Liberazione 14.10.04
Intervista al poeta siriano Adonis, che ieri ha inaugurato il RomaPoesia 2004
«Nell'uso politico della religione, l'origine di tanti orrori»
«Naturalmente rispetto la fede del singolo individuo. Ma parlando dal punto di vista storico, il monoteismo ha creato dittature, guerre, razzismo e tutto quello che è contro l'essere umano».
Ha scelto di farsi chiamare Adonis, come un dio ellenico, in realtà il suo nome è Ali Ahmad Sa'id Isbir, per tutti comunque è uno dei più grandi poeti arabi contemporanei, oltre che esponente di spicco della cultura internazionale. Da qualche tempo è in odore di premio Nobel per la letteratura, ma di questo non sembra curarsi troppo, gli basta scrivere, pubblicare le sue raccolte di versi e continuare a dare scandalo con le sue posizioni di grande apertura, persuaso - oggi come negli anni '50 quando fondò la rivista "Shi'r" - della necessità di affermare valori essenziali universalmente condivisi. La sua rivisitazione dei miti, della storia e della cultura araba attraverso un nuovo approccio metodologico lo ha portato a diventare un punto di riferimento per le generazioni più giovani ma anche un autore inviso ai fondamentalisti.
Nato nel 1930 nel villaggio di Qassabin in Siria, Adonis ha studiato e si è laureato all'università di Damasco, ha lavorato a Beirut e da qualche tempo vive a Parigi. Di ritorno dalla Buchmesse di Francoforte, da tre giorni si trova in Italia, dove ha partecipato al festival "Mediterranea", organizzato dalla Provincia di Roma insieme al suo amico di sempre, il grande poeta israeliano Natan Zach, con cui ieri sera ha aperto anche l'ottava edizione del "RomaPoesia - Festival della parola", organizzato anche quest'anno dall'assessorato alla Cultura del comune di Roma all'Auditorium Parco della Musica.
«Innanzi tutto voglio dire che alla manifestazione di Francoforte sono stato invitato dalla Lega araba, ma lì rappresentavo solo me stesso, non il mio paese», così esordisce il poeta Adonis, mettendo subito in chiaro le cose.
Che cosa può dirci della Buchmesse tedesca. Secondo lei, sono importanti questi incontri fra poeti e letterati di tutto il mondo?
Non è semplicemente importante, ma direi che è sempre più necessario incontrarsi. Non solo fra noi arabi, ma anche con gli scrittori degli altri paesi rappresentati a Francoforte.
Lei è famoso anche per essere un poeta laico all'interno della cultura araba: che giudizio dà oggi della rinascita dei fondamentalismi, sia che si tratti di fondamentalismo cristiano, islamico o ebraico?
L'ho già detto più volte e lo ripeto: per me il fondamentalismo è un segno della decadenza della religione stessa. Si parla moltissimo del ritorno delle religioni e si discute spesso di questo fenomeno. Secondo me, però, non si tratta di un fenomeno di ritorno ma è il segno della fine delle religioni. Inoltre si deve considerare che questo fenomeno non è assolutamente un ritorno di tipo spirituale, ma semmai di tipo politico che utilizza la religione come strumento per difendere interessi economici e politici. Dunque è decisamente un segno nefasto sia per la religione che per lo spirito religioso.
Qual è il suo rapporto con la religione o con il suo credo?
Fino ad ora abbiamo parlato di religione e non di fede. Io ho un grandissimo rispetto per la fede, qualsiasi essa sia, anche la fede di quelle persone che credono, per esempio, in una pietra. La religione invece, come fenomeno istituzionalizzato o politicizzato, diventa una forza nefasta per l'essere umano stesso. Per questo quando parlo di religione voglio precisare la distinzione tra religione di tipo istituzionale e fede del singolo individuo che rispetto profondamente.
Recentemente lei si è espresso in termini molto critici sul monoteismo affermando che sarebbe necessario cambiarlo. Cosa voleva dire?
Il monoteismo è la negazione dell'altro e di tutti di coloro che non credono a quello in cui il monoteista crede. Abbiamo tre monoteismi e tre concezioni di dio, quindi anche dio è plurale, secondo questa visione. Parlando poi da un punto di vista storico, il monoteismo ha creato dittature, guerre, razzismo e tutto quello che praticamente è contro l'essere umano.
Dopo l'11 settembre si parla sempre di più di scontro di civiltà fra Oriente e Occidente. Lei che cosa ne pensa?
E' la prova che questo scontro è profondamente religioso, come dicevo prima. La poesia, la pittura, la scultura, la musica, l'amore non parlano mai di scontro di civiltà. Tutto quello che è essenziale non fa parte di questo scontro anzi tutti i popoli sono uniti dalla poesia, all'arte, dalla musica e dall'amore: un'altra prova che il monoteismo è legato agli interessi militari, economici e politici.
La poesia dunque può contribuire a costruire una società basata sull'unione e la comunicazione fra i popoli?
Certo, ma non la poesia come poema in sè ma come visione del mondo, come creazione di un nuovo modo di relazionarsi fra gli uomini, ma anche fra gli uomini e l'universo e fra la lingua e le cose. Essere creativo in senso poetico può dare una nuova immagine alla nostra vita di relazione umana.
In questi anni il terzo mondo, privato di ogni mezzo di sussistenza, preme alle porte dell'Europa. Come pensa si possa risolvere questo grave problema.
Se rimaniamo sul piano della creatività non esiste un terzo mondo. Il terzo mondo supera nella creatività anche i paesi più sviluppati. Prendiamo l'America latina, è chiaro che supera di gran lunga il Nord America su questo piano. Sono dunque le forze politiche e militari di questa parte del mondo, che noi chiamiamo Occidente, che creano i problemi di miseria, povertà e ingiustizia.
Dunque il futuro è nell'integrazione della parte povera del mondo con il cosiddetto Occidente?
Credo che il nostro futuro sarà meticcio. L'unica soluzione è un "meticciato" umano e culturale.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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