lunedì 14 marzo 2005

«la Settimana del cervello»

Il Messaggero Domenica 13 Marzo 2005
LE CELEBRAZIONI
di FABRIZIO MICHETTI

SU una verdeggiante baia a trentacinque miglia da Manhattan ha sede il Cold Spring Harbor Laboratory, che da oltre un secolo ospita scienziati dalle menti aperte che hanno saputo cogliere e sviluppare i temi centrali della ricerca sulle basi molecolari della nostra vita. E’ qui che nel 1953 James Watson presentò la struttura a doppia elica del Dna, scoperta insieme con Francis Crick nell’altrettanto prestigioso Cavendish Laboratory di Cambridge, che doveva valergli il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Ed è qui che, all’inizio degli anni Novanta, lo stesso James Watson, divenuto nel frattempo direttore della prestigiosa istituzione, riuniva trenta scienziati di varia estrazione e di riconosciuta autorevolezza, al fine di stabilire la necessità che gli studi sul cervello fossero considerati una assoluta priorità, che avrebbe comportato “pubblici e personali benefici”. Furono allora identificati dieci obiettivi prevalenti per la ricerca neurobiologica, da raggiungere entro il duemila, ma poi realisticamente aggiornati; fra questi la prevenzione e la cura delle malattie neurodegenerative, la comprensione dei meccanismi che portano a tossicodipendenza, l’identificazione di geni coinvolti nello sviluppo delle principali malattie mentali, la comprensione dei processi di apprendimento nell’adulto e nel bambino, fino all’obiettivo finale e totalizzante: “come realmente funziona il cervello”.
La riunione, promossa dalla Dana Foundation, istituzione filantropica nata negli anni Cinquanta su iniziativa dell’industriale newyorkese Charles A. Dana, e che tuttora ha sede al numero 745 della Quinta Strada, dava origine alla Dana Alliance for Brain Initiatives, che riunisce ormai circa duecento scienziati, fra cui nove premi Nobel, accomunati dall’intento di promuovere e diffondere gli studi che portano alla conoscenza del cervello. Verso la fine degli anni Novanta questa forte volontà si diffondeva al di qua dell’Oceano, con la nascita della European Dana Alliance for the Brain. La “Settimana del Cervello”, che si svolge in tutto il mondo civilizzato dal 14 al 20 marzo, e in Europa è alla sua settima edizione, è figlia di questa iniziativa, e soltanto lo scorso anno ha coinvolto cinquantasette paesi nei cinque continenti, dove si sono svolti seicentosessantuno manifestazioni con l’intervento di millesettecento scienziati. Questi hanno aperto le porte dei laboratori, sono saliti sui palcoscenici, sono andati nelle scuole, hanno dato nuova vita alla vecchia tradizione dei dibattiti culturali nei caffè, abbandonando per una volta la tradizionale riservatezza di chi pratica la buona scienza per aprirsi alla spiegazione di questo intreccio di miliardi di cellule, del peso di circa un chilo e mezzo che, dalla sua sede nel nostro cranio, governa movimenti, volontà, emozioni.
Non è soltanto una promozione a favore della ricerca scientifica, di cui certo c’è bisogno, soprattutto da noi in Italia: non occorre sottolineare quanto siano bene spese risorse destinate alla comprensione dei processi cerebrali e alla cura delle malattie che li colpiscono. Mentre vengono diffuse le conoscenze più recenti sul modo di operare del nostro cervello, dall’evidenza delle cose a poco a poco emerge il ruolo delle neuroscienze come naturale cerniera tra la cultura scientifica e quella umanistica: la conoscenza dei processi cerebrali come una stele di Rosetta che ci aiuti a comprendere i nostri pensieri e le nostre azioni col linguaggio del cervello. Nella vicina Svizzera, ad esempio, la manifestazione di quest’anno è specificamente orientata al confronto dei contributi offerti dalla scienza del cervello e dall’arte alla formazione e alla percezione della coscienza. Scienziati e artisti si interrogheranno sulla vera natura della coscienza, dagli aspetti cognitivi a quelli morali, confronteranno le loro responsabilità e le reciproche legittimazioni. E questo avverrà in piazza, per così dire, davanti alla cittadinanza, che potrà giudicare e intervenire. E da noi, l’Università di Roma “La Sapienza” tra le altre iniziative promuoverà a Viterbo una tavola rotonda in cui neurobiologi, esperti di intelligenza artificiale e teologi faranno confluire le loro diverse culture alla ricerca di una risposta all’antico quesito dei rapporti tra mente e cervello.
Questo passaggio dai laboratori alla società trova oggi un fondamento soprattutto nelle ricerche, sempre più numerose, che consentono di seguire momento per momento l’attivazione delle diverse regioni del nostro cervello mentre svolgiamo diverse attività cerebrali. Davanti agli occhi dei ricercatori, le nuove metodologie che offrono immagini funzionali del cervello, come la risonanza magnetica funzionale o la più recente topografia ottica, di volta in volta accendono un gruppo di cellule nervose quando ci innamoriamo, un altro quando abbiamo paura, un altro quando ci impegniamo in un calcolo aritmetico e ancora un altro, diverso dal precedente, quando ci addentriamo in un ragionamento logico deduttivo. E le immagini che ci consentono di osservare momento per momento le attività delle diverse regioni del nostro cervello ormai si addentrano fra le cellule e inseguono i percorsi di alcune fra le molecole che trasmettono il messaggio nervoso da un neurone all’altro - i neuromediatori - alcune delle quali, come la serotonina e la dopamina, svolgono un ruolo centrale nei processi mentali e nei loro disturbi, dall’ansia fino alla schizofrenia. Il nostro cervello, a poco a poco, diventa trasparente e, con esso, le sue funzioni. Forse è giunto il momento che cominciamo a rendercene conto, senza dimenticare, però, che la conoscenza di dove e come si svolgono i nostri processi mentali potrebbe non bastare per conoscere davvero che cosa sono, e valicare il confine che separa i meccanismi cerebrali dal nostro vissuto.