giovedì 27 gennaio 2005

omicidi

Liberazione 22.1.05
Sussurri, grida, giarrettiere
... e colpi di pistola
Maria R. Calderoni


"Ammazzo tutti". Un libro sugli assassinii di massa in Italia. Modello Usa, dove un'arma è sempre a portata di mano
Il serial killer molto spesso «si serve di armi da taglio, perché vuole il contatto fisico con la sua vittima, vuole "sentire" la morte, il mass murderer si serve quasi sempre di pistole e fucili mitragliatori, armi asettiche che gli garantiscono un ampio potere distruttivo». E questo perché, «nella mente del mass murderer la società vive in uno stato patologico, aberrante, e per questo va punita e soppressa».
Lettura con brivido. In questo libro non voluminoso di 188 pagine (Ammazzo tutti. I mass murders italiani, Stampa Alternativa, euro 10), il criminologo Francesco Bruno, in collaborazione con Marco Menicangeli, fa scorrere sotto i nostri occhi la moviola dei fatti di sangue che ci hanno lasciato ogni volta storditi, senza fiato, ogni volta fissi sulla domanda che non ha risposta: «Come è possibile?» (domanda inutile e anche stupida, visto che la cosa è così possibile da essere, appunto, avvenuta).
La "cosa", l'orrore, la mostruosità. Da Doretta Graneris a Erika e Omar, il libro ci obbliga a un ripasso eclatante, a rivedere immagini, scene e particolari che avevamo dimenticato, il film delle pulp fiction nazionali. E a riaggiornare i concetti.
Mass murder, secondo la definizione del Crime Classification Manual, è l'evento nel quale un individuo uccide minimo quattro persone in un solo luogo e nello stesso tempo. Ma non occorre che siano proprio "almeno quattro". Il Fbi, ad esempio, fa rientrare la categoria nell'Authority Killing, l'omicidio compiuto «a scopo di rivendicazione contro la società». Il mass murderer è infatti convinto di aver subito dei torti da parte dell'autorità e per questo è deciso a vendicarsi. «Imbracciando il fucile o la pistola l'omicida diventa così una sorta di missionario: la sua dovrà essere un'azione esemplare, un evento che deve stamparsi col fuoco».
È stata approntata una statistica. Nella loro Encyclopedia of Mass Murder, Brian Lane e Wilfred Greg analizzano tutti i casi fino al 1994 e le cifre raccolte dai due studiosi inglesi dicono con sufficiente chiarezza che l'omicidio di massa «è una patologia del primo mondo. Stati Uniti e Europa totalizzano oltre l'85 per cento dei casi analizzati».
Primo mondo, con gli Usa che primeggiano: per esempio, nel triennio 1990-93, sui 199 casi di mass murder, ben 108 sono avvenuti in terra statunitense (23 in Inghilterra,13 in Australia, 12 in Canada e 5 in Nuova Zelanda). Tra le altre, sono raccontate due stragi che fecero scalpore: quella di Charles Manson (nella villa al numero 10050 di Cielo Drive a Bel-Air, Los Angeles, il 9 agosto 1969 sono uccise 6 persone, tra le quali l'attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski); e quella di Eric Harris e Dylan Klebond (i due ragazzi che, il 20 aprile 1999, penetrati nella "Colombine High School", hanno fatto fuoco con due fucili mitragliatori, massacrando nella biblioteca dieci studenti e suicidandosi subito dopo: il sanguinario episodio dal quale Michael Moore ha tratto il suo film, Bowling for Colombine). «Qualcosa non va in questo paese se un bambino può prendere un fucile tanto facilmente e sparare una pallottola in mezzo al volto di un altro bambino come è successo a mio figlio», sono state le parole del padre di uno studente morto nel massacro.
Naturale domandarselo: perché questa patologia ha intaccato in modo così feroce il tessuto sociale americano? "Spara, cowboy, spara", si intitola il capitolo che Bruno e Menicangeli dedicano alle possibili risposte. «Difficile pensare a un solo movente: più logico pensare che esistano varie concause». Nella rosa delle quali, appare difficile non stabilire «una correlazione tra il numero di armi che circolano negli Stati Uniti e il fenomeno dei mass murders».
Dati alla mano, una famiglia americana su due possiede un'arma, e oltre due milioni e mezzo l'hanno utilizzata per difendersi. Ogni anno sono da 20 a 25mila i morti ammazzati. «L'amore che i cittadini americani hanno per le armi è scritto nel Dna di questa nazione: è sancito dal secondo emendamento di Jefferson e fa riferimento al vecchio mito della frontiera».
Jefferson a parte, ad alimentare la micidiale passione ci pensa la Nra (National Rifle Association), la onnipotente lobby delle armi «finanziata dalla Colt, dalla Smith&Wesson, dalla Beretta»: sono almeno 200 milioni le armi che circolano negli Usa. Facile che qualcuna finisca nella mano sbagliata, che uno di questi fucili a pompa venga imbracciato dall'individuo con personalità disturbata. Meglio non dimenticare American Beauty, un film molto "americano", e non dimenticare Charles Graner, il marine dal sorriso sadico, torturatore ad Abu Ghraib; e magari non dimenticare nemmeno le statistiche: dato che, secondo l'Istituto nazionale di salute mentale Usa, tra il 15 e il 20 per cento della popolazione adulta americana presenta turbe psichiche da gravi (ossessione) a gravissime (schizofrenia).
Sempre in materia di concause, è anche facile, inoltre, che il gran numero di "pistole fumanti" in libera uscita porti «inevitabilmente a delle storture nel concetto di legittima difesa».
Più che di mass murder, in Italia si deve parlare, invece, soprattutto di family murder. Famiglia assassina. L'omicidio all'interno delle pareti domestiche. Parenti, genitori e figli, mogli e mariti che uccidono. Il libro abbonda della casistica che, di volta in volta, ci ha sgomentato.
Quanti? Per esempio, nel 2002 si sono registrati in Italia 634 omicidi all'interno dei così chiamati "rapporti di prossimità": famiglia, parenti, amici, vicinato, ambito lavorativo. Ebbene, il ruolo preminente «lo ha avuto la famiglia, che con le sue 223 vittime (35,2% del totale) si conferma come il primo tra gli ambiti in cui matura l'omicidio».
Nelle statistiche criminali si evidenzia un "problema famiglia", soprattutto al Nord, dove si colloca il 50,9% di tutte le morti riconducibili a motivi familiari.
Sussurri e grida e colpi di pistola. Dalla attenta analisi del furore domestico viene fuori anche l'allucinato identikit dell'omicida di casa. Grosso modo, a dare la morte sono esclusivamente gli uomini (91,3%), mentre le età sono le più varie. Colpisce però l'alta percentuale degli uomini al di sopra dei 60 tra coloro che uccidono: «Questi dati ci dicono che la famiglia è diventata il luogo dello scontro, più si sta insieme e più si uccide».
Conflitti di coppia, moventi passionali, drammi del divorzio e della separazione, liti per ragioni economiche sempre più spesso finiscono in tragedia.
Casa color rosso sangue, casa ad alto rischio. Secondo le statistiche citate nel libro «vittime della famiglia assassina sono soprattutto casalinghe (27%) e pensionati (23%), cioè quelle categorie che passano più tempo in casa».
Ultimo tocco di noir familistico. «All'interno dell'abitazione, il luogo con il più alto numero di omicidi (26,9%), è la camera da letto».