mostrano come l´aumento di emotività porti a un allontanamento dall´individuale? Ma per uno studioso con le mie competenze, il problema diventa un altro, quello di capire se questa grande verità - che è alla base di tutto il pensiero di Matte Blanco - trovi applicazione o meno nel fenomeno letteratura?».
Lei, naturalmente, pensa di sì.
«Io penso che la trovi, e anche moltissimo. Da sempre mi pongo il problema di come mai le grandi opere d´arte riescano a dare una dimensione universale a vicende apparentemente più limitate, o anche di come sia possibile che quel personaggio anche fortemente individuato diventi una categoria umana, una "classe", appunto... E da sempre trovo molto suggestivo l´intreccio tra il linguaggio come sede del fatto estetico e il discorso psicoanalitico che comunque non esiste senza analisi di un linguaggio».
Mi dica del suo rapporto con Matte Blanco: intanto, come l´ha conosciuto?
«Me lo ha presentato una mia grandissima amica, Alessandra Ginzburg, che è anche tra i principali artefici del congresso e all´epoca era in analisi didattica con Matte Blanco e ne era entusiasta. Era il 1980, e dopo qualche incontro informale gli chiesi di dedicarmi un po´ del suo tempo per questioni mie più personali? Avevo fatto un´analisi di quattordici anni con Giovanni Hautmann e sentivo la necessità di parlare dei motivi che mi avevano spinto a intraprendere quel lungo cammino e dei problemi che ancora mi procuravano qualche noia?».
E lui accettò?
«Sì, ho fatto con lui un paio di sedute, anche se non proprio ortodosse, e ne conservo un ricordo molto bello?».
Del resto, Matte Blanco non considerava la frequenza delle sedute come un fattore determinante della cura analitica. Si legge in un suo testo compreso nel volume intitolato L´Italia nella psicoanalisi (Istituto della Enciclopedia italiana, 1989): «La mia personale esperienza mi dimostra che anche quando si vede un paziente solo per poche volte in tutta la sua vita, in certi casi si riesce ad aiutarlo con l´impiego di concetti psicoanalitici...». Lei, professore, pensa di rientrare in quei certi casi?
«Solo in parte... Forse si è trattato più di una stimolazione culturale che di un aiuto analitico».
Che tipo di uomo era Matte Blanco?
«Non esito a dirlo: una specie di santo. La dolcezza, la semplicità, il candore, l´affabilità, la bonomia costituivano il suo tratto umano. Era la persona meno autoritaria, meno sgarbata, meno presuntuosa, meno di potere che si possa immaginare».
So che per l´uscita del "grande libro", lei aveva suggerito di chiedere una prefazione a Lacan, ma un po´ assurdamente Matte Blanco non volle saperne? Vuole raccontarlo lei?
«Matte Blanco aveva avuto un incontro cordiale con Lacan, e pensai che - con una prefazione firmata da un analista tanto acclamato - il suo libro si sarebbe venduto come i panini col prosciutto. Ma un giorno sollevo la cornetta del telefono, e mi sento dire dalla sua voce inconfondibile che a lui di avere la prefazione di una persona famosa non gliene importava niente, mentre gli andava benissimo che la scrivessi io che gli ero tanto simpatico... Gli obiettavo: "Professore, mi dia retta, la sua è merce culturale di prim´ordine e deve circolare il più possibile"... Niente da fare, non si dava per vinto e ripeteva: "Ma no, ma no, io voglio bene a lei, non a Lacan!". Ecco, questo era l´uomo».
Un uomo verso il quale - nell´ambiente psicoanalitico, tra i colleghi - c´è stata più ammirazione o più diffidenza?
«Sotto sotto più diffidenza, anche se l´ammirazione c´era, non poteva non esserci, ed era favorita dall´incredibile mitezza dell´uomo? Ma ricordo anche che, una volta, trovai in un estratto di Matte Blanco una frase molto amara. Lessi: "La creatività di uno di noi in genere è avvertita da quasi tutti gli altri come un pericolo mortale"... Si rende conto? Non una minaccia, ma proprio un pericolo mortale».

UN CONGRESSO A ROMA A DIECI ANNI DALLA MORTE
L´INCONSCIO È L´INFINITO DENTRO DI NOI
"Ho avuto il privileg di curare i suoi libri"
PIETRO BRIA

«L´Inconscio: un infinito dentro di noi»: così Matte Blanco riassumeva il senso più profondo della sua ricerca approdata a territori che prima di lui erano stati esclusivo campo di indagine del pensiero filosofico e scientifico. L´Inconscio veniva così a legarsi al concetto di Infinito radicandosi nell´esperienza emotiva, soprattutto quando si manifesta con i caratteri della "passione" che sconvolge i canoni della nostra "ragione" abituata a muoversi nei confini dello spazio e del tempo: confini a cui sono refrattarie le emozioni dell´amore e dell´odio.
Quando siamo innamorati - dice Matte Blanco - ci troviamo immersi nell´infinito, assolutizziamo l´oggetto del nostro desiderio. In altre parole, presi dall´emozione di amore, tendiamo a trattare l´individuo come la "classe", la parte come il tutto: la donna amata - come può essere la madre per il bambino - diventa, così, la Donna, l´insieme di tutte le donne e il legame con lei si colora di poteri straordinari, nel Bene e nel Male. Così facendo Matte Blanco riscatta l´emozione spesso confinata nell´irrazionale e ne ravvisa una logica che è espressione di uno specifico modo di significare della mente: una ragione assolutista, che opera in continua interazione con quella ragione che Aristotele ha vincolato al rispetto del principio di non contraddizione. La cosa più importante è che la ragione degli affetti, ideologica per sua natura, si rivela altrettanto essenziale per la nostra sopravvivenza della ragione aristotelica. Abbiamo bisogno di entrambe le logiche, ma soprattutto di una loro interazione armonica, per scongiurare la sofferenza psichica.
Ho avuto il privilegio di assistere a questo straordinario percorso intellettuale fin da quando, dopo il suo arrivo in Italia, Matte Blanco cominciò a svolgere i suoi corsi di psicopatologia alla Cattolica, poi in una lunga analisi didattica, e più tardi nella traduzione e nella cura della sua opera fondamentale recentemente riedita: L´Inconscio come insiemi infiniti. Ci fu una cosa che subito mi colp
ì di lui: una sorprendente mescolanza di raffinatezza culturale, di capacità mai soddisfatta di analisi e di distinzione, insieme col modo diretto di comunicare, facile alle generalizzazioni emotive.
Diceva spesso che ciò dipendeva dalle sue radici cilene, dal mondo contadino del suo Cile. Diceva anche - riconoscendo il suo amore precoce per l´Italia - che una delle più importanti fonti di ispirazione per la sua teoria erano stati i romanzi fantastici di Salgari. Oggi mi rendo conto che rifletteva nella sua opera un aspetto profondo della sua persona: quell´"essere bi-modale" - come più volte l´ha definito - fondato su una sana armonia tra i "due modi di essere".