giovedì 24 marzo 2005

induismo negli Usa

Corriere della Sera 24.3.05
Si moltiplicano negli Stati Uniti gli attacchi agli studiosi della religione da parte dei movimenti fondamentalisti
Niente sesso né Freud: vietato interpretare l’induismo

Livia Manera

Prima c’è stato il caso del professor Paul Courtright della Emory University, il quale si è visto recapitare da Internet cortesie come «Quel bastardo dovrebbe essere impiccato». Poi è toccato a Wendy Doniger, la celebre sanscritista e docente di storia delle religioni dell’università di Chicago, pubblicata in Italia da Adelphi. Mentre teneva una conferenza sul Ramayana a Londra, un indù furibondo le ha tirato un uovo (mancandola). Non fosse per il senso dell’umorismo della Doniger e per la sua intenzione di non soffiare sul fuoco tenendosi lontana da interviste e commenti, i crescenti attacchi agli studiosi americani di induismo da parte del movimento fondamentalista indiano Hindutva, avrebbero già fatto molto rumore. E se solo oggi acquistano rilievo le voci circa presunti affronti alle religioni indiane da parte di studiosi occidentali, è perché con il Web a fare da grancassa, la controversia è dilagata oltre l’India degli 828 milioni di indù e oltre l'America che ne ospita quasi un milione e mezzo, con minacce che arrivano da Singapore, dalla Germania, dall’Inghilterra. Il professor Laine, colpevole di avere scritto un libro poco ossequioso sul re indù Shivaji, è persino stato ammonito dal governo a «Non giocare col nostro orgoglio nazionale». E il libro è stato ritirato.
Tutto è cominciato nel 2002 con un lunghissimo intervento firmato dall’imprenditore indiano del New Jersey Rajiv Malhotra sul sito Sulekha.com («comunità indiana» online) che attaccava Wendy Doniger e i suoi colleghi accusandoli di diffamare l'induismo con la loro ossessione morbosa per i suoi risvolti sessuali, e di darne una visione eurocentrica di stampo colonialista. Wendy Doniger ha spiegato che questo tipo di fondamentalismo non è affatto nuovo, avendo attraversato l’induismo per secoli. La novità è che ora si è organizzato politicamente, in una corrente politica di estrema destra.
E non si tratta solo di revisionismo interpretativo: in una recensione sul Times Literary Supplement ha scritto che «gruppi indù di destra, in India e nella diaspora, reclamano sempre di più il loro diritto, oltre che desiderio, di controllare gli studi di induismo». Prendiamo il caso del libro del professor Courtright Ganesha: Lord of Obstacles, Lord of Beginnings. Uscito nel 1985 e accolto dal silenzio fuori della stretta cerchia accademica, oggi infiamma gli animi al punto che la comunità indiana di Atlanta ha chiesto alla Emory University il suo licenziamento, e 7 mila persone su Sulekha.com hanno firmato una petizione per il ritiro del libro, con aggiunta di minacce violentissime. E questo perché Courtright ha voluto dare una lettura freudiana del mito del dio con la testa di elefantino.
Secondo questo mito, un giorno la dea Parvati chiese a suo figlio Ganesha di restare a guardia della porta mentre lei faceva il bagno. Ma quando Shiva, marito di Parvati e padre del ragazzo, rientrò dopo un'assenza lunghissima, non riconobbe Ganesha e gli tagliò la testa. Poi, per farsi perdonare, lo resuscitò e al posto della testa mancante mise quella di un elefantino. Una storia edipica, secondo lo studioso di Emory, che nel tronco grassoccio e molle di Ganesha vede un fallo a riposo, mentre come è noto Shiva si specchia simbolicamente nel linga, Italicovvero il lungo sasso smussato che rappresenta il fallo eretto.
Nel frattempo, a Seattle, la Microsoft ha ritirato la voce «Induismo» commissionata dalla Microsoft a Wendy Doniger per l’enciclopedia Encarta. In India, il libro di Courtright è stato bandito. E in Occidente quello di Laine «è stato ritirato dalla Oxford University Press per paura di rappresaglie violente», ha dichiarato l'autore al Washington Post. Fortuna che senso dell'umorismo e versatilità intellettuale continuano a sostenere Wendy Doniger, la quale ha appena pubblicato negli Stati Uniti il saggio The woman who pretended to be who she was, ovvero «la donna che fingeva di essere chi era».
Analizzando alla sua maniera brillante miti e storie di personaggi che hanno finto di essere altri che interpretavano loro stessi - a partire da Shiva e Parvati fino a Kim Novak nella Donna che visse due volte di Hitchcock - questa signora sessantaquattrenne al centro di violente polemiche ha scelto per la quarta di copertina un suo ritratto del 1959. In cui appare bellissima, giovanissima e sofisticatissima, con questa didascalia: «L’autrice che finge di essere chi era quasi mezzo secolo fa».