lunedì 14 marzo 2005

le donne escluse dalle sperimentazioni

L'Unità 14.3.05
L'esperta
Ceci, farmacologa: «Così venimmo escluse dalle sperimentazioni»
Silvia Bencivelli


Di fronte a una ricerca biomedica che per decenni ha consapevolmente dimenticato le donne, imporre di allargare la sperimentazione sui farmaci anche all'altra metà del cielo non basta. «Perché - spiega Adriana Ceci, direttore del Consorzio valutazioni biologiche e farmacologiche di Pavia - dopo aver condotto lo studio è necessario esaminare le differenze che esistono tra maschi e femmine per quanto riguarda l'efficacia e il rispetto alla sicurezza». Cioè è necessario ricordarsi delle diversità fisiche e metaboliche che esistono tra uomini e donne e quindi valutare l'interazione con il farmaco, separatamente, negli uni e nelle altre. «Se correggessimo il difetto della ridotta sperimentazione dei farmaci nelle donne, limitandoci ad aumentare la componente "rosa" del campione di pazienti, faremmo un altro errore madornale». E alla fine avremmo dei risultati calibrati su un individuo inesistente, metà uomo e metà donna. Così i farmaci di cui oggi conosciamo il funzionamento, almeno nei maschi, non sarebbero più buoni per nessuno.
Il punto, però, è che questa situazione deriva da un errore del passato, commesso in assoluta buonafede, ma non facile da correggere. «Il percorso che ci ha portato alla consapevolezza dell'esistenza di differenze importanti tra uomini e donne - spiega Ceci - è stato un percorso alla rovescia». All'inizio, cioè, le donne furono escluse volontariamente dalle sperimentazioni, a partire da linee guida pubblicate dalla Food and Drug Administration americana e scritte, teoricamente, per proteggere la gravidanza. «Solo più tardi ci si è accorti dell'errore, perché le donne in gravidanza prendono ugualmente le medicine. Quindi, per evitare un rischio teorico in fase di sperimentazione, abbiamo esposto milioni di donne a un rischio sconosciuto». E allora sono cominciati i provvedimenti in senso opposto: negli Stati Uniti si è arrivati all'obbligo di legge di studiare i farmaci anche sulle donne. In Europa, però, siamo ancora molto indietro e ci sono solo delle recentissime linee guida, che non sono nemmeno vincolanti.
«La situazione odierna è un retaggio del passato, - prosegue Ceci - anche se, nel frattempo, sono arrivati nuovi strumenti scientifici, che ci permettono di studiare la tossicità di un farmaco anche prima della sperimentazione». Come gli studi di genotossicità (cioè la tossicità sui geni) o di embriotossicità (la tossicità sull'embrione), che negli anni Settanta non esistevano ancora. Ma è proprio il fatto di poter disporre di nuove tecnologie che alimenta un paradosso: «oggi si sta sempre di più lavorando allo sviluppo di sistemi che ci permetteranno di mirare il farmaco sul singolo individuo, come la farmacogenomica grazie alla quale avremo farmaci su misura dei nostri geni. Però, mentre ci stiamo avvicinando all'individuo, continuiamo a dimenticare un'intera popolazione: quella femminile».