giovedì 25 novembre 2004

Spi
...roba seria!

Il Messaggero 25.11.04
Psicoanalisi - Consulenze, farmaci, terapie: parlano gli analisti della Spi
E IL DOTTOR FREUD SI ADEGUA
di Lucio Lombardi

Quale psicoterapia? La scelta del metodo, e conseguentemente del terapeuta, è il primo e non indifferente scoglio che si erge davanti a chi ha deciso di cercare una soluzione ai propri problemi psichici. Nel tentativo di offrire una risposta, il mondo psicoanalitico, spesso accusato di impermeabilità e di chiusura verso l'esterno, ha scelto di dare un segnale chiaro di inversione di rota: la Spi, l'associazione che riunisce gli analisti freudiani, già da tempo ha aperto i propri centri ad un servizio di consultazione e di orientamento.
"C'è la necessità di uscire dalla stanza dell'analisi - spiega Agostino Racalbuto, analista e direttore della Rivista di Psicoanalisi della Spi - di aprirsi al territorio. La psicoanalisi non cambia ma rivisita alcune modalità operative: consulenze a psichiatri, a medici specialistici come ginecologi o dermatologi, ma anche ad altre entità professionali, ad esempio nel mondo della scuola. E' un tentativo di restare al passo coi tempi. Nello scambio interdisciplinare non c'è solo quello che possiamo dare, ma anche quello che possiamo ricevere, beninteso senza tradire le nostre origini. Una persona viene in uno dei nostri centri, fa dei colloqui, ne emergono indicazioni: per una psicoanalisi, per una terapia più rapida, per un invio allo psichiatra".
Il paziente oggi vuole forse risposte più brevi e meno costose.
"La terapia psicoanalitica ha bisogno di anni e di persone che tollerano il differimento nel tempo. Ma oggi la società ha tempi vertiginosi, nessuna prospettiva del futuro, è il disagio della cività moderna. Viviamo in una cultura dei bisogni, non dei desideri e i desideri implicano la sopportazione dell'assenza. Il bisogno invece non tollera l'assenza, vuole essere subito soddisfatto. Ecco il perché di richieste orientate verso terapie dai tempi ristretti. Purtroppo, però, la risposta terapeutica breve è spesso più sintomatica che profonda".
Dunque meno sedute nella settimana e un arco complessivo di tempo più corto...
"Una volta - ci dice Roberto Goisis, analista e direttore del centro Spi di Milano - era il terapeuta ad imporre la frequenza delle sedute. Per il paziente l'alternativa era "prendere o lasciare". Oggi c'è più elasticità, si può cominciare con una seduta e poi aumentare quando il paziente è in grado di trovare uno spazio temporale dentro di sé".
C'è posto anche per i farmaci?
Direi di sì. La psicoanalisi si è aperta al rapporto con le neuroscienze, dunque non nega che soprattutto in una fase di approccio con pazienti di un certo tipo si possa ricorrere alle medicine. In genere, l'analista preferisce restare neutrale di fronte al farmaco e indirizzare il paziente da uno psichiatra per una gestione del problema che avvenga in parallelo con la terapia analitica. Ma è illusorio credere che il farmaco da solo risolva il problema. Resta fondamentale la relazione con il terapeuta.".
C'è ancora il problema degli analisti selvaggi?
"L'Albo professionale lo ha risolto, anche se la sanatoria iniziale non ha potuto essere molto selettiva. Gli standard richiesti sono alti e la situazione tende continuamente a migliorare".