L' INCONTRO «La nascita di Venere» vista da Zecchi e Giorello
È «La nascita di Venere» il tema del secondo appuntamento per la rassegna di filosofia «Le rotte della conoscenza».
Stefano Zecchi e Giulio Giorello dibattono al Teatro Studio sull' origine del mito di Venere.
Filosofi a confronto
Il testo di Giulio Giorello, qui pubblicato, anticipa i temi che verranno affrontati questa sera, alle ore 17, al Teatro Studio di Milano in un incontro-dibattito tra Giulio Giorello appunto e Stefano Zecchi. Il titolo della serata è «Tra mito e simbolo: la nascita di Venere» ( nella foto, l’opera di Botticelli ) e si inserisce all’interno del ciclo «Le rotte della conoscenza», organizzato dal Piccolo Teatro di Milano (diretto da Sergio Escobar) per l’edizione 2004 del Festival del Teatro d’Europa, dedicato quest’anno al Mediterraneo.
La nuova bellezza di Venere? E' nella matematica
Il rapporto fra mito e scienza simboleggiato dall' esempio di Lucrezio, grande poeta e straordinario scienziato
di Giulio Giorello
Una divinità del mito presiede all' umana impresa della scienza. Poiché «senza te nulla sorge alle rive divine della luce», ti desidero come «compagna nello scrivere i versi che mi appresto a comporre sulla natura delle cose». All' inizio del suo De rerum natura Lucrezio invoca Venere, la dea che «pervade il mare popolato di navi e la terra fertile di frutti». Figura della potenza di amore, Venere dispone le poche lettere dell' alfabeto in modo che il poeta possa comprendere la complessa varietà dei fenomeni riconducendoli agli elementi costitutivi, gli atomi, che turbinano nello spazio vuoto, aggregandosi e disaggregandosi. Essa è signora della vita e della morte, e per questo può donare a chi le si rivolge la facoltà di fare emergere la forma dall' informe, l' ordine dal caos, il descrivibile dall' indescrivibile. Lucrezio - che la tradizione vuole che scrivesse negli sprazzi di lucidità concessi da un' intermittente follia dovuta a un filtro d' amore - era al contempo un grande poeta e uno straordinario «scienziato», capace di lavorare pazientemente sulle parole come di analizzare dettagliatamente le osservazioni di cui disponeva. La sua Venere non è una semplice immagine retorica, bensì la personificazione della forza creativa della ricerca. L' avventura di Lucrezio non è diversa dalla nostra, anche se noi abbiamo telescopi orbitanti o acceleratori di particelle per esplorare la natura delle cose. E Venere, che rappresenta «il piacere degli dei o degli uomini», è oggi la bellezza della macchina e della matematica, del congegno più concreto come della forma più astratta. Il sorriso della dea, come nel quadro di Botticelli, continua ad accompagnarci nella nostra esistenza. Sin dai filosofi della natura del Rinascimento che avevano riscoperto il testo di Lucrezio, Venere che nasce dalla spuma del Mediterraneo viene a simbolizzare l' infinito disvelarsi di una verità che a noi può solo darsi in forma finita. È questa la condizione dell' indagatore umano, quella stessa che così drammaticamente Lucrezio rende quando conclude il suo poema con la desolazione della peste di Atene. La finitezza - dolore e fragilità - è l'altro volto di Venere. Ma che ne è allora del piacere, almeno per gli esseri umani? Esso si alimenta della sua stessa finitezza, della capacità se non di possedere la natura, di saggiarla, provando e riprovando, per tentativi ed errori, come se ogni obiettivo costituisca un nuovo inizio - non diversamente da come può fare il lettore se riprende i primi versi di Lucrezio e soggiace di nuovo alla seduzione di Venere. In questa vicissitudine, che non conosce colpa o peccato e che non ha bisogno di salvezza, facciamo esperienza della gioia della scoperta e della libertà dell' invenzione. Senza presunzione o vanità, ma anche senza (più o meno) compiaciuto abbandono al mistero. Come ai tempi di Lucrezio, è bene che ogni tanto qualcuno si dedichi al compito di «vegliare le notti serene» - a cercare qualche nuova stella, a studiare qualche bizzarra specie animale o vegetale, oppure a tentare di risolvere qualche astruso rompicapo matematico. Poiché strana e sorprendente è la natura della creatività umana, scientifica o artistica, che la Venere lucreziana suscita. Come ha scritto un altro poeta (Percy Bysshe Shelley), «la mente nell' atto della creazione è come un tizzone che si sta spegnendo, cui qualche influenza invisibile, come un vento incostante, restituisce una luminosità effimera».