lunedì 14 marzo 2005

storia e medicina
Ignac Semmelweis e Jakob Moleschott

La Stampa TuttoLibri 12.3.05
Vienna 1848, il cloro in soccorso delle culle

CHE moti rivoluzionari possano costringere la storia a sobbalzi e scompigliamenti è nell'ordine delle cose. Meno consueto è che le barricate sulle strade possano fermare - per settimane e settimane - il procedere di una terribile patologia come quella che, nei reparti ostetrici dei grandi ospedali costruiti tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento in tutta Europa, uccide le puerpere in percentuali impressionanti. Eppure - come ricostruisce Sherwin B. Nuland nel suo ottimo libro Il morbo dei dottori. La strana storia di Ignac Semmelweis, appena pubblicato da Codice edizioni - a Vienna, nel marzo del 1848, accade proprio questo. Mentre tutti gli studenti e buona parte dei professori (anche quelli della facoltà di Medicina) accorrono sulle barricate contro l'odiato governo di Metternich nei due reparti dell'Allgemeines Krankenhaus «non ci fu un singolo caso di febbre puerperale per tutto un mese...». Va rammentato che in quello che era l'ospedale più vasto di Vienna i decessi delle ricoverate in ostetricia andavano dal mezzo migliaio al migliaio ogni anno, con una una media letale complessiva del 7 per cento, che superava la quota già impressionante del 5 per cento che si registrava a Londra e a Parigi. La terapia apparente che aveva momentaneamente sconfitto il morbo era stata - semplicemente - l'assenza dei professori e degli studenti di medicina. Una constatazione che aveva rafforzato in modo definitivo la convinzione maturata nel dottor Semmelweis, medico ungherese in servizio nel reparto, circa l'origine della «febbre puerperale». A far da tramite dell'infezione, che nel giro di pochi giorni portava a morte, dopo il parto, le donne ricoverate, erano - secondo Semmelweis - gli studenti e i professori che, dopo aver dissezionato cadaveri per le lezioni di anatomia patologica, passavano a prestare assistenza alle partorienti. Senza darsi cura alcuna di una scrupolosa antisepsi. Del resto i parti in casa, o nei reparti dove le cure erano prestate da ostetriche e infermiere, non conoscevano le percentuali di decessi che si registravano nelle corsie universitarie. E a lungo la scienza medica si era interrogata sulle ragioni della stagionalità della virulenza della febbre puerperale, ipotizzando l'effetto di miasmi ambientali, del caldo o del freddo, mentre invece dipendeva semplicemente dal calendario delle lezioni di anatomia. Infatti bastò l'obbligo, imposto da Semmelweis ai suoi colleghi e agli studenti, di lavarsi accuratamente le mani in una soluzione di cloro, per abbattere drasticamente la mortalità nel reparto. Ma se l'intuizione del medico ungherese costituiva una grande vittoria della scienza, rappresentava, al tempo stesso, una dolorosa ammissione di responsabilità per la corporazione medica. E molti, a cominciare dal conservatore Klein, primario del reparto, non ne vollero sapere e brigarono fino a quando Semmelweis, penalizzato peraltro da un carattere impossibile, fu cacciato da Vienna. E condannato ad una miserabile fine. Ucciso, massacrato di botte, nel manicomio di Vienna dove venne ricoverato dopo aver perso la ragione. Sempre sotto il cielo tempestoso del 1848 prende avvio la diversa e ben più fortunata parabola esistenziale di un altro luminare della medicina ottocentesca, che - come va a ricostruire Giorgio Cosmacini nell'accurata biografia appena pubblicata da Laterza, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott - tanto influirà sulla scienza medica dell'Italia appena unificata. Nato in Olanda nel 1818, quattro anni prima dunque di Semmelweis, Moleschott prima della bufera del quarantotto ha fatto in tempo a laurearsi, a salire in cattedra e a riconoscersi saldamente nei «giovani hegeliani», e soprattutto in Feuerbach, presi di mira nel 1845 dal giovane Marx ne La sacra famiglia e ne Le tesi su Feuerbach. Quando nel marzo del '48 scoppiano i moti studenteschi, il professor Moleschott, passato da alcuni anni da Utrecht a Heildelberg, condivide entusiasticamente gli obiettivi dei contestatori anche se, al momento, è impegnato in una sua personalissima, duplice rivoluzione. Il primo passo, fatto in quella primavera cruciale, è dato dal matrimonio; il secondo è l'acquisto del miglior microscopio disponibile, comprato grazie alla dote della consorte. Il materialismo scientifico con cui Moleschott caratterizzerà nei decenni successivi l'insegnamento della fisiologia e la sua scuola medica comincia da qui, da un gesto innovatore e eversivo nei confronti delle gerarchie accademiche poiché, come scrive Cosmacini, «il laboratorio da luogo collegato alla didattica e infeudato al cattedratico, si rende via via più autonomo, diventando luogo di ricerca dove il leader emergente non è necessariamente il professore titolare della cattedra...». Moleschott, a differenza del geniale Semmelweis, è più divulgatore e didatta che scienziato ma, soprattutto, sa affrontare la conservazione accademica - scatenata contro di lui dopo il vasto successo de La circolazione della vita, vero e proprio manifesto del materialismo scientifico - con mosse mai autolesioniste. Messo alle strette in Germania, emigra verso l'università di Zurigo, dove conosce e stringe amicizia col nostro Francesco De Sanctis, allora docente al Politecnico. Quando nel 1861 De Sanctis diventa ministro dell'istruzione del Regno d'Italia offre subito la più prestigiosa cattedra di fisiologia, quella torinese, a Moleschott che si trasferisce in Italia. Nonostante durissime opposizioni la sua ascesa sarà forte e costante, sino ad approdare alla cattedra presso la «Sapienza» di Roma e al laticlavio. Il materialismo scientifico di Moleschott «non costituiva - scrive Cosmacini - una fede cieca, ma una ragione produttiva di sapere e di progresso». Forse per questo plasmerà in modo significativo una pattuglia di allievi - da Lombroso, primo traduttore della Circolazione a Mosso, suo erede nella ricerca fisiologica - che cambieranno volto alla cultura e alla scienza medica, non solo italiana. Il Nobel per la medicina, che nel 1906 viene assegnato a Camillo Golgi, è il frutto più significativo del magistero esercitato da Moleschott, l'«olandese volante» tra le cattedre, fattosi, già nel 1862, cittadino italiano.

Sherwin B. Noland, Il morbo dei dottori. La strana storia di Ignac Semmelweis, Codice Edizioni, p. 146 €18
Giorgio Cosmacini, Il pensiero materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Laterza, p. 189 €18