giovedì 27 gennaio 2005

lescienze.it 26.01.2005
La proteina della schizofrenia
La forma breve di DISC1 è maggiormente presente nei nuclei dei neuroni


Una forma abbreviata di una proteina chiamata DISC1 (Disrupted-In-Schizophrenia-1) risulta distribuita in maniera unica e caratteristica nelle cellule cerebrali dei pazienti che soffrono di gravi disturbi psichiatrici. Lo sostiene una ricerca pubblicata sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences".
Studi precedenti avevano associato il gene DISC1 alla schizofrenia, ma la proteina prodotta dal gene non era stata ancora studiata negli esseri umani. Esaminando la corteccia orbitofrontale, una regione del cervello coinvolta nelle emozioni e nel meccanismo di ricompensa, Akira Sawa della Johns Hopkins University di Baltimora e colleghi hanno analizzato la proteina DISC1 durante l'autopsia di individui normali e di pazienti che soffrivano di schizofrenia, disturbo bipolare, e depressione. Alcuni di essi soffrivano anche di abuso di droghe e di alcool.
Gli autori hanno identificato una forma breve della proteina DISC1 nei cervelli di tutti i gruppi. Tuttavia, pur non rivelando variazioni nei livelli totali di DISC1 fra un gruppo e l'altro, i ricercatori hanno scoperto distribuzioni alterate della proteina DISC1 breve nelle singole cellule cerebrali. Nei neuroni dei pazienti di depressione e schizofrenia, ma non in quelli con il disturbo bipolare, una percentuale più alta delle proteine si trova nei nuclei. Questo arricchimento nucleare aumenta proporzionalmente alla gravità dell'abuso di alcool o di droga del paziente. Anche se la funzione della forma breve di DISC1 è sconosciuta, i ricercatori sospettano che possa provocare un'errata espressione genica, forse danneggiando i circuiti cerebrali e creando suscettibilità ai disturbi mentali e all'abuso di sostanze pericolose.
Naoya Sawamura, Takako Sawamura-Yamamoto, Yuji Ozeki, Christopher A. Ross, Akira Sawa, "A form of DISC1 enriched in nucleus: Altered subcellular distribution in orbitofrontal cortex in psychosis and substance/alcohol abuse". Proceedings of the National Academy of Sciences (2005). Yahoo!Notizie
Mercoledì 26 Gennaio 2005, 18:29
MEDICINA: IDEATA MACCHINA 'MISURA-LIBIDO'


(ANSA) - ROMA, 26 GEN - Si basa sullo studio delle onde cerebrali quella che, al 7/o congresso della European Society for Sexual Medicine, e' stata presentata come la prima macchina per la misura della libido.
Sviluppata in Israele da Yoram Vardi del Rambam Hospitalad Haifa, l'idea, gia' testata su 30 individui, potrebbe essere usata per misurare effetti collaterali dei farmaci come gli antidepressivi sulla libido e anche stabilire su base certa e oggettiva la presenza di problemi conseguenti a incidenti.
Secondo l'esperto, che ha preso spunto da una tecnica gia' molto usata in neurologia per misurare la soglia di attenzione degli individui, questo potrebbe diventare il primo metodo quantitativo di misurare la libido.
La macchina e' semplice, si basa su un elettroencefalogramma che misura le onde 'p300' e le variazioni in ampiezza di queste onde in seguito a stimoli. Le onde p300 sono quelle che il nostro cervello produce 300 millisecondi dopo un evento e la loro ampiezza varia se intervengono altri stimoli che ci distraggono dall'evento iniziale. Secondo quanto osservato nei test su 14 uomini e 16 donne sessualmente sani, Vardi ha notato che gli stimoli che sono maggiore fonte di distrazione sono proprio quelli sessuali.
I volontari, indotti a produrre p300 attraverso stimoli di varia natura, mentre erano monitorati con l'elettroencefalogramma sono stati messi di fronte a uno schermo che proiettava vari tipi di film tra cui alcuni a contenuto erotico.
I diversi film, ha riferito Vardi, determinavano modifiche delle onde p300. Ma piu' di tutti erano i film erotici a determinare le variazioni piu' consistenti delle p300.
Inoltre gli stessi individui, sottoposti a questionari di autovalutazione della propria libido dopo la visione, hanno sempre dato risposte in perfetto accordo con le informazioni offerte dallo strumento. Ovvero piu' i soggetti si dichiaravano 'eccitati' dallo spettacolo, piu' le loro onde p300 ne erano state modificate.
Il prossimo passo, ha concluso Vardi, sara' di testare la macchina su individui con disturbi sessuali.

