mercoledì 6 ottobre 2004

Nobel e dintorni

La Stampa 06 Ottobre 2004
Piero Bianucci

Tre scienziati americani - David Gross, David Politzer e Frank Wilczek - ieri hanno visto premiare con il Nobel per la fisica una teoria che pubblicarono nel 1973: quella che spiega come e perché stanno insieme i quark, cioè i mattoni fondamentali della materia, e i nuclei atomici. Gross ha 63 anni e lavora all’Università della California a Santa Barbara; Wilczek, suo allievo, ha 53 anni e insegna al Massachusetts Institute of Technology; David Politzer, dopo aver studiato ad ad Harvard, è passato al California Institute of Technology di Pasadena: si divideranno in parti uguali una somma di oltre un milione di euro.
La teoria che i tre fisici elaborarono più di 30 anni fa si chiama «cromodinamica quantistica». Centinaia di esperimenti ne hanno comprovato la validità. Il Modello Standard delle particelle elementari ha in essa un caposaldo: senza questa teoria molti fenomeni del microcosmo sarebbero incomprensibili. Il Nobel arriva quindi con un po’ di ritardo...
La «cromodinamica quantistica», nonostante il suo nome, non ha nulla a che fare i colori. I fisici parlano di «colori» per caratterizzare le forze che agiscono tra i quark e nei nuclei atomici. I quark sono considerati attualmente particelle senza struttura, cioè entità realmente elementari, e sono sei; due soltanto però, chiamati Up e Down, entrano nella costituzione della materia di cui siamo fatti e di cui è fatto l’universo visibile. Combinazioni di tre di questi due tipi di quark formano i protoni (particelle con carica positiva) e i neutroni (particelle senza carica elettrica). A parte il caso dell’idrogeno, i nuclei sono costituiti da più protoni e neutroni, e i protoni, avendo la stessa carica, si respingono: i nuclei quindi non dovrebbero stare insieme. A renderli compatti provvede l’«interazione forte», grazie al fatto che è più forte dell’interazione elettromagnetica e dei suoi effetti repulsivi. Il comportamento di questa forza è singolare: agisce in un campo ristretto, che non supera i confini dei nuclei atomici più massicci, ma in questo ambito diventa più forte a distanza maggiore e più debole a distanza minore. Un po’ come la forza che bisogna esercitare per allungare un elastico aumenta via via che se ne allontanano i capi. I quark, quando sono confinati nei protoni e nei neutroni a distanze brevissime, possono quindi comportarsi quasi come se fossero particelle libere. La teoria di Gross, Wilczek e Politzer descrive in modo matematicamente coerente questo bizzarro comportamento.
«La possibilità di mantenere un regime debole dell’interazione forte - spiega Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto di fisica nucleare - è alla base dell’esistenza di un nuovo stato della materia nucleare, il plasma di gluoni e quark, ottenibile a energia e densità elevate, che si studierà al Cern». Il prossimo obiettivo è arrivare a una teoria ancora più generale, che spieghi in modo unitario l’interazione forte, l’interazione elettro-debole e la gravità: la «teoria del Tutto». Chi ci riuscirà farà un viaggio a Stoccolma.

Repubblica 6.10.04
Tutti i segreti di un premio speciale
Alla vigilia del prestigioso riconoscimento per la letteratura
I protagonisti gli esclusi, le scelte Ecco come lo si assegna
PIERGIORGIO ODIFREDDI

