venerdì 18 febbraio 2005

dall'OPG di Castiglione dello Stiviere

La Provincia di Como 18.2.05
Il caso E nella prima visita racconta: «Ho sofferto tanto, mi sono sentita a disagio e non all'altezza fin da quando ero piccola» Caleffi: isolata anche nel centro senza celle L'avvocato Papa: «Pensava di essere trattata come gli altri pazienti. E' chiusa in stanza come al Sant'Anna»
Sonya Caleffi ha confessato di aver ucciso 4 pazienti all'ospedale di Lecco. Ma le procure di Lecco e Como indagano anche su altri casi
di Anna Savini

Sonya sta male anche a Castiglion delle Stiviere. Le avevano detto che il centro aveva la piscina, che poteva avere il parrucchiere gratis, che sarebbe andata in gita quasi tutti i giorni, che avrebbe potuto dipingere e frequentare i corsi dell'atelier, andare al ristorante e al bar, che avrebbe insomma potuto usufruire di tutti i servizi dell'ospedale psichiatrico giudiziario compatibilmente alla scansione dei ritmi e dei tempi delle terapie. Ma Sonya non è una paziente come tutti gli altri, Sonya è all'ospedale psichiatrico giudiziario con un permesso speciale non per una sentenza definitiva che l'ha dichiarata inferma di mente. Di solito che viene internato nel centro immerso nel verde delle colline mantovane è già passato attraverso un processo, o meglio da una sentenza che ha stabilito la sua colpevolezza ma anche l'incapacità di intendere e volere al momento dei fatti. L'infermiera è lì perché la giustizia deve ancora fare il suo corso, deve stabilire quante sono le morti che ha causato ma soprattutto se c'era premeditazione oppure se l'unica ragione per cui ha ucciso era la follia. Quella sorta di delirio che la portava a pensare che solo causando crisi nei pazienti che erano sotto la sua responsabilità avrebbe potuto in qualche modo far vedere quanto fosse brava a cercare di risolverle. Sonya è lì perché i 7 psichiatri che la visiteranno in questi mesi - Ugo Fornari, nominato dalla procura, Massimo Picozzi, ingaggiato dalla famiglia, e gli altri 5 consulenti nominati dalle vittime - non potevano starci tutti nella stanzetta al settimo piano del Sant'Anna dove l'infermiera di Tavernerio è rimasta rinchiusa per quasi due mesi. L'unico centro adatto al suo ricovero e a ricevere l'equipe di psichiatri, più i legali della Caleffi Claudio Rea e Renato Papa, era Castiglione delle Stiviere. Ma questo non basta per fare di Sonya una paziente come tutti gli altri. «Ma di questo - dice l'avvocato Papa - se ne è accorta solo durante la prima visita della perizia psichiatrica. L'abbiamo trovata scoraggiata e giù di morale e noi stessi siamo rimasti sorpresi di trovarla in una stanza isolata dalla quale può uscire solo chiedendo il permesso. L'unica sotto sorveglianza nel carcere famoso per non avere né celle né carcerieri». Dal primo colloquio con gli psichiatri è emerso che Sonya è sempre stata male, fin da piccolina. L'infermiera ha raccontato che aveva paura che la madre morisse e ha ricordato che si svegliava nel cuore della notte per controllare che fosse ancora viva. A questa infanzia carica di angosce è seguita un'adolescenza piena di frustrazioni. Perché Sonya, che è molto alta, all'epoca era anche robusta e i compagni usavano il suo aspetto fisico per ferirla. «Mi chiamavano pallone, bomba e io ne soffrivo - ha raccontato ai periti -. L'anoressia è nata da lì». Il rifiuto del cibo e il controllo del peso non hanno fatto altro che peggiorare il suo malessere perché ora Sonya piaceva ai ragazzi ma non riusciva mai ad amare nessuno di loro fino in fondo. «Anche quando credette di aver trovato l'uomo della sua vita e si sposò giovane fu come una fuga dalla famiglia per diventare indipendente - racconta Papa -, ma poi andò a vivere vicino alla suocera e il matrimonio naufragò peggiorando quel senso di inadeguatezza, di frustrazione, insicurezza che è un punto ricorrente della vita di questa ragazza». Questo ha colpito i periti, il fatto che Sonya alternava momenti di entusiasmo in cui si lanciava a capofitto nei suoi obiettivi «con una ricerca spasmodica di una posizione sociale che la facesse sentire più forte, realizzata e all'altezza degli altri» e crisi di depressione profonda quando l'obiettivo era stato centrato. E' in questo stato che la Caleffi è arrivata al suo girovagare negli ospedali alla ricerca di un lavoro per uscire dalla depressione e subito dopo senza più un lavoro perso a causa della sua ansia di strafare e dalle sue assenze dovute alla depressione. Ma questo è un capitolo ancora inesplorato che sarà affrontato nella seconda visita, fissata per il 19 marzo.