giovedì 14 ottobre 2004

imputabilità e inimputabilità

denaro.it 29.9.04
Nuova disciplina dell’imputabilità
Nell’ambito del progetto di riforma del Codice Penale ad opera della Commissione ministeriale presieduta dal professor Carlo Federico Grosso, notevole rilievo assume la disciplina dell’imputabilità con i suoi molteplici aspetti innovativi.
di Luciano Martino

Apprezzabile è la scelta favorevole al mantenimento della distinzione tra soggetti imputabili e inimputabili, come quella, compiuta sul piano della tecnica legislativa, di rinunciare a definire in positivo il concetto di imputabilità, limitandosi a disciplinarne le condizioni che la escludono o la diminuiscono. La scelta nasce dalla constatazione del carattere meramente pleonastico della formula adoperata dal legislatore del ’30 nell’art. 85 c.p., oltre che dall’incertezza che fin dalle origini rende incerti i suoi confini . La menzione separata delle due capacità (di intendere e di volere) suscita riserva, tenuto conto che, alla luce delle moderne conoscenze psicologiche, intelligenza e volontà appaiono come funzioni influenzantesi vicendevolmente. Parallelamente, si è avviato un processo di ampliamento dell’imputabilità anche alla sfera affettiva, poiché la tradizionale separazione della personalità psichica in tre elementi distinti — sentimento, intelligenza e volontà —ha segnato il passo di fronte all’affermazione del principio di indivisibilità della psiche umana. La disciplina in esame, quindi, ha dato rilievo alle critiche, da tempo manifestate, sull’opportunità del mantenimento di una formula così generica per indicare l’imputabilità che, come tutti i concetti “disposizionali”, è più facilmente individuabile in negativo. Sono rimaste, invece, deluse le speranze di quanto avevano suggerito che, in sede di riforma, si desse all’imputabilità una collocazione all’interno del reato, e segnatamente nel titolo II relativo alla colpevolezza, superando in questo modo la sistematica del codice attuale. Il progetto ministeriale ne colloca, al contrario, la disciplina nel titolo IV dedicato alla pena. Apprezzabile appare, sul duplice piano della scelta di principio e della tecnica normativa, l’opzione a favore di un “modello aperto” di individuazione delle ipotesi di non imputabilità d’impiego di una clausola definitoria aperta per il dichiarato fine di realizzare un flessibile adeguamento al mutare (al progresso) delle conoscenze scientifiche e in genere delle concezioni pertinenti, cosicchè si aprirebbe la strada alla rilevanza dei diversi paradigmi della malattia mentale prospettati dalla scienza psichiatrica. L’attuale disciplina, nelle intenzioni dei compilatori del codice penale del ’30 , avrebbe dovuto circoscrivere l’ambito di applicabilità della norma ai soli casi in cui il vizio di mente afferisse ad una forma patologica, riconducibile, in base alla sintomatologia presentata, a ben precise tavole nosografiche. Senonchè, la scelta operata a quel tempo, incentrata su un modello c.d. medico o biologico della malattia mentale, ha via via perduto il monopolio nell’ambito della psichiatria per lasciare spazio ad un paradigma di tipo psicologico prima e di tipo sociologico successivamente. In questo senso la Commissione propone di allargare i presupposti dell’incapacità di intendere e di volere, affiancando al tradizionale riferimento all’infermità di mente la espressa menzione di “altro grave disturbo della personalità” Questa scelta estensiva, oltre ad essere in linea con l’orientamento dei codici più recenti, ben riflette la consapevolezza proprio di quel pluralismo motodologico che oggi connota il sapere psichiatrico, una volta entrato in crisi il paradigma medico-nosografico quale unico o prevalente criterio selettivo di disturbi psichici atti a incidere sulla capacità di colpevolezza e di pena. Una ricodificazione che vada al passo con i tempi non potrebbe pretendere di imporre concezioni o modelli che risultano obsoleti alla stregua dell’evoluzione del sapere scientifico. Peraltro, la nuova opzione codificatoria, se ambisce a guidare la prassi applicativa futura, deve riuscire a contemperare apertura all’evoluzione scientifica e capacità orientativa dei giudici. Ed occorre, altresì, che il modello di disciplina proposto, rifletta soluzioni capaci di riscuotere il consenso della grande maggioranza degli psichiatri e degli psicologi. In tal senso, si riscontrano dubbi e incertezze da parte della scienza psichiatrica sull’utilizzo dell’espressione “disturbo della personalità”, sottolineando che si tratta di un termine riduttivo