lunedì 7 febbraio 2005

Cina

reporterassociati.org
Guerra preventiva e pericolo cinese
di Stefano Minutillo Turtur


l'articolo originale si trova QUI

Lo sviluppo economico e produttivo della Cina in questi ultimi anni ha allarmato tutti i paesi produttori più ricchi del mondo. Le previsioni della sua crescita hanno spaventato non tanto per la qualità della sua produzione, ma per le dimensioni mastodontiche del suo mercato che la porterà a dominare in tempi relativamente brevi l’economia mondiale. Da quando la Cina ha dichiarato il capitalismo fulcro della sua economia, il suo sviluppo ha bruciato velocemente molte tappe: si pensi al settore del tessile, dove la produzione cinese è già in una posizione dominante (vedi Multi Fyber Agreement) in evidente concorrenza con il maggior produttore mondiali di cotone, gli Stati Uniti.
In questo inizio del terzo millennio, il suo inserimento nel circuito economico internazionale rischia di sovvertire l’ordine vigente, rappresentando una grave minaccia soprattutto per coloro che ne detengono il potere. Le convenienti condizioni di sviluppo della Cina rappresentano per tutti quei paesi produttori che gravitano attorno le economie più forti un invito allettante e una promessa di ampi guadagni futuri.
Oggi siamo tutti americani; probabilmente domani saremo tutti cinesi.
Lo sviluppo economico della Cina, che storicamente aveva raggiunto livelli di civiltà “celestiali” nei vari capitoli del suo millenario impero, è stato frenato nei tempi da invasioni, crisi politico-sociali e dittature. Il potere economico nella storia è sempre stato di natura ciclica e mai sedentaria: fluttua nei secoli tra le mani degli uomini per passare di paese in paese, di continente in continente.
Tralasciando gli antichi imperi e le grandi civiltà, il ciclo del potere economico è brevemente rappresentabile in pochi importanti passaggi storici: così l’Italia all’inizio dello splendore delle sue arti umanistico- rinascimentali, fece del bacino del mediterraneo il centro commerciale del mondo allora conosciuto e più progredito, grazie soprattutto alla produzione tessile basata sulla lavorazione della seta proveniente dall’Oriente; la scoperta delle Americhe rese, nel XVI° secolo, la Spagna di Carlo V il paese più ricco di tutta la potente Europa.
Suo figlio Filippo II, però, fu incapace di amministrare le immense ricchezze che giungevano dal nuovo continente e ne dissipò la maggior parte nell’inutile sfarzo di una corte inetta e gravosa; all’inizio del ‘600, l’Olanda, arricchendosi sugli sperperi spagnoli, s’impose come prima potenza navale nel commercio marittimo, per poi essere scalzata, a metà dello stesso secolo, dall’Inghilterra, il cui moderno impero economico controllerà per secoli la rete degli scambi commerciali di quasi tutto l’emisfero.
Il fulcro economico mondiale si stabilizzerà nel continente europeo fino alla fine del Secondo conflitto, quando gli Stati Uniti d’America s’imporranno sulle economie del resto dei paesi sviluppati come unica superpotenza economica mondiale.
Oggi le previsioni di una rapida crescita economica da parte della Cina, liberata di alcune privazioni economiche e sociali imposte dal regime, sembra anticipare lo spostamento del baricentro del potere economico mondiale nell’area asiatica, preoccupando enormemente gli Stati Uniti, potenza economica egemone, i quali temono la concorrenza impari dell’elefante orientale. Il mercato cinese ha serie possibilità di affermarsi come nuovo centro economico mondiale in tempi stimati brevi.
Solo l’instabilità sociale, presente in tutta la Cina, con lo scoppio di crisi dovute a rivolte popolari, come quella che si è diffusa nell’ottobre del 2004 a Wanzhou, lungo il fiume Yangtze (per un banale incidente tra un facchino ed un dirigente statale che ha portato 10.000 persone a protestare nelle strade) rischia di rallentarne il suo rapido sviluppo.
Di fronte questo allarme proveniente dall’Oriente, nell’epoca del centrismo mondiale siamo testimoni della risposta statunitense in difesa della propria posizione dominante: così si spiega l’esigenza geopolitica della guerra in Afghanistan e l’attacco premeditato all’Iraq, giustificato dalla falsa certezza di trovare un Saddam Hussein carico di armi chimiche e batteriologiche (settore in cui la ricerca americana è all’avanguardia), ma che invece, come tutti sapevano, era pieno di €uro, valuta che ha sostituito progressivamente il dollaro nel commercio del petrolio iraqeno.
La guerra preventiva dell’amministrazione Bush altro non è che la manifestazione della necessità americana di controllo delle risorse energetiche ancora disponibili ed “usufruibili”, nel tentativo di continuare a detenere la supremazia in campo economico e, di conseguenza, politico contro tutte quelle minacce che attentano al suo potere.
Soprattutto contro quella che in questo momento emerge minacciosa lungo il perimetro della Grande Muraglia.

Stefano Minutillo Turtur
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