Nel suo testamento del 27 novembre 1895 Alfred Nobel, divenuto miliardario per l´invenzione della dinamite, destinò la sua fortuna alla creazione di quelli che oggi sono i riconoscimenti più famosi e ambìti del mondo: gli annuali premi per la letteratura, la fisica, la chimica, la medicina e la pace, ai quali la Banca Centrale di Svezia ha aggiunto nel 1968 un analogo premio per l´economia. Nobel morì a San Remo il 10 dicembre 1896, e i suoi premi furono assegnati a partire dal 1901. Ogni anno la cerimonia ufficiale si tiene il 10 dicembre, in due solenni eventi paralleli: a Oslo il re di Norvegia consegna il premio per la pace, a Stoccolma il re di Svezia i rimanenti cinque. Ma i nomi dei vincitori vengono comunicati agli inizi di ottobre, proprio in questi giorni.
Per partire da casa nostra, i vincitori italiani sono stati finora diciannove: sei in letteratura (Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale e Fo), cinque in medicina (Golgi, Bovet, Luria, Dulbecco e Levi Montalcini), cinque in fisica (Marconi, Fermi, Segrè, Rubbia, Giacconi) e uno in chimica (Natta), economia (Modigliani) e per la pace (Moneta).
Allargando lo sguardo al mondo intero, le donne insignite del premio sono state trentuno in tutto, di cui due italiane, variamente distribuite: da dieci per la pace a due per la fisica. Benché nessuna abbia vinto un premio intero nell´economia, si può dire che la moglie di Lucas Robert ne abbia vinto il cinquanta per cento nel 1995: grazie alla sentenza di divorzio, che le assegnava la metà di un eventuale premio futuro. La stessa cosa aveva fatto Albert Einstein, che girò preventivamente alla moglie l´intero premio: scommettendo, questa volta, sul sicuro.
Pochissime sono, ovviamente, le foto di famiglia nell´album dei vincitori: la più affollata è certamente quella dei Curie, con la madre Marie, il padre Pierre, la figlia Irene e il genero Frederic Joliot. In altri cinque casi vinsero padre e figlio, tra i quali Henry e William Bragg in uno stesso anno (1915), e Manne e Kai Siegbahn a cinquantasette anni di distanza (1922 e 1975), tutti per la fisica. In altri due casi vinsero marito e moglie, mentre di fratelli si registra invece solo una coppia.
Soltanto due persone hanno preso due volte lo stesso premio: John Bardeen in fisica, nel 1956 e 1972, e Frederick Sanger in chimica, nel 1958 e 1980. Altre due hanno meritato due premi diversi: Marie Curie in fisica e chimica, e Linus Pauling in chimica e per la pace. Il più giovane vincitore è stato William Bragg, che aveva venticinque anni. Il più sfortunato William Vickrey, che nel 1996 morí tre giorni dopo aver ricevuto la notizia della vittoria.
Le persone che hanno rifiutato il premio si contano, letteralmente, sulle dita di una mano. I russi obbligarono Boris Pasternak (letteratura) a declinare nel 1958. Lo stesso avevano fatto i tedeschi con Richard Kuhn e Adolf Butenandt (chimica) e Gerhard Domagck (medicina) nel 1938-39, ma essi furono reintegrati dopo la guerra. Gli unici rifiuti spontanei sono quelli di Jean Paul Sartre (letteratura) nel 1964 e Le Duc Tho (pace) nel 1973.
Il premio per la pace ha, ovviamente, forti connotazioni politiche. Spesso è stato assegnato a organizzazioni indiscutibili: l´alto commissariato Onu per i rifugiati, la campagna contro le mine, i medici senza frontiere, la Croce Rossa, Amnesty International, l´Unicef. A volte è andato a figure carismatiche quali il Dalai Lama, madre Teresa e il dottor Schweitzer, o a simboli della lotta contro l´oppressione quali Mandela, Sacharov e Martin Luther King. Troppo spesso, però, è stato assegnato a coloro che la pace la fanno solo dopo aver fatto la guerra. Il caso più controverso è certamente quello di Henry Kissinger, che l´ha ricevuto insieme a Le Duc Tho: un movimento popolare sta ora cercando di farglielo revocare, a causa delle sue responsabilità nel genocidio in Cambogia e nel colpo di stato di Pinochet.
Anche il premio per la letteratura ha una natura politica, benché meno evidente. Sartre lo rifiutò appunto perché non voleva un riconoscimento che andava soltanto a scrittori occidentali o dissidenti. Oltre a Pasternak, il più famoso di questi ultimi fu certamente Solgenitsyn, che non andò a ritirarlo nel 1970 per timore di non poter rientrare in Unione Sovietica, e lo ricevette dopo essere stato espulso nel 1974. Un´ulteriore anomalia del premio per la letteratura è che fra i vincitori ci sono molti scrittori di secondo piano, dimenticabili e dimenticati, ma non i più grandi nomi del secolo: Proust, Joyce, Musil, Gadda e Borges, tanto per rimanere alle lingue europee. Il che suona ironico, visto che in genere è proprio questo il premio che riceve la maggiore attenzione mediatica.
Il premio per la fisica è invece il più ambíto tra quelli scientifici. L´hanno ricevuto i padri fondatori della meccanica quantistica (Planck, Bohr, Heisenberg, Schrödinger e Dirac), cosí come i creatori dell´elettrodinamica quantistica (Feynman, Schwinger e Tomonaga) e gli unificatori della forza elettrodebole (Glashow, Weinberg e Salam). Stranamente, invece, nessun premio è mai stato assegnato per la relatività: neppure a Einstein, che ne avrebbe meritati parecchi e ne ricevette uno solo, per un lavoro secondario sull´effetto fotoelettrico. Molti premi sono andati ai fisici sperimentali, che hanno scoperto in laboratorio le particelle previste dalla teoria: dal positrone (Anderson) ai bosoni deboli (Rubbia).
I vincitori del premio per la chimica sono forse i meno noti al pubblico, benché fra essi ci siano nomi quali i già citati Marie Curie e Linus Pauling. Più fortunati sono i medici, il cui premio comprende ufficialmente la fisiologia e ufficiosamente la biologia: nella lista dei laureati troviamo personaggi ormai passati alla storia, che hanno legato il loro nome ai riflessi condizionati (Pavlov), alla penicillina (Fleming), all´elica del Dna (Crick e Watson), al caso e alla necessità (Monod), all´etologia (Lorenz) e alla lateralizzazione del cervello (Sperry).
Il premio per l´economia, ultimo arrivato, riflette la duplicità di una disciplina ancora costretta a barcamenarsi tra fatti e opinioni. A un estremo si situano gli economisti matematici, dimostratori di profondi teoremi sulle scelte sociali (Arrow e Sen), l´equilibrio dei mercati (Debreu), la pianificazione (Kantorovich) e la teoria dei giochi (Nash). All´altro estremo si trovano gli economisti politici, dispensatori di superficiali slogan ideologici: il più controverso è Milton Friedman, ultrà del liberalismo e del monetarismo, che fornì a Pinochet la copertura intellettuale per i suoi esperimenti economici.
Kissinger e Friedman non sono però i soli premi Nobel imbarazzanti della storia. Altrettanto lo è stato Antonio Moniz, premiato nel 1949 per «la scoperta del valore terapeutico della lobotomizzazione», una pratica oggi considerata più uno strumento di tortura che una terapia clinica. O Hermann Müller, vincitore nel 1946 per la medicina, dopo essere emigrato dagli Stati Uniti in Unione Sovietica per proporre a Stalin un programma eugenetico. O Fritz Haber, vincitore nel 1918 per la chimica, dopo aver inventato e inaugurato nella Prima Guerra Mondiale la prima letale arma chimica (il gas di cloro). Fortunatamente, però, queste sono eccezioni: la regola del premio Nobel è quella che gli ha permesso di diventare, in un secolo, un diploma di eccellenza che molti sognano di vincere, anche se pochi ci riescono.