e ampliativo al tempo stesso, essendo limitato da un lato alle sole psicopatie, per cui resterebbero fuori le nevrosi, e valendo dall’altro e ricomprendere una serie di anomalie psichiche non altrimenti classificabili. Meglio sarebbe stato, secondo tali autori, l’utilizzo dell’espressione “altro grave disturbo mentale” o “ altro grave disturbo psichico”. Piuttosto, a nostro avviso, il punto è un altro: la inidoneità del requisito della gravità ad arginare un’interpretazione troppo lata dell’anomalìa psichica, in quanto qualsiasi formula terminologica, sia essa la “gravità” o il “valore di malattia”, si presta in concreto a facili manipolazioni. Diversamente dalla disciplina vigente, quella suggerita dal Progetto Grosso collega la non imputabilità alla impossibilità di “comprendere il significato del fatto o di agire in conformità in tale valutazione”. L’imputabilità sarebbe, quindi, definita in negativo e in chiave strettamente intellettualistica. Si tratta di una formula utilizzata da codice penale tedesco del 1975, e che è stata poi ripresa sia dal codice spagnolo che da quello portoghese. Nei §§ 20 e 21 del ST GB tedesco, in particolare, si parla di incapacità di comprendere “das Unrecht” del fatto e di agire in conformità a tale rappresentazione, sicchè il soggetto imputabile deve avere la consapevolezza del contenuto illecito del fatto commesso. Con ciò, naturalmente non deve intendersi la coscienza dell’antigiuridicità del fatto, valutata alla stregua della norma incriminatrice, la cui ignoranza, come è noto, è irrilevante ai sensi dell’art. 5 c.p., bensì il suo significato offensivo, nella dimensione fattuale concreta, pregiuridica. Il criterio di giudizio sull’imputabilità recepito dal legislatore della riforma è, dunque, di tipo misto o biologico — psicologico, non rinunciando, da un lato, alla diagnosi della malattia mentale e richiedendo, dall’altro, la valutazione del grado di incidenza del disturbo sulla comprensione del significato del fatto, contrariamente al sistema biologico puro, che lega la non imputabilità automaticamente alla diagnosi della malattia mentale, e al modello normativo puro, che, invece, prescinde dalla diagnosi della malattia mentale, valutando solo l’incidenza del disturbo sulla psiche del soggetto. Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio dei non imputabili, la Commissione di studio, nel chiaro intento di applicare — nel caso concreto — la misura più adeguata alle specifiche esigenze di cura e di controllo, ha proposto una serie di misure “non punitive”, individuate ai fini di prevenzione speciale e denominate di “sicurezza e riabilitative”. Nell’art.96, comma 3, del progetto di riforma precisa poi che non si fa luogo all’applicazione e la misura viene revocata quando la sua finalità possa essere efficacemente perseguita con strumenti di carattere non penalistico. A differenza degli istituti orientati alla risocializzazione o alle terapie e simili, dunque, le misure di sicurezza e riabilitative costituirebbero l' estrema ratio, intervenendo solo allorchè si riscontrino “esigenze comprovate e prioritarie di prevenzione dei delitti più gravi”. Il progetto Grosso, in definitiva, mantiene un sistema di misure alternative alle pene vere e proprie, ma supera il sistema del c.d. “doppio binario”. Quanto alla tipologia delle misure di sicurezza, il progetto Grosso all’art. 97, comma 1, relativamente al non imputabile per infermità o altro grave disturbo della personalità: il ricovero in una struttura, con finalità terapeutiche,; l’obbligo di sottoporsi ad un trattamento ambulatoriale presso strutture sanitarie, nonché quello di sottoporsi a visita periodica presso strutture sanitarie e di presentazione periodica ai servizi sociali. Altra importante novità, per taluni versi dirompente, è, come detto, il superamento nel nuovo codice del sistema del doppio binario. Difatti, le nuove disposizioni escludono la possibilità di applicare, in aggiunta alla pena, una misura di sicurezza e prevedono che, quanto agli imputabili sia applicata una pena, ma con finalità rieducative, per i semimputabili una pena diminuita e orientata in senso risocializzante; mentre destinerebbe agli autori di reato prosciolti per non imputabilità, le misure di sicurezza come unica conseguenza sanzionatoria. Così facendo si è cercato di uniformare la disciplina delle misure di sicurezza e riabilitative al principio di proporzionalità. In questo senso ne sono fissati i limiti edittali, anche solo nel minimo, oltre ad alcuni presupposti oggettivi legati alla tipologia del reato commesso.