corriereadriatico.it
26 gennaio 2005
Il primario di Psichiatria “Molti arrivano in reparto dopo avere assunto stupefacenti. Le droghe hanno effetti devastanti”
Sempre più ragazzi soffrono di disturbi psichici come schizofrenia, depressione e nevrosi
Nei giovani cresce il “male dell’anima”


Schizofrenia, depressione, nevrosi. Malattie che colpiscono nell'ombra, spesso dentro le mura di casa. Qualcosa succede dentro l'animo e nella mente di chi soffre di disturbi psichici, qualcosa di inspiegabile per i familiari che lo circondano, qualcosa di terribile per chi lo vive. Aumentano i casi di disagiati psichici a Senigallia, ma non ce ne accorgiamo, perché sono dolori che non si mostrano. Soprattutto cresce il numero dei giovani con disturbi della personalità, patologie più sfumate e difficili da trattare rispetto alle più tradizionali, eppur drammatiche, schizofrenia o depressione. Il dirigente medico di Psichiatria, dott. Andrea Arduini, ci spiega come sta operando il Dipartimento di salute mentale di fronte a queste emergenze: "Seguiamo regolarmente 854 pazienti. Se fortunatamente diminuiscono i ricoveri e le degenze, il numero dei pazienti regolarmente seguiti è aumentato”.
“Così come sono cresciute le visite ambulatoriali, soprattutto per patologie meno note come i disturbi della personalità. Questi disturbi consistono in ritardi del processo di maturazione della personalità, in difficoltà nell'adattamento sociale che possono sfociare anche in comportanti asociali. Sono patologie più complesse e sfumate, per questo abbiamo attivato un ambulatorio dedicato, specifico per il trattamento di questi casi. Spesso i ragazzi colpiti da disturbi della personalità assumono anche sostanze e droghe, da loro ritenute innocue, che non fanno che alimentare i loro comportamenti devianti”.
“La cultura della droga ritenuta inoffensiva - sostiene il dottor Paolo Pedrolli, braccio destro del primario Arduini - sta andando a inficiare sulla pericolosità dei disturbi mentali. L'abuso di cannabis e cocaina è esponenziale”. E in questi casi la linea di confine tra Psichiatria e Sert è difficile da tracciare in modo netto, così come c'è difficoltà a capire se un senzatetto ha più bisogno della cura di uno psichiatra o di un assistente sociale, se un violento possiede un disturbo psichico o se andrebbe piuttosto richiamato dalle forze dell'ordine, se un marito abbondato dalla propria moglie sia caduto nel baratro della depressione o se stia solo vivendo un momento duro della propria vita, superabile in breve tempo e senza terapie mediche.
Sono confini labili, delicatissimi, fili di funamboli sui quali camminano persone la cui personalità è difficile da capire. Tutte persone che una volta venivano coattamente spedite negli ospedali psichiatrici, senza tanti approfondimenti. Così l'idea è stata quella di stilare dei protocolli.
“Oltre a collaborare con l'associazione PrimaVera - afferma il dottor Arduini - abbiamo realizzato protocolli comuni di intervento con Caritas, enti locali e assessorato ai servizi alla persona, con forze dell'ordine, con medici di base, che spesso possono intervenire su quelle che comunemente definiamo "psicosi minori" o segnalare con più rapidità gli eventuali disagi di natura psichica fin dal loro esordio. Attacchi di panico, insicurezze, paure: anche il medico di famiglia sa come trattare queste lievi patologie. E sempre nel campo della collaborazione abbiamo organizzato un corso di formazione per le famiglie dei pazienti secondo la tecnica psicoeducazionale”.
Di fronte al male dell'anima che aumenta il dottor Arduini conclude: "Sappiamo con certezza che un'assistenza psichiatrica più efficace ed efficiente non sarà comunque possibile senza una maturazione generale verso modelli più evoluti di collaborazione tra tutti i referenti del disagio mentale".