La Stampa TuttoLibri 2.10.04
Giovani, vi esorto alla scienza
Tullio Regge

AI miei tempi, parlo di mezzo secolo fa, era di moda la fisica: relatività e meccanica dei quanti erano per me un’esca irresistibile. Erano i tempi della rivoluzione scientifica con i suoi eroi e le sue leggende. La fisica ha sconvolto la nostra visione del microcosmo e del macrocosmo, ha dato impulso a nuove tecnologie che a loro volta hanno scatenato altre rivoluzioni scientifiche in campi diversi del sapere come la biologia, l’astrofisica e la matematica. Nonostante il mio entusiasmo, penso che la carica rivoluzionaria della fisica stia per esaurirsi o che stia perlomeno andando incontro a una fase di stasi, che spero temporanea. Come avrebbe detto il filosofo della scienza Thomas Kuhn, la fisica è al momento in una fase di «scienza normale»: la bandiera della rivoluzione è ora in mano alla biologia, ma anche a discipline affini alla fisica e dallo sviluppo tumultuoso come la cosmologia e l’astrofisica. Telescopi spaziali, sonde e nuovi grandi telescopi terrestri, ma anche possenti metodi informatici, hanno rivoluzionato le tecniche osservative.
Quello che voglio consigliarvi è di rivolgervi alle scienze in fase di rapido sviluppo e di guardare al futuro, ma al tempo stesso di non cedere alle mode. Chi si ricorda più della cibernetica? Trent’anni fa pareva la fine del mondo, e oggi è ormai un carrozzone in disuso, buono solo per gli antiquari. Lo stesso dicasi dei frattali. State attenti alle etichette che promettono molto ma che poi svaniscono nel nulla. Come antidoto consultatevi con degli esperti, e non con uno solo, ma con molti, in modo da comporre una visione equilibrata della vostra personale ricerca.

