la risposta
C'è un nuovo nemico a sinistra, si chiama Bertinotti
Nonostante i borbottii, i rimproveri e le esplicite condanne della sinistra più o meno moderata e "civile" (compreso, ovviamente, "Male Minore"-Barenghi), nonostante la faccia compunta del buon Veltroni, che si ricorda della non-violenza solo quando si sottrae qualche libro o prosciutto e non quando si sommergono di bombe i bambini serbi; nonostante gli schiamazzi di "Tolleranza zero"-Pisanu, gli "espropri proletari" si diffondono a macchia d'olio. Certo, si tratta di minoranze, di avanguardie politicamente scorrette, ma che proprio con la loro "mala educaciòn" pongono un problema e nello stesso tempo evidenziano un rischio. Il problema è naturalmente quello della precarietà, che corrode alle radici la nostra società e che Bertinotti pretende di affrontare accordandosi proprio con quel centro-sinistra che ha aperto le porte al lavoro precario; gli espropriatori hanno infatti compreso che, in un mondo in cui la merce è più sacra della vita umana, l'unico modo per portare la precarietà sotto i riflettori è quello di sferrare continui attacchi alla merce. Il rischio è quello del ritorno della violenza, anche nelle forme della violenza politica: il precariato è infatti una vera e propria violazione dell'ordine sociale, che, come diceva Rousseau, "non deriva assolutamente dalla natura, ma è fondato su accordi": con il venir meno di questi accordi, viene meno anche l'obbligo di obbedire a regole come pagare in un supermercato.
La svolta moderata di Bertinotti, che elude volutamente questi problemi e si impanca in discussioni "new-age" sulla non-violenza come valore escatologico, abbandona di fatto al proprio destino centinaia di migliaia di persone che, private di ogni sponda politica, potrebbero individuare proprio nella violenza l'unica soluzione ai loro problemi.
Marco Di Branco, Roma
Non c'è dubbio che più le azioni sono eclatanti, illegali, spettacolari, al limite violente e ovviamente provocatorie, più è evidente il problema che pongono. In questo caso quello della precarietà (che non è solo del lavoro ma della vita in generale), problema che sta assumendo una dimensione tale da non rappresentare più un'eccezione (per quanto diffusa) bensì la regola. Ci stiamo avviando a passi da gigante su una strada che ci porterà a una società basata sull'insicurezza. Non solo quella provocata da guerre e terrorismi, che già bastano, ma da una vita quotidiana in cui si sa forse quello che si sta facendo oggi ma non quello che si farà (se si farà) domani. Cosa meglio dell'attacco al cuore della merce, argomenta il nostro lettore, per mettere a fuoco il problema? Problema che se lasciato a se stesso, o magari venduto sul tavolo della politica come farebbe Bertinotti, esploderà anche in nuove forme di violenza politica.
Sull'esproprio cosiddetto proletario, credo di aver già spiegato sul manifesto di mercoledì scorso la mia posizione contraria, non per ragioni moralistiche o perbenistiche ma politiche. Quel che invece mi interessa discutere oggi è la percezione che si ha ormai di Bertinotti in alcuni settori della sinistra radicale e movimentista, praticamente il leader di Rifondazione è diventato il male maggiore. Ho la netta impressione che si stia riproducendo un meccanismo classico della nostra storia, classico ma sciagurato. Quello che individua il nemico principale non nell'avversario ma nel compagno di strada, compagno che avrebbe sbandato dalla retta via (giudicata retta in base a non si sa quali parametri). E allora giù con le accuse, moderato, traditore, venditore della propria anima, barattatore del movimento in cambio di poltrone. Fino ad arrivare a impedire fisicamente al responsabile esteri di Rifondazione, Gennaro Migliore, di salire sul palco della manifestazione per la Palestina di sabato scorso a Roma. Mentre un suo compagno di partito, Claudio Grassi, ammesso nell'empireo perché la sua corrente aveva aderito "anche alla piattaforma", non si è accorto di quel che stava accadendo sotto i suoi occhi.
A me pare che questa virulenza, questo cercare affannosamente il nemico a sinistra, sia talmente sopra le righe che non ha quasi più nulla a che vedere con il merito delle questioni. Ha invece un sapore artificiale, politicistico direi, si sta in piazza da palestinesi o in un supermercato da precari, ma in realtà si sta nei corridoi del tanto odiato Palazzo. Soprattutto se gli animatori di questo scontro stanno contemporaneamente trattando con altri partiti (per esempio i Verdi o lo stesso Prc) un posto al sole. Cioè nel Palazzo, che evidentemente non gli fa tanto schifo.
Riccardo Barenghi