Yahoo!Salute
Depressione giovanile: migliorare l'approccio
martedì 25 gennaio 2005, Il Pensiero Scientifico Editore


La depressione giovanile è un fenomeno in crescita che necessita di un approccio efficace nelle strutture di base; questo approccio può essere migliorato da un adeguato programma di supporto. Un progetto sperimentato con successo alla David Geffen School of Medicine della University of Californiadi Los Angeles è descritto sulle pagine del Journal of American Medical Association.
Le formi più gravi di depressione giovanile interessano, secondo le stime, dal 15 al 20 per cento dei soggetti colpiti; la depressione giovanile, se non trattata, può portare al suicidio (ed è in questo senso la principale causa di morte fra i giovani fra i 15 e i 24 anni) o può sfociare in altre forme di disagio giovanile. Grande importanza riveste la capacità, per le strutture e i medici di base che per primi avvicinano il ragazzo, saper riconoscere e affrontare questo disagio. Gli approcci che si sono dimostrati più risolutivi sono la terapia cognitivo-comportamentale e alcune forme di terapia farmacologica. Le strutture di base hanno il potenziale per migliorare il loro approccio in modo da ottimizzare l’efficacia degli interventi; l’obiettivo dev’essere quello di orientare il giovane ai servizi specifici che possano essergli di sostegno e guidarlo verso una scelta personalizzata della terapia.
Questo studio ha verificato l’efficacia di un intervento della durata di sei mesi, volto ad offrire sostegno e formazione ai medici di base, tramite il supporto di care manager che fornissero consulenza al medico, organizzando per gli operatori training sulla terapia cognitivo-comportamentale, e corsi che insegnassero a gestire al meglio la scelta fra le varie terapie. I medici inclusi nel gruppo sperimentale hanno anche ricevuto formazione per la valutazione della depressione giovanile, la sua gestione e le terapie farmacologiche e psicosociali. I ragazzi seguiti nello studio sono stati suddivisi in modo casuale in due gruppi: il primo, di 207 pazienti, ha ricevuto l’assistenza usuale mentre l’altro (211 pazienti) è stato seguito dai sanitari oggetto del training sperimentale. I sintomi depressivi e la qualità della vita sono stati misurati con test specifici, e il paziente ha anche espresso la soddisfazione per le cure ricevute, rispondendo a un questionario basato su una scala a cinque punti.
Dopo sei mesi è stata effettuata una verifica per vedere se l’intervento aveva prodotto risultati positivi. I pazienti del gruppo sperimentale hanno riportato, rispetto a quelli del gruppo di controllo, un numero significativamente inferiore di sintomi depressivi, una maggiore qualità della vita rispetto alla loro salute mentale e più soddisfazione per le cure psicologiche ricevute. I giovani del gruppo sperimentale inoltre si sono rivolti più facilmente alle cure dei centri per la salute mentale e ai servizi di psicoterapia e di consulenza.
Gli autori osservano che l’intervento di sostegno e formazione effettuato per sei mesi presso le strutture sanitarie di base ha reso possibile una risposta più valida al problema della depressione giovanile, orientando le scelte di sanitari e pazienti verso gli approcci alla depressione di comprovata efficacia, e attivando meglio le risorse disponibili per la cura di questo disturbo.
Fonte. Rosenbaum Asarnow J, Jaycox LH, Duan N et al. Effectiveness of a quality improvement intervention for adolescent depression in primary care clinics. JAMA 2005;293(3):311-19.