giovedì 25 novembre 2004

brevi
la depressione nei bambini, e Petrarca

Yahoo!Salute - mercoledì 24 novembre 2004
24 novembre 2004
La depressione nei bambini come nei grandi
Il Pensiero Scientifico Editore

La depressione non è solo una malattia degli adulti. Secondo una ricerca americana pubblicata sull’American Journal of Psychiatry anche bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni possono essere colpiti da questo disturbo. In particolare sembra che le classificazioni della malattia fatte per gli adulti valgano anche per i pazienti pediatrici.
Joan L. Luby, pediatra della Washington University di St. Louis, ha osservato il comportamento di 156 bambini di età compresa tra i tre e cinque anni. Ad un terzo di questi bambini è stata diagnostica la depressione. In particolare alcuni di questi bambini sembravano avere sintomi già codificati per la depressione melancolica tipica degli adulti: scomparsa dell’interesse e del piacere nel gioco, forte rallentamento psichico e motorio; questi bambini di solito parlano poco, rispondono a monosillabi, si muovono poco e lentamente, non hanno energia e si affaticano troppo facilmente.
Il gruppo di pazienti è stato suddiviso ulteriormente da Luby in due sottogruppi a seconda che i bambini si dimostrassero non in grado di trarre piacere da nessuna esperienza, condizione che si chiama anedonia, o capaci di entusiasmarsi anche se per brevi periodi. Dallo studio è emerso che i bambini più colpiti dalla depressione malancolica avevano una storia di traumi infantili o di stress molto forti alle spalle. Lo studio ha anche rivelato che in alcuni casi i bambini fortemente depressi avevano familiarità con la patologia.
Secondo l’autore dello studio essere in grado di classificare esattamente il tipo di depressione che colpisce i bambini ne faciliterebbe la cura. Infatti la depressione melancolica viene trattata con una terapia molto diversa da quella non melancolica e, soprattutto, si dovrebbe cercare di evitare di somministrare psicofarmaci ai pazienti in età pediatrica. In questo senso una diagnosi accurata è fondamentale.

Bibliografia. Luby JL et al. Characteristics of depressed preschoolers with and without anhedonia: evidence for a melancholic depressive subtype in young children. Am J Psychiatry 2004; 161:1998-2004.

giornaledibrescia.it 24 novembre 2004
Il critico e scrittore Marco Santagata ieri ai Pomeriggi in San Barnaba. L’attualità del poeta del «Canzoniere»
Petrarca, un depresso che rivoluzionò la poesia

È un Petrarca che mostra i sintomi tipici della depressione quello che Marco Santagata ha presentato ieri al pubblico del San Barnaba. Dunque un uomo affetto dall’insofferenza per tutte le cose di questo mondo, dominato dall’impossibilità di apprezzare quanto lo circonda: è una sindrome che noi moderni definiremmo «male di vivere», qualcosa che la letteratura contemporanea conosce bene. Ma il poeta del Canzoniere non aveva a disposizione le nostre categorie psicologiche, ragionava in termini di filosofia morale: dunque si riteneva affetto dal vizio dell’accidia. Mosso da una religiosità inquieta e lacerante, viveva come peccaminoso il suo desiderio incoercibile per Laura: una introiezione della colpa che è stata un passaggio necessario per la sua poesia. E sta anche in questo volgere l’indagine verso la profondità della psiche, verso i mali dell’anima la rivoluzione copernicana operata dal Petrarca nei confronti della poesia cortese che l’ha preceduto. Marco Santagata, docente di letteratura italiana all’Università di Pisa, critico letterario ma anche romanziere di successo, è uno dei massimi studiosi italiani di Francesco Petrarca, come ha ricordato Antonio Sabatucci introducendo il relatore, che è stato protagonista dell’ottavo incontro del ciclo dei Pomeriggi in San Barnaba dedicati alle figure del classicismo dalla cultura latina all’Umanesimo italiano. E a Francesco Petrarca Santagata ha dedicato anche il libro Il copista, un romanzo che mostra uno stanco poeta all’età di sessantaquattro anni. Petrarca è figura che si è sempre prestata a diventare un elemento del dibattito letterario, dando adito a letture di parte, sottolinea subito Santagata. Nel 1951 Gianfranco Contini, affrontando il confronto tra Dante e Petrarca, notava come noi moderni ci sentiamo solidali con Dante, ma come la tradizione italiana sia più vicina a Petrarca. Ma oggi sono cadute le ragioni di un paragone di tipo militante tra i nostri due grandi poeti: le istanze che apparivano nuove sono un normale ingrediente della letteratura moderna. Una lettura di tipo filologico del Petrarca, senza nessun bisogno di forzature modernizzanti - afferma il relatore - mostra tutte le ragioni della sua attualità: e sono le stesse che in pieno Trecento caratterizzavano la novità rivoluzionaria della sua poesia rispetto alla tradizione lirica cortese. Fino ad allora la lirica d’amore era un fenomeno eminentemente sociale, una lirica dialogica da «consumare» in pubblico, aperta alla cronaca e al quotidiano. La poesia di Petrarca è invece solitaria, non cerca il dialogo, rifugge dalla cronaca, allontana da sè la storia. Alla dimensione sociale sostituisce una dimensione interiore e soggettiva. Il dialogo cercato dal poeta non è quello con i lettori, ma semmai quello con altri testi. La poesia petrarchesca richiede infatti, per la sua piena comprensione, un contesto letterario. Ed è lo stesso poeta che fornisce il contesto riunendo le sue liriche nel Canzoniere, il libro che dà al lettore la chiave interpretativa corretta del testo: lo spazio letterario sostituisce lo spazio sociale. A dimostrazione delle sue notazioni Santagata legge e analizza il sonetto numero 272 del Canzoniere: «La vita fugge e non s’arresta un’ora...». Si tratta certo d’un sonetto d’amore, ma dove il sentimento amoroso appare piuttosto reticente; campeggia invece l’io del poeta, affetto da una crisi talmente lacerante da prospettare la possibilità del suicidio: questo motivo, che torna con una certa frequenza nel Canzoniere, è molto raro nella lirica anteriore. E’ qui che il relatore inserisce la sua analisi del Petrarca depresso e affetto dal «male di vivere» di cui si diceva all’inizio. Il sonetto si conclude con un riferimento ai «lumi spenti», gli occhi di Laura defunta, ma la notazione appare quasi un guizzo stanco del tipico poetare d’amore. Se leggiamo la lirica nel contesto dell’intero Canzoniere, l’interpretazione si arrichisce di nuovi significati e si complica: la ragione che dovrebbe guidare la nave della vita del poeta e l’amore non appaiono alleati, anzi l’amore emerge come una delle grandi passioni nemiche della ragione. Si rivela dunque la contraddizione e il sonetto appare pervaso a una vena irrazionale. Ma è una contraddizione che lascia trapelare un soffio di vitalità: forse, conclude Santagata, gli occhi di Laura avrebbero potuto salvarlo, nonostante ciò che il poeta aveva pensato della passione amorosa.