giovedì 14 ottobre 2004

la cultura ungherese in mostra a Roma
...e uno sterminio annullato

Liberazione 14.10.04
Un olocausto dimenticato
Aperta a Roma una mostra d'arte per ricordare lo sterminio degli ebrei ungheresi. Una tragedia per anni ignorata dalla stessa nazione magiara
Il ricordo di Charles Farkas, figlio di Istvàn, uno degli artisti più rappresentativi, scomparso durante la detenzione: «Non abbiamo mai voluto riconoscere le nostre colpe e le abbiamo attribuite ai tedeschi. In Bulgaria invece la popolazione fermò i nazisti e gli ebrei si salvarono»
di Vittorio Bonanni

«Iquadri che possiamo vedere in questa esposizione sono nati negli anni più bui della storia dell'Ungheria. In quegli anni, quando nei confronti di ebrei ungheresi furono commessi peccati terribili da altri ungheresi: li umiliavano nella loro dignità umana, li hanno privati dei loro beni, hanno tolto loro gli appartamenti, i loro oggetti di valore, i loro negozi, li costringevano nel ghetto, li hanno deportati nei campi di lavoro, e nei campi di annientamento della Germania o li hanno uccisi in Ungheria.» Questa denuncia è del filosofo magiaro Zoltàn Endreffy, esponente dell'associazione Pax Romana che si occupa del dialogo interreligioso. Lo studioso ha ricordato lunedì scorso il massacro degli ebrei ungheresi (di settecentomila che erano ne sopravvissero solo duecentomila) durante la presentazione della mostra "L'Olocausto nell'arte ungherese", visibile a Roma fino al 5 novembre presso l'Accademia d'Ungheria a Palazzo Falconieri, al quale ha fatto seguito il giorno seguente la conferenza di carattere storico "Olocausto sessant'anni dopo".
E' stata proprio questa ricorrenza, appunto i sessant'anni, a spingere l'Accademia ha realizzare questa serie di iniziative che vede comunque nell'esposizione di dipinti, disegni e sculture realizzati da artisti magiari tra il 1938 e il 1946 il momento certamente più significativo e toccante.
I quadri esposti non sono solo una testimonianza di tempi terribili. Sono anche il prodotto di un momento artistico importante, quell'arte figurativa ungherese i cui esponenti, nel 1938-39, furono deportati, costretti ai lavori forzati o semplicemente annientati, come Imre Amos, definito il "Chagall magiaro" o Istvàn Farkas, pittore esistenzialista di spicco fra le due guerre, un artista che conobbe un grande successo internazionale. Il figlio Charles era presente all'inaugurazione: «Io stesso sono stato in un campo di lavoro tedesco in Jugoslavia - dice Charles Farkas - da dove sono scappato.» «Molti artisti rappresentati qui - dice l'ideatore della fondazione Farkas parlando dell'esposizione - hanno realizzato dei disegni proprio durante la detenzione nei campi e in qualche modo sono riusciti a portarli fuori. I quadri esposti sono comunque di diversi periodi: si parte dal 1938, quando venne promulgata la prima legge razziale in Ungheria, fino ai giorni nostri, perché ci sono degli artisti che hanno trasformato in quadri dei ricordi, delle impressioni.» Questa mostra è importante perché «da noi non c'è stata una catarsi come in Germania. Gli ungheresi non hanno mai voluto riconoscere le loro colpe. E invece se è successo quello che è successo la colpa è degli stessi ungheresi, perché, per esempio, in Bulgaria, dove i tedeschi volevano fare la stessa cosa, la popolazione disse che non potevano imporre le loro leggi. E infatti gli ebrei bulgari sono stati salvati.»
Come dicevamo Istvàn Farkas è stato un grande pittore, che conobbe in Francia successo e fama, soprattutto negli anni '20-'30. Il figlio lo ricorda così: «Io sono stato con mio padre fino all'età di sette-otto anni perché poi i miei genitori si sono separati. Ci vedevamo uno o due volte la settimana e passavamo l'estate con lui. Noi siamo nati a Parigi perché lui svolgeva prevalentemente la sua attività lì e tenne aperto il suo studio fino al 1939, prima dello scoppio della guerra.» Farkas comprò anche una casa lungo le sponde del lago Balaton, in Ungheria, dove andava per dipingere. «Ora è diventata un museo - dice Charles - ed è divenuta la sede della Fondazione Istvàn Farkas, presente anche negli Stati Uniti.»
Questa iniziativa dell'Accademia d'Ungheria si inserisce in un contesto di revisione di un periodo storico praticamente rimosso per decenni dalla nazione magiara: «Finora - dice Katalin S. Nagy, storico dell'arte - non è avvenuta la revisione collettiva del periodo 1938-1945. Nel 1946/47 hanno organizzato alcune mostre in memoria dei martiri, ma dopo decenni di silenzio è arrivata l'ora per gli storici ungheresi di far vedere, riscoprire, i valori delle opere d'artisti ebrei ungheresi.»

Cinema
Due tempi all'inferno

Per ricordare lo sterminio degli ebrei ungheresi la manifestazione organizzata dall'Accademia d'Ungheria ha previsto anche la proiezione del film "Due tempi all'inferno" di Zoltàn Fàbri, realizzato nel 1961. E' ambientato nella primavera del 1944, quando in un campo di lavoro in Ucraina gli ufficiali tedeschi costrinsero i prigionieri ungheresi, indeboliti sia nel corpo che nello spirito, a giocare una partita di calcio in occasione del compleanno di Hitler. L'epilogo è drammatico: gli ungheresi, malgrado tutto, vincono ma pagano a caro prezzo la loro affermazione e il loro entusiasmo. Vengono infatti uccisi sullo stesso campo di calcio. L'autore (1917-1994), è stato uno dei rappresentanti di spicco del cinema ungherese. Il film "Due tempi all'inferno" è giudicato uno dei suoi lavori migliori. Nel 1981 la trama del suo film venne ripresa da John Huston, nel film "Fuga per la vittoria", dove però la storia ha un lieto fine. Nella versione americana vi hanno lavorato attori come Michael Caine, Sylvester Stallone, Max von Sydow e Pelé.