martedì 22 febbraio 2005

due aricoli: su Szeemann e su panico e ansia

il manifesto.it 21 febbraio 2005
Il curatore che sognava l'anarchia
La scomparsa di Harald Szeemann, che fece uscire l'arte dal museo avvicinandola alla vita

TERESA MACRÌ

Pensare che Harald Szeemann (Berna 1933) non ci sia più (deceduto per complicazioni polmonari nella notte del 18 febbraio) in quel di Tegna in Canton Ticino dove viveva e lavorava, sembra ancora incredibile. Chi non ricorda il suo sguardo beffardo, il suo incedere arzillo con il suo immancabile zainetto in spalla in giro fra i continenti alla ricerca forse dell'impossibile, dell'utopico, dell'imprevedibile? E appare quasi una strana coincidenza che nell'ultimo testo scritto per il catalogo della I Biennale di Siviglia da lui curata lo scorso ottobre, abbia raccolto tutti i titoli delle sue innumerevoli mostre per ricomporre un po' il filo della sua vita. E scriveva anche: «La alegría de mis sueños (titolo della Biennale) è, come molte delle mie esposizioni, anzi di più, un mondo passeggero». Curatore anomalo, Szeemann era un solitario e un battitore libero; nel `70 Brackert lo aveva persino definito «Il Che Guevara della corporazione», così diverso dal curator system attuale. Szeemann era indirizzato verso una dimensione più anarchica. Il suo viscerale anticonformismo era apparso fin dalla sua leggendaria mostra del 1969 a Berna When Attitudes Become Form, in cui dava pieno spazio a tutte quelle variegate tendenze dell'anti-form (arte povera, azionismo, performances) che erano emerse nel periodo. Insofferente alle costrizioni mercato-opera d'arte, Szeemann si era dimesso dalla Kunsthalle di Berna per fondare una agenzia indipendente, l'Agentur für geistige Gastarbeit con il fine di «sostituire la proprietà con l'azione libera». Lo spostamento concettuale di When attitudes Become Form fu però tale che, inaspettatamete, gli fu affidata l'edizione di Documenta 5 del 1972. L'edizione denominata Individuelle Mythologien aprì uno spartiacque irrevocabile tra l'arte museale e quella delle opere in situ, tra le forme linguistiche più radicali e l'impostazione tematica. Conosciamo benissimo quanto nel lavoro di Szeemann il cinema, l'azione, le performances, l'happening, la poesia si incastrassero insieme in una ellisse rappresentativa e quanto queste opzioni linguistiche facessero parte di un suo modo di intendere l'arte, allora assolutamente pionieristico. L'Opera Totale, come spesso ribadiva, era l'unica certezza su cui fondava percorsi e intrecci rappresentativi. E conosciamo altrettanto bene quanto costruire un orizzonte fatto di intuizioni, presagi, ossessioni, manie, divertissements fosse la regola impazzita dell'idea szeemaniana. Quei sentieri, così azzardati, piombavano in un mondo che tendeva ancora a «sacralizzare» l'opera d'arte. Sornionamente, amava trasgredire a quella forma di cristallizzazione e altrettanto sulfureamente ne espandeva i confini: new america cinema, danza, testo poetico, eros, psicanalisi. Inventava avventure. Come la sua mostra più singolare e impossibile: quella Machine célibataire del 1975 realizzata alla Kunsthalle di Berna in cui con una arditezza che faceva parte del personaggio Szeemann, inverava un apparato espositivo sulle più volatili teorie macchiniche, inglobando filosofia, letteratura, schizoanalisi, patafisica, meccanica. Un congegno espositivo costruito sulla duchampiana apparizione del suo Grand Verre: La marine mise à nu par ses célibataires, même del 1915-23 più che sugli artisti. Una mostra scritta e condensata sull'inutile, sull'informe, sull'incomprensibile, sull'illogico, sull'ambiguità ma che declinava anche schizofrenia, capitalismo, il passaggio brusco dall'io al noi. Questo era il mondo impossibile in cui il celibe Harald navigava. Ma lui era anche un alchimista, almeno nelle più recenti esposizioni. Dopo le due edizioni della Biennale di Venezia, Dappertutto (99) e La platea dell'Umanità (2001), Harald era partito per nuovi viaggi, in cui aveva delineato geografie e identità sue, come in El real viaje Real del 2004 (New York, Valladolid), dove intesseva Spagna e Cuba con un filo di nylon, o come nella sua ultima fissazione balcanica in cui scommetteva su artisti dell'ex Jugoslavia e turchi, in una singolar tenzone. Ma quella di stringere, connettere, commistionare era una sua pratica costante mentre quello di viaggiare il suo sogno più ossessivo.

corriereadriatico.it 22 febbraio 2005
Una serie di incontri terapeutici
Panico e ansia Come rimediare
EMANUELE LUCARINI


Pesaro - Ansia, attacchi di panico e fobie. E poi ancora disturbi ossessivo-compulsivi, fobia sociale e depressione. Sono i mali oscuri del 2000, le malattie del benessere e della corsa sfrenata al guadagno e al successo - è l’idea di molti - che attanagliano sempre più persone a limitarne anche in maniera decisiva l’esistenza. Se n’è parlato ieri pomeriggio nel centro Asl di via Nanterre, nell’ambito di un corso organizzato dall’associazione onlus che si occupa di donne operate al seno “Noi come prima”. L’iniziativa intende fornire ai partecipanti una formazione atta a favorire l’acquisizione di una maggior sensibilità verso i possibili disturbi di natura psicologica che si possono verificare nelle donne operate al senso o in procinto di esserlo. Il progetto prevede una serie di incontri teorici - in tutto dieci - sulle problematiche dei disturbi psicologici d’ansia e da stress, tenuti dalla psicologa e psicoterapeuta Michela Paolini.
La lezione di ieri - la quarta - è stata incentrata sui sintomi patologici e fisici del disturbo di attacco di panico (detto anche Dap), delle fobie specifiche e di quelle sociali. La dottoressa Paolini ha tenuto una lezione divulgativa di tipo frontale, anche se non pochi sono stati gli interventi dei partecipanti, molti costretti in passato o ancor oggi a convivere con ansie e nevrosi che ne pregiudicano una quotidianità normale.
“Una rondine non fa primavera”, ha affermato la dottoressa Paolini per indicare che, nonostante molte persone abbiano avuto in un determinato periodo della propria vita qualche paura sproporzionata o irragionevole, non tutte siano patologiche e degne, quindi, di entrare nella rigidezza classificatoria dell’etichetta di fobico o “panicoso”. E’ innegabile, tuttavia, che sempre più sono le persone che soffrono di disturbi d’ansia o dell’umore anche se, contrariamente a quello che molti pensano o affermano, sono malattie guaribile. Trapela un messaggio di speranza, dunque: l’oscuro male si può vincere.