Corriere della Sera 25.11.04
Una nuova biografia racconta i mille volti del dittatore comunista, dai vizi privati al genocidio del suo popolo
L’autunno di Pol Pot, una Cambogia rosso sangue
Nessuna fosca grandiosità negli anni della fine. Il vecchio dittatore, sopravvissuto a un tumore ma corroso da un guasto all’aorta, trascorreva le giornate nella sua casa sul ciglio di uno strapiombo. L’uomo che aveva provocato la morte di quasi due milioni di persone contemplava la piattissima pianura sulla quale aveva tentato di reinventare una nuova Cambogia. A metà degli anni Novanta, l’utopista assassino chiamava a sé i collaboratori e raccontava di quand'era giovane, nella capitale. Un sorso di whisky o di cognac. Qualche piatto cucinato nel wok per la figlioletta Sitha. Più spesso un po’ di ossigeno da inalare e placare il mal di cuore. Capitava che si facesse leggere pagine della monografia che lo storico americano David P. Chandler gli aveva dedicato nel 1992 oppure era lui a dettare appunti per un’autobiografia mai scritta. E se dalla frontiera con la Thailandia, meno di un chilometro più in là, arrivava una copia di Paris-Match , la sfogliava, sì, la sfogliava di gusto. Impartiva ordini agli ultimi fedelissimi, tamponando defezioni, contando le unità degli ultimi combattenti leali, pianificava alleanze e cambi di strategia, scongiurando smottamenti di uomini che portavano verso una inevitabile pacificazione. Tradito e processato dai suoi, Pol Pot sarebbe morto nella notte del 15 aprile 1998. Né suicida né «suicidato». Di cuore. E non pentito.
Il tiranno era nato Saloth Sar, nel 1925. Ma fu anche Pouk, e Hay. E un numero: «87». E lo Zio, il Fratello Maggiore, il Fratello Numero Uno, e un altro numero, «99», e Phem. Trasformò il suo Paese in una colossale risaia, un crocevia di colonne di sfollati, un mattatoio di traditori immaginari, una caserma di ragazzini torturatori. Era la Cambogia dei Khmer Rossi. E la costellazione di nomi dietro i quali si nascondeva Pol Pot ha contribuito a far apparire il dittatore molto più distante da noi di quanto non lo siano i suoi crimini.
La segretezza, la dissimulazione sono state il suo copyright e la chiave della sua lunga marcia verso la presa del potere - 17 aprile 1975 - e anche della parabola discendente del movimento, iniziata con l’invasione vietnamita (dicembre 1978). Il poco che si sa della vita di Pol Pot, un sorridente e gentile maestro per chi lo frequentava, emerge dalle pieghe della storia della rivoluzione cambogiana. Schegge nuove di conoscenza affiorano tuttavia dalla ricca biografia che Philip Short (Pol Pot. History of a Nightmare, edito in Gran Bretagna da John Murray), già giornalista della Bbc, ha dedicato al leader dei Khmer Rossi. Affresco completo, con tanti colpevoli, da Mao e Deng a Clinton. E colpiscono i dettagli minimi. Che, sconosciuti ai più, di Pol Pot offrono visioni sghembe. Ecco, per esempio, un Saloth Sar quindicenne che frequentava l’harem del re Monivong, sperimentando di routine titillamenti sessuali per mano delle insoddisfatte concubine. Oltre quarant’anni e un genocidio dopo, le seconde nozze di un Pol Pot alla macchia sono invece un intimo brindisi con succo d'arancia, il gerarca Son Sen (nel 1997 fatto massacrare con la famiglia) nel ruolo di efficiente pronubo. Il Pol Pot che pianificava purghe feroci e incursioni punitive contro gli odiati vietnamiti era poi lo stesso che, scoperto il fascino delle sahariane made in Bangkok e dei colori pastello, negli anni Novanta perdonava il segretario stanco di combattere ma cercava nuovi guerriglieri fra i contadini.
Short descrive, non spiega, lamenta il Financial Times. Però non trascura nulla. Rovescia qualche luogo comune, mostra come le efferatezze medievali dei Khmer Rossi replicassero quelle dei bassorilievi di Angkor, dei testi buddhisti tradizionali cambogiani e dei nazionalisti antifrancesi. E snida le contraddizioni, vedi il marxismo-leninismo di Pol Pot, alla fine così superficiale e strumentale da essere completamente accantonato nel 1991. Strategia, Realpolitik. «Un giorno anche la Cina sarà capitalista», disse profetico Pol Pot.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»