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Se potessi rinascere e ricominciare tutto da capo forse cambierei mestiere, lascerei la fisica e mi occuperei di storia dell’arte. Uno dei miei primi ricordi di Princeton, siamo ancora negli Anni Sessanta, è l’incontro con un buffo ometto, uno storico dell’arte. Mi chiese da dove provenissi, e quando gli dissi che venivo da Torino, città che secondo me aveva ben poco da offrire, reagì vigorosamente elencando una lunga serie di tesori artistici che temo siano tuttora ben nascosti nella mia città. Aveva una memoria stupefacente, ed era anche molto simpatico. Solo diverso tempo dopo scoprii che quel buffo ometto era Erwin Panofsky, considerato dagli esperti come l’Einstein della storia dell’arte.
Dopo Panofsky ho conosciuto Millard Meiss, e poi Irvin e Marilyn Lavin, suoi successori all’Institute for Advanced Study di Princeton. Raccontai loro della mia visita ad Arezzo e della mia meraviglia davanti agli affreschi di Piero della Francesca, e appresi che l’artista era stato anche un grande matematico, come testimonia il suo trattato De quinque corporibus regularibus, scritto in latino e tradotto poi in italiano nel 1509, dopo la sua morte.
Nei suoi dipinti appaiono i cinque solidi platonici: non solo il cubo, l’ottaedro e il tetraedro regolare, ma anche l’icosaedro e il pentagondodecaedro, oggetti assai più impegnativi dal punto di vista formale. Piero della Francesca manipolava disinvoltamente le radici quadrate utilizzate nella sezione aurea e ovunque appaia la simmetria pentagonale. Di grande interesse e ancora attuale è la formalizzazione delle leggi della prospettiva utilizzate nella sua opera fondamentale De prospectiva pingendi.
Piero della Francesca morì il 12 ottobre 1492, il giorno della scoperta dell’America e della fine del Medioevo. Nei secoli successivi l’armoniosa coesistenza e simbiosi tra arte, cultura umanistica e scienza, gloria e vanto del Rinascimento, è venuta gradualmente meno, ed è logico chiedersi il perché. Tra le varie cause, la caduta del sistema geocentrico, seguita dal successo spettacolare della nuova astronomia e della legge di Newton, e poi il susseguirsi di sempre nuove rivoluzioni scientifiche. In Italia, poi, credo che l’influsso del neoidealismo di Croce e Gentile - dominante nella cultura del Novecento - abbia dato il colpo di grazia a una dicotomia già molto difficile da ricomporre, tentando fra l’altro di relegare la scienza a un ruolo subordinato. Croce sosteneva che la scienza fosse mera «ingegneria», che il suo valore fosse esclusivamente pratico e non potesse quindi costituire una vera conoscenza. Anche se il neoidealismo appartiene ormai al passato, i danni che ha causato sono ancora evidenti.
Ho voluto ricordare la figura di Piero della Francesca e il fascino che esercitò su di me tanti anni fa proprio per mostrare come scienza e arte, e più in generale mondi che sembrano così lontani tra loro come la ragione e la creatività, o la fantasia, in realtà non lo siano affatto. Credo invece che appartengano tutti a una dimensione umana più ampia di quanto ci abbiano voluto far credere molti secoli di eventi e varie correnti di pensiero. E’ quella dimensione in cui, ed è su questo che vi invito a riflettere, riusciamo a cogliere e ammirare la bellezza di un teorema di matematica o di un’equazione di fisica, e nello stesso modo un dipinto o un brano musicale - penso soprattutto a Johann Sebastian Bach, uno dei miei idoli - ci appaiono nella loro perfezione numerica e geometrica, sublime quanto emozionante.

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Vorrei che si sviluppasse in voi giovani il senso critico, ossia la capacità di valutare le cose per quelle che sono, senza filtri demagogici o dogmatismi di sorta, avendo il coraggio, se necessario, di dubitare anche di quello che tutti sembrano ritenere ovvio. Significa anche saper giudicare a partire dai fatti, e non lasciarsi fuorviare dalle idee degli altri senza averle prima fatte nostre, né permettere che le nostre si irrigidiscano. Significa documentarsi, andare instancabilmente alla ricerca di conferme, saper cambiare idea e riconoscere i propri errori. E’ quanto di meglio la scienza, e il metodo scientifico, mi abbiano mai insegnato. Spero che possa insegnarlo anche a voi.

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Prima ancora di abbracciare la nobile causa dell’ambientalismo, dovremmo forse pensare a un’«ecologia della mente», sbarazzarci dei pregiudizi, tornare al dialogo aperto e costruttivo. Non abbiate paura di dubitare, e di criticare tutto quello che non vi convince fino in fondo. Abbiate la forza e il coraggio di sostenere le vostre idee, anche se vi sembrano impopolari, anche quando non vi sentite appoggiati. La forza della ragione è in ciascuno di voi. E’ questa la scienza che voglio provare ad insegnarvi: quella mossa dal ragionamento critico, lo stesso che già due secoli fa insegnavano gli illuministi e dopo di loro il grande filosofo Kant, e che riassumerei così: pensate con la vostra testa.