lunedì 14 marzo 2005

unabomber

L'Unità 14 Marzo 2005
Lo psicopatologo forense Vincenzo Mastronardi, della Sapienza: «Probabilmente ha subito soprusi che hanno lasciato un forte segno sia sul suo corpo sia nella sua psiche»
Lo psichiatra: l’attentatore da bambino vittima di violenze

ROMA Unabomber potrebbe essere stato egli stesso vittima, da bambino, di vessazioni e sofferenze fisiche che hanno lasciato un forte segno sia sul suo corpo sia nella sua psiche. È questa l’ipotesi sostenuta dallo psichiatra e psicopatologo forense Vincenzo Mastronardi, dell’Università La Sapienza di Roma, secondo il quale la presenza di mutilazioni fisiche potrebbe aiutare gli inquirenti ad arrivare al colpevole.
Nel tentativo di dare un volto al misterioso attentatore che sin dai primi anni ‘90 terrorizza le regioni del Nord-est, l’esperto avanza dunque un’ipotesi precisa: «È probabile che lo stesso unabomber, che a questo punto sarebbe però più corretto definire “serial bomber”, abbia sofferto di vessazioni fisiche durante l’infanzia. Vessazioni che abbiano in qualche modo lasciato un segno corporale e non solo emozionale. Potrebbe, ad esempio - afferma Mastronardi - essere rimasto egli stesso vittima di un’esplosione: un petardo scoppiato in mano, un incidente di caccia, uno scoppio di qualunque genere che gli abbia causato una mutilazione fisica». Un soggetto che, oggi, agirebbe mettendo in atto lo stesso tipo di vessazione di cui egli stesso è stato vittima: «Provocando delle esplosioni - spiega lo psichiatra - riesce cioè ad esorcizzare il terrore di essere nuovamente colpito in prima persona. Ed il fatto che in qualche modo metta in atto scenari che il più delle volte finiscono per coinvolgere dei bambini, è legato proprio alla sua personale esperienza e alla circostanza che egli stesso ha vissuto tali sofferenze durante l’infanzia».
Unabomber potrebbe dunque essere segnato da una qualche visibile cicatrice fisica e questo, secondo Mastronardi, potrebbe rappresentare un’ipotesi di indagine e un possibile indizio nelle ricerche per cercare di stringere la cerchia attorno all’attentatore.

Gazzetta del Sud 14.3.05
il parere del criminologo Francesco Bruno
La modalità con cui ha colpito sembra una provocazione nei confronti degli investigatori
Un attentato che ha sapore di sfida
Aldo Blemenza

TREVISO – Il primo ritorno in dodici anni, se si esclude Pordenone, su uno dei luoghi minori dei suoi delitti, la scelta per la seconda volta di una chiesa come teatro della sua follia e di una candela come trappola esplosiva. Unabomber sembra ripetersi in questo suo ultimo attentato a ridosso di Pasqua, che arriva a solo un mese e mezzo dal precedente, quando un ovetto di plastica, preso a calci da una scolaresca, esplose fortunatamente senza conseguenze nei pressi del tribunale di Treviso. Quasi una sfida agli investigatori, alle loro indagini sempre più serrate, alle recentissime notizie di stampa su presunti sospettati, «come se – ha ipotizzato il procuratore di Venezia Vittorio Borraccetti – avesse voluto farsi vivo per dirci che ci stiamo sbagliando, che lui è sempre vivo e attivo». E capace di tornare anche su un luogo del delitto dopo l'ultimo «fallimento» a Treviso. Questa volta, purtroppo, l'ordigno, nascosto in una candela elettrica di plastica, ha ferito una bambina di sei anni (gravemente) ad una mano e (lievemente) all'arcata sopraccigliare, come capitò alla piccola Francesca di Oderzo (Treviso) quando, il 25 aprile 2003, raccolse un pennarello esplosivo sul greto del fiume Piave che le mutilò tre dita della mano destra e le fece perdere la vista all'occhio destro. Un'esplosione, quella di ieri, che ha lasciato lievemente ferita ad uno zigomo anche Michela Lenza, 34 anni, che aveva aiutato la bimba ad inserire la candela nel candelabro verso la fine della messa, mentre i suoi genitori si trovavano a 20 metri di distanza. A Motta di Livenza Unabomber aveva già colpito, il 2 novembre (altro periodo festivo) del 2001, quando un'anziana, Anita Buosi, 63 anni, era rimasta ferita gravemente accendendo un lume cimiteriale, un oggetto sacro che simbolicamente ritorna anche nell' attentato di oggi. Unabomber, inoltre, aveva già violato, nel 2002, la sacralità di una chiesa, il duomo di Cordenons (Pordenone), ferendo due persone con due bombolette di gas imbottite di esplosivo e dotate di timer. Sempre in un giorno di festa, la notte di Natale. L'affacciarsi di analogie e ripetizioni, secondo il criminologo Francesco Bruno, è un elemento «fondamentale» che gli inquirenti dovranno approfondire perché potrebbe rivelare indizi importanti per arrivare alla cattura del serial killer che terrorizza il nord-est. «Rispetta sempre i suoi tempi e le sue abitudini – sottolinea Bruno – oggi è domenica e ci stiamo avvicinando alla Pasqua. In passato aveva già colpito sia di domenica sia in giorni di festa: alla vigilia di Natale, il 25 aprile, il 2 novembre». È poi la seconda volta che Unabomber colpisce in chiesa. «È un elemento forte – ragiona il criminologo – un atteggiamento rituale su cui noi analisti dovremo lavorare. Perché due sono le possibilità: o si tratta di una persona convinta di essere il depositario della “vera fede” e di dover punire quegli atteggiamenti della Chiesa che lui ritiene inutili, oppure siamo di fronte ad un “senza-Dio”, un mangiapreti. In entrambi i casi comunque quello tra Unabomber e la religione è un rapporto difficile».

Repubblica 14.3.05
Gli ordigni controsenso
Umberto Galimberti

Quel che colpisce nel comportamento di Unabomber sono gli oggetti di cui si serve per seminare morte e mutilazioni. Sono oggetti della vita quotidiana: un giocattolo di poco conto, una confezione da supermercato, una candela come ce ne sono tante in una chiesa. Cose che abbiamo tra le mani tutti i giorni, che trattiamo abitualmente senza particolari precauzioni, cose di nessuna importanza che, opportunamente confezionate, spezzano una vita, la interrompono bruscamente o con la sua fine, o con l´invalidità permanente. Quasi un´antiretorica della morte e un tributo al mito nichilista dell´insignificanza della vita. Conosciamo infatti la morte eroica, la morte drammatica, la morte dolente dell´infermità che non guarisce.
Rifiutiamo invece la morte casuale dove non è reperibile alcuna traccia di senso, alcuna motivazione, dove il perché resta inevaso e l´insignificanza dilaga più crudele del dolore perché, a differenza del dolore, non trova neppure un frammento di spiegazione.
Non c´è odio nella morte casuale, non c´è risentimento, non c´è passione per negativa che possa essere. Non c´è obiettivo. Non una persona determinata con cui si ha una qualche relazione, sia essa d´amore o di rancore. Non c´è neppure un´arma (un coltello, una pistola, un fucile) che al solo prenderla tra le mani rivela un´intenzione. Nel comportamento di Unabomber manca tutta la trama del senso, collassano tutti i nessi di causalità, perché tra l´impulso distruttivo nascosto nella soggettività di Unabomber e il destinatario a cui capita di morire o di essere per sempre invalidato non c´è nessuna correlazione, nessuna intenzionalità, neppure quella che può trasparire dall´oggetto impiegato per offendere, perché questo oggetto è prelevato dall´uso quotidiano delle cose più abituali.
Siamo al di là della pazzia, perché anche nel delirio del folle c´è un disegno, che ha le sue motivazioni profonde in quegli abissi biografici che, scoperchiati, mettono capo ad azioni riconducibili a vissuti drammatici, che non hanno avuto la possibilità di essere elaborati. E perciò esplodono in modalità tragiche, che però non sfuggono al senso, alla spiegazione causale, alla comprensione psichica.
Unabomber si sottrae al senso. La sua mente e i suoi gesti celebrano l´assoluta equivalenza della vita e della morte, del positivo e del negativo, del bene e del male, della pericolosità e dell´innocuità di qualsiasi oggetto, che da familiare diventa inquietante, da disponibile angosciante.
Se proprio vogliamo trovare uno scopo, perché non riusciamo proprio a sfuggire alla logica del senso e ai nessi di causalità a cui è abituata la nostra mente, allora dobbiamo dire che, se non proprio lo scopo, l´effetto che il comportamento dell´Unabomber produce è lo «spaesamento».
Un-heimlich lo chiamavano Heidegger e Freud, il «non-familiare», l´inquietante, che non è l´omicidio, la strage, la guerra. Lo spaesamento è la sospensione di ogni senso e si verifica là dove ciò che era familiare (heimlich) diventa inquietante (un-heimlich), ogni cosa, anche la più innocua, improvvisamente diventa minacciosa. Nulla è più rassicurante, non il volto della persona conosciuta, non il contorno delle cose e la loro disponibilità, non la semplicità di un gesto o la quiete di una parola. Nulla più rassicura e acquieta. È la fine della continuità del vivere in una logica del senso e dei nessi di causalità.
Uomini e cose sono consegnati alla loro originaria ambivalenza. Indifferentemente materiali d´uso del vivere quotidiano e insieme minacciosi oggetti di morte.
Lo spaesamento è più tragico della follia che, per quanto tortuosa, sa seguire un suo percorso. Lo spaesamento è la cancellazione di ogni via, quindi di ogni direzione, di ogni rintracciabile senso. Afferra la mente degli uomini non nel deragliamento della ragione come nella follia, ma nel suo collasso.
Non ha un incedere drammatico, ma semplicemente indifferente, perché indifferente alla distinzione tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra ciò che vale e ciò che non vale. Il paesaggio perde i suoi contorni e non c´è una via che indichi una direzione. Siamo all´indifferenza esistenziale, più tragica della follia, perché la follia è almeno sostenuta dalla logica della passione, che lo spaesamento, neppure tragicamente, ma indifferentemente ignora.
Bisognerà studiarlo questo stato della mente. Non ci è del tutto sconosciuto. Per brevi attimi l´abbiamo provato noi tutti nel corso della nostra esistenza, quando il senso latitava e tutto cadeva nella più assoluta insignificanza, in quella luce nera e così poco naturale che è sconosciuta persino agli abissi